La Stampa, 24 agosto 2023
The Donald, Giorgia e i poteri deboli ecco come si manipola la narrazione
Oggi, nella notte italiana, Donald Trump si “arrenderà” alla giustizia americana, presentandosi nella prigione di Fulton County di Atlanta. Non preoccupatevi, sarà immediatamente rilasciato, e in ogni caso ha pensato di farlo fruttare: ha negoziato con la giustizia l’orario della “resa” così da farla coincidere con il primetime dell’informazione sulle maggiori reti tv.
All’appuntamento fra prigione e media arriverà per altro dopo aver messo a segno un altro colpo mediatico – ieri sera (mercoledì) non ha partecipato al primo dibattito dei candidati alle primarie presidenziali dei Repubblicani («sono così avanti nei favori dei votanti che non farò nessun dibattito») andando però in onda alla stessa ora sui social intervistato da Tucker Carlson, giornalista cacciato da Fox per eccesso di simpatia con Trump. Chapeau.
Se è vero che la politica oggi è tutta narrazione, Trump prova che queste (le narrazioni) si creano non manipolando l’immaginario ma creando veri spostamenti del reale. Alla faccia delle saga delle gaffe cui siamo esposti da mesi in Italia, e che è a suo modo – irrazionale, imprevedibile e a volte incomprensibile – la macchina della narrazione del e intorno al governo italiano.
Il generale Vannacci è la più recente aggiunta a questa piccola/grande saga dei “disturbi” sul percorso di Palazzo Chigi, che ricorda i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, ma alla rovescia. Nel romanzo i dieci protagonisti sparivano uno per volta: nella vita reale della politica del nostro tempo la lista cresce a dismisura, visto che non c’è giorno in cui non ci sia qualcuno del governo che non dica qualcosa che non dovrebbe dire.
Dai due fondatori di questo trend Giovanni Donzelli e Andrea Del Mastro che intervengono in Parlamento sulla base di una relazione di polizia che avrebbe dovuto rimanere segreta, a Matteo Piantedosi a Cutro: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli», e giù continuando con la storia della banda musicale di Via Rasella donataci da La Russa, quella della “sostituzione etnica” di Francesco Lollobrigida (che è in realtà un “seriale” ma anche originale creatore di gaffe– sono sicuramente quelle fatte con più allegria), quella che «L’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità» del leghista Giuseppe Valditara, per non parlare qui della lunga fila di battute sui gay e tutti i diritti civili, fino alle prese di posizioni più difficili per Chigi, quelle dei negazionisti del terrorismo nero, come Marcello De Angelis sulla strage di Bologna. Non vorrei qui dimenticare la regina delle gaffe di questo 2023, Daniela Santanché che si dice certissima di non aver conflitti di interessi.
Parliamo di gaffe perché a questa stregua le trattano i protagonisti, pronti in genere a scusarsi.
Il generale Vannacci, che ha alle spalle una coraggiosa e prestigiosa carriera, è solo l’ultimo arrivato della fila, e accende un dibattito su censura e libertà di opinione. All’ennesimo dibattito, tuttavia, il meccanismo innescato dalla moltiplicazione dei dieci piccoli indiani è così ripetuto, così logoro da essere ormai svelato.
La verità è che non si tratta affatto di smagliature, incidenti, casualità, superficialità: è un enorme serbatoio culturale che non ci ha mai lasciato, e che ora ribolle. Abbiamo altrettanto ben capito che – a dispetto delle apparenze – questa saga degli errori non fa male a Giorgia, come i suoi sostenitori dicono. È anzi parte viva della sua azione di governo, della sua persona, e del suo ruolo. Alimenta infatti la narrativa che lei è la migliore negli ambienti che la circondano, una comparazione che la definisce come colei che salvaguarda il Paese da una deriva ben peggiore.
Una opinione, del resto, che fa il paio con la narrativa sulle positive mosse della premier sullo scacchiere internazionale: la sua “instancabile” ricerca di accordi con i leader del mondo, la sua obbedienza ai dettami delle regole europee (e qui si avverte il biasimo per Salvini), l’entusiasmante voglia di progettare soluzioni per e con la gente (stivaloni ai piedi in visita agli alluvionati di Emilia Romagna, come la foto iconica che ci viene riproposta).
Curiosamente, potenza dell’inevitabilità dell’accadere, tutto questo di cui stiamo parlando si è riprodotto nel guscio di noce di una breve vacanza pugliese – durante la quale si sono sovrapposti viaggi in Albania (ragioni ed esiti non pervenuti), polemiche identitarie (il generale), gaffe familiari, e sbarchi record dalla Tunisia.
Il ritorno a Roma, al lavoro già nei prossimi giorni, presenta il conto della realtà. Il meeting di Rimini, di solito un trionfale percorso per i governi in carica, è diventato quest’anno, fra scontenti di ministri e governatori, il palcoscenico della realtà di fronte allo sciocchezzaio identitario.
Sul tavolo la premier, nonostante l’ultimo tentativo di alzare gli umori popolari con una fotoscioppatissima copertina per una intervista sull’essere madre (fattore molto politico, si dice, considerato che è la prima madre a Chigi), troverà il conto delle vere tensioni, anche dentro la sua coalizione, sui migranti, sul Pnrr, ma soprattutto sulle difficoltà economiche del nostro Paese e della finanza pubblica, con scelte conseguenti che a breve giro dovranno essere fatte.
La più importante delle decisioni sarà la scrittura della manovra finanziaria. Lo scorso anno si trattava della prima finanziaria del governo Meloni ed ereditò per ragioni di tempo (si votò in estate) un piano già quasi pronto del governo Draghi. Quest’anno sarà il momento della verità sul governo Meloni, che parte con il forte svantaggio di scarso spazio per recuperare fondi di fronte a una seria crescita dei bisogni dei cittadini.
Non è difficile dunque immaginare un autunno difficile per il Paese. In cui il punto di caduta sarà definito alla fine dall’Europa: il ritorno di una Europa severa, determinata a non permettere più debito, in vista della riforma del Patto di Stabilità. L’esecutivo ha sempre dichiarato di non voler forzare nessun vincolo, ma in fondo pare sperarci ancora. Ed è in questo passaggio che misureremo anche quanto forte è davvero il peso della nostra premier al di là delle Alpi.