La Stampa, 24 agosto 2023
Vannacci e la libertà d’opinione
Il dibattito sul libro del generale Roberto Vannacci si è infiammato sulla questione della libertà di opinione. È rimasta molto più sullo sfondo la questione delle autorizzazioni da parte dello Stato maggiore, che però è il vero vulnus della disciplina militare. Perché non è affatto vero che un generale in servizio, e che generale!, possa pubblicare un libro in piena libertà dove si citano episodi di servizio. Vannacci tratta infatti moltissimi argomenti di varia umanità, si scatena su gay, animalisti, ecologisti, le presunte dittature delle minoranze, ma è su alcune pagine in particolare che sono sobbalzati allo Stato maggiore della Difesa. Quando parla del suo ruolo di consigliere militare a Mosca. E soprattutto quando parla di Afghanistan.
Chi conosce le segrete cose militari, ha immediatamente notato alcuni passaggi dal tono ambiguo. Quasi fossero messaggi in codice. Vannacci, infatti, da comandante degli incursori dell’Esercito, ha partecipato a diverse operazioni “coperte”. Operazioni segrete, di cui nemmeno si dovrebbe conoscere l’esistenza. Parlando di sé in terza persona, il generale accenna a «chi a schivare proiettili e schioppettate si è trovato spesso in allegra compagnia in quelle missioni denominate “di pace” dove però le fucilate non erano a salve e dove nessuno di noi ha mai girato in abiti sgargianti a distribuire pagnotte e caramelle».
Ora, con tutta evidenza il generale si riferisce alle mosse della Task Force 45, che ha operato dal 2006 al 2016, a volte anche fuori dall’area di competenza italiana. Quella fu guerra vera, con tanti morti e feriti. Nulla a che vedere con le azioni alla luce del sole, stile “italiani brava gente”, con i nostri che hanno fatto tanto per la popolazione, portato aiuti, costruito ponti e strade, e sì, anche distribuito caramelle e pane a villaggi dove bambini e adulti erano alla fame.
Mentre era sotto i riflettori la parte più “nobile” della missione, intanto, fuori da ogni occhio indiscreto, gli incursori di Vannacci, come tanti loro commilitoni dei diversi eserciti della Nato, a un certo punto hanno preso a girare vestiti non con la divisa regolamentare ma come gli afghani, su jeep abbastanza anonime, armati fino ai denti. Sono andati loro a stanare gli «insurgents» fino in cima alle montagne. Loro, quelli che si muovevano sulla base di soffiate dell’intelligence per neutralizzare cellule di terroristi, prevenire attentati esplosivi, catturare leader taleban.
Questa fu la versione oscura della missione afghana. E ovviamente i militari che ne furono protagonisti non ne possono parlare, pena una grave violazione del segreto e degli ordini. Già il solo accennarvi da parte di Vannacci alla Difesa ha fatto drizzare le orecchie. È come se il generale, particolarmente esacerbato dalla scelta dei vertici di toglierlo dalla prima linea e mandarlo dietro a una scrivania all’Istituto geografico militare, dicesse: noi abbiamo fatto la guerra, anche se voi al vertice vi siete sempre vergognati di dirlo; ora che la guerra è tornata prepotente alla ribalta, e avete di nuovo bisogno di guerrieri, sappiate che io posso frantumare la vostra ipocrisia e che solo uno come me può risolvere il problema.
Nel testo, a proposito delle azioni segrete, il generale lega infatti la dimensione del combattimento a quella dei valori. I “suoi” valori. «Se non esistesse il legante a presa rapida dei valori comuni da difendere come sarebbe possibile convincere i nostri soldati ad abbandonare le proprie famiglie e ad andare a morire a migliaia di chilometri da casa? Chi combatte e rischia la propria vita lo fa per due motivi: per un ideale e per i propri cari... dubito fortemente che la necessità di proteggere i “diritti differenziati” e l’altrui cultura possa portare un cittadino a trasformarsi in combattente e a rischiare la pelle in battaglia».
«Stiano attenti», si è lasciato sfuggire, ieri, il generale parlando con la giornalista Maria Antonietta Calabrò. Non poteva essere più minaccioso di così. Sa di avere molte cose imbarazzanti da dire, che potrebbero fare male alla sinistra, ma anche alla destra.
E nei giorni scorsi, quando gli hanno chiesto se fosse il caso di dare interviste a raffica, ribattere colpo su colpo, occhieggiare ai politici che lo brandiscono contro il vertice militare e contro il suo ministro della Difesa, aveva detto: «Io sono un incursore, non mi arrendo con le mani alzate».
No, Vannacci non si arrenderà. Ha deciso di buttarsi in una nuova battaglia, e non si è lasciato margini di ritirata. Il suo futuro, ormai è chiaro, non prevede più le stellette. Forse ci sarà la politica. Ma i metodi sono simili: bomba a mano e coltello tra i denti. E se c’è da far scoppiare una bomba (mediatica), lui è pronto.
«Io – ha detto a Zona Bianca su Rete 4 – sono una persona, un professionista delle operazioni speciali e, come tale, non mi chiudo mai alcuna alternativa e le lascio tutte aperte. Quindi non dirò mai di no, ma dico che per ora faccio il soldato e continuo. In base a quello che sarà il futuro, le alternative, quello che avrò intenzione o piacere di fare, poi deciderò». —