la Repubblica, 24 agosto 2023
I duemila anni di Plinio il Vecchio
Inventario del mondo, summa dello scibile, sinossi universale, zoologia fantastica, mineralogia incantata, antropologia generale, astronomia magica, mitografia comparata, anatomia allegorica, teratologia poetica, geografia favolosa. Ma anche, guinness dei primati, Wunderkammer in forma di parole. Tutte definizioni buone per la Storia naturale ma nessuna sufficiente a cogliere il senso complessivo di un’opera che le comprende tutte. Perché agita e mescola, giustappone e sovrappone, scompone e ricompone, intorbida e distilla saperi, storie, leggende, usi, costumi, miti, voci, scienze, credenze, religioni, opinioni, stereotipi, fonti, in un vorticoso bricolage che associa curiosità investigativa, scrittura inventiva, passione comparativa.
Non è una semplice enciclopedia. È l’enciclopedia per antonomasia. È l’aver luogo dell’enciclopedia, la sua spettacolare e ambiziosa entrée sulla scena della scrittura del mondo. Intanto Plinio inventa la parola, traendola dal greco enkyklios paideia, cioè «conoscenza sistematica», «conchiusa», letteralmente «circolare». Plinio espone il suo programma nell’epistola dedicatoria, dove si propone di toccare tutti i settori «che per i Greci compongono laenkyklios paideia». Come dire la raccolta di tutte le conoscenze sparse sulla faccia della terra e messe a sistema. Che è più o meno quel che dichiarano di voler fare Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, gli estensori dell’ Encyclopedie, ma quasi due millenni dopo.
La differenza è che quella pliniana è enciclopedia archetipale, allo stato nascente, incandescente, magmatica, caotica, molto più di quella dei philosophes illuministi. Che, in effetti, come annunciano nel Discorso preliminare dell’Encyclopedie, sistematizzano e mettono in pagina l’ordine e la connessione delle conoscenze umane. Ma selezionate e disposte secondo quella particolare visione del mondo che incarna lo spirito borghese della modernità, riflettendo l’urgenza di una nuova razionalizzazione delle conoscenze adeguata a uno specifico momento storico. Perché, come diceva Niccolò Tommaseo, ogni epoca ha bisogno di una nuova enciclopedia.
La differenza è che Plinio è il primohomo encyclopaedicus. In questo senso è dentro e fuori della storia. È il demiurgo inventivo e trasgressivo che preme il tasto avvio. Anche per questo la sua idea del mondo e dell’uomo possiede quel sortilegio razionalizzato che Giorgio Manganelli considera proprio del genere enciclopedico, sempre vicino ai carmina, agli incantamenti. L’antropologia pliniana è un esempio perfetto di una aristotelica «commessura d’impossibili»: l’esperienza concreta e la proiezione fantastica, la scienza e la mitologia.
Proprio a causa di questi accostamenti incongrui, da surrealista prima dei surrealisti, la sua pagina ridondadi turgore metaforico, di energia sinaptica, di pulsazione linfatica, che sembra obbedire a delle corrispondenze arcane tra i regni del creato, fra l’umano e l’animale, fra il naturale e il soprannaturale, tra il sistema e la poesia, tra il senso e il buon senso. L’immaginazione etnografica del grande naturalista associa, infatti, tentazione paradossografica, fantasia tassonomica e suggestione semiotica. In primo luogo, nella descrizione di popoli lontani, caratterizzati da una perturbante alterità, fisica e culturale. È il caso degli Sciapodi, che hanno un sol piede. O degli infinitesimali Pigmei, oggetto di una convenzione rappresentativa ricorrente anche nelle arti figurative. Un esempio per tutti, le pitture che adornano la domus pompeiana detta appunto “dei Pigmei”. O gli Psilli, che strisciano come serpenti. In ciascuna di queste iperboli esotiche si intravede però uno spiraglio ermeneutico che consente di attribuire alla cultura – tecniche del corpo, ornamenti, tatuaggi – una differenza che al primo sguardo sembra appartenere alla natura. Che è un modo per riaffermare per differentiam una comune appartenenza all’umano. In queste, come in altre pagine, affiora oltretutto l’abbozzo di un’anatomia allegorica in cui il corpo diventa un significante fluttuante. Come nella considerazione, da moralista barocco, tra le modalità di galleggiamento del cadavere maschile e quello femminile: il primo supino, il secondo prono, «quasi che la natura abbia pietà del pudore delle morte».
Altrove l’etnologia di Plinio cerca le sorgenti originarie delle condotte e delle istituzioni umane. A partire dalla prima, l’introduzione dell’alfabeto, il vero starter della civiltà. Seguito dalla comparsa di una figura quasi sacerdotale come quella del barbiere e, al terzo posto nella scala evolutiva, dalla comparsa del primo orologio, e quindi dalla misura del tempo...
Del resto, è la stessa compresenza di verosimiglianza e inverosimiglianza, osservazione diretta e luogo comune, sensata esperienza e incerta dimostrazione a essere all’origine della secolare fortuna della sua opera. I cui risvolti più inerziali arrivano fino a noi e stazionano ancora nelle profondità irriflesse e immemoriali del nostro pensiero. Nei suoi spiracula pregiudiziali e nei suoi fervori sapienziali. Nei suoi vapori analogici e nei suoi umori nostalgici. E che oggi, nell’epoca post- razionale che viviamo, tornano a riaffiorare grazie a quel combinato disposto tra tecnologia e magia che governa il nostro tempo. Dove Wikipedia e YouTube scrivono capitoli inediti della Naturalis historia dell’immaginario globale. Che non produce solo fake news e voci infondate, cioè gli errori popolari dei moderni. Ma nuove e impervie strade per costruire una futura enciclopedia della galassia digitale. Questa volta composta non solo di parole illustrate. Ma di nuovi scibilia e
mirabilia fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni della contemporaneità. E anche i suoi incubi.