Corriere della Sera, 23 agosto 2023
In morte di Toto Cutugno
Mattia Marzi per il Mess
IL RITRATTO
«Sono un ragioniere, ma non sono istruito. Se fossi stato più colto avrei scritto canzoni come quelle di Ivano Fossati, Paolo Conte e Francesco De Gregori, che adoro. E invidio. Ma non si può avere tutto dalla vita», diceva di sé Toto Cutugno. Chissà quanti, però, invidiavano lui, autore e cantante italiani fra i più conosciuti a livello mondiale, con oltre 100 milioni di copie vendute in tutto il pianeta. Simbolo della melodia italiana all’estero grazie e soprattutto a L’italiano, diventato nel tempo una specie di inno nazionale (lo scorso febbraio il brano ha compiuto quarant’anni), Salvatore Cutugno – questo il vero nome del musicista, nato in Toscana ma cresciuto in Liguria – si è spento ieri all’ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato per l’aggravarsi di una lunga malattia e dove già in passato aveva ricevuto cure per un tumore alla prostata che aveva minacciato anche i reni, con metastasi. Aveva compiuto 80 anni lo scorso 7 luglio.
L’OMAGGIO
A riprova della sua grande popolarità internazionale, ieri l’account ufficiale dell’Eurovision Song Contest lo ha omaggiato con un tweet in cui ha ricordato la sua vittoria nel 1990 con Insieme: 1992. «Ha contribuito a far conoscere e amare la musica italiana nel mondo. È stato e rimarrà uno dei simboli del Festival di Sanremo», dice Amadeus, che annuncia già un doveroso tributo a Toto Cutugno in occasione di Sanremo 2024. Al Festival il cantautore partecipò ben quindici volte, guadagnandosi l’etichetta di «eterno secondo», dal momento che sfiorò la vittoria ben sei volte, vincendo la kermesse una sola volta, nel 1980 con Solo noi. La prima partecipazione nel 1976 con il suo gruppo, gli Albatros. L’ultima nel 2010, con Aeroplani (nella serata dei duetti si presentò sul palco con Belén Rodríguez). Nel 2005, pur di partecipare al Festival, in coppia con Annalisa Minetti con il brano Come noi nessuno al mondo, rinunciò addirittura ad esibirsi all’Olympia di Parigi. Proprio a Sanremo nel 1990 fu protagonista di uno straordinario duetto con il leggendario Ray Charles sulle note de Gli amori.
Toto Cutugno cominciò a muovere i suoi primi passi sui palchi nella metà degli Anni ’60 con il gruppo Toto e i Tati. Nel 1975 Joe Dassin incise la sua L’été indien, che diventò una hit internazionale: i suoi brani furono interpretati anche da Dalida, Mireille Matheiu, Johnny Hallyday a Michel Sardou. La svolta arrivò nel 1978, quando Donna donna mia diventò la sigla del programma di Mike Bongiorno, Scommettiamo?. Lo stesso anno scrisse per Adriano Celentano la canzone Soli, una hit: fu solo la prima di una serie di canzoni del Molleggiato firmate da Cutugno. Anche L’italiano fu pensata per Celentano, che però si rifutò di inciderla: «Non ho bisogno di dire sono un italiano vero, perché la gente lo sa già», commentò la voce di 24mila baci. Da molti considerato come un cantautore di serie b, di razza ultra nazionalpopolare proprio per canzoni come la stessa L’italiano, Le mamme e Figli, giudicate dalla critica come ruffiane, Cutugno rispondeva: «Sono sempre state canzoni sincere e oneste, le mie. Se fossi stato un ruffiano avrei cercato di legare con certi critici. Ma non l’ho mai fatto», come sottolineò nel 2005 in un’intervista a Vanity Fair.
I SALOTTI
«Era sempre triste. Non si sentiva sufficientemente apprezzato e stimato», ricorda Pippo Baudo, che lo portò in gara al Festival numerose volte. Cutugno non era uno da salotti importanti («Mai fatto un concerto per un partito. Ma ho le mie idee. Mi piace Berlusconi», disse nel 2005): voleva «arrivare» al cuore delle persone. «Era spesso sottovalutato dall’intellighenzia radical-chic nostrana», polemizza Enrico Ruggeri. Omaggi bipartisan dal mondo della politica: «Ciao a Toto Cutugno, un Italiano vero», ha twittato la premier Giorgia Meloni. «È stato un italiano vero», il commento di Matteo Renzi. Lo ricordano anche i colleghi, di tutte le generazioni: «Ciao Toto, la tua musica sale in cielo», scrive Morandi su Instagram. «Era un artista, un uomo e un italiano buono e gentile», twitta Laura Pausini. «Sono distrutto. Abbiamo condiviso tutto», ha detto in lacrime Pupo ieri a Estate in diretta. «Ha scritto capolavori pop che resteranno per sempre», il ricordo di Jovanotti. Alba Parietti, che condusse con lui Domenica In nel 1987, segnata da bisticci tra i due, lo descrive come un burbero dal cuore tenero: «Era un maschio alfa. Dopo quell’esperienza legammo tantissimo».
I FUNERALI
I funerali si svolgeranno domani a Milano, alle ore 11, alla Basilica Parrocchia dei Santi Nereo e Achilleo: «Sono sempre stato un po’ incazzoso. A un’offesa reagisco attaccando d’istinto, senza pensare. Ma in realtà sono un timido. Non mi va giù, però, che certa gente, soprattutto certa stampa, mi giudichi brutalmente, senza sapere niente di me».
Marinella Venegoni per La Stampa
«Sanremo tanto mi ha dato, tanto mi ha tolto. Sono arrivato 6 volte secondo, fate un po’ voi i conti», disse nel 2008 Toto Cutugno in uno degli ultimi Dopofestival dove il suo corpo-a-corpo con i critici musicali definiva uno dei format più seguiti della sua lunga frequentazione festivaliera, con 15 presenze in gara più un’altra decina di ospitate accanto ad altri colleghi. Povero Toto, quanto ha sofferto. Raccontava sempre di dovere la scoperta del male che poi lo ha perseguitato fino a ieri, a un consiglio di Albano nel 2007: «Ma come, mi disse, non ti sei mai fatto controllare la prostata? Vacci subito. Io gli diedi retta, e scoprii che la mia prostata era un melone». Se n’è andato ieri pomeriggio al San Raffaele, dov’era ricoverato da tempo, dopo aver festeggiato in luglio gli 80 anni, inondato dagli auguri di tutto il mondo della musica e dell’editoria musicale, di cui è stato a lungo una gallina dalle uova d’oro. Si calcola che solo L’italiano, quinta al Festivalone nel 1983, abbia venduto più di 100 milioni di copie grazie all’irresistibile richiamo del testo di Popi Minellono che metteva in fila una serie di luoghi comuni universalmente riconosciuti, su una ballata di pronta presa. Se Sandro Pertini apprezzò moltissimo la citazione del «partigiano come Presidente» che andava in rima con gli spaghetti al dente, il brano fece il giro del mondo in varie lingue e ancora oggi è popolarissimo: tornò a Sanremo l’ultima volta con il Coro dell’Armata Rossa in impeccabile italiano, nel 2013, con Toto e la Littizzetto fra gli impettiti ragazzi in divisa: se si va a rivedere il filmato su YouTube, appare oggi un mondo al contrario ed è persino impressionante pensare che sia potuto succedere.
Come altri cantori italiani, da Albano ai Ricchi e Poveri o Pupo, Cutugno era una grande star nell’ex Unione Sovietica, così grande e potente da potersi tirare dietro a Sanremo il Coro intero dell’Armata. Com’è tutto cambiato. Poi anche Toto ha fatto le spese delle prime frizioni fra Ucraina e Russia, nel ricordo di quel Coro a Sanremo: nel 2019 un gruppo di deputati di Svoboda, partito dell’estrema destra ucraina, aveva chiesto la messa al bando di un concerto annunciato da tempo a Kiev, ma lui c’era andato ugualmente: «Ci vado da 25 anni, nel 2013 son stato premiato come uomo dell’anno, che senso ha darmi dell’agente al servizio della Russia? Io sono apolitico, credo nei valori della pace e del dialogo – aveva sbottato – ho conosciuto tutti e 19 i presidenti delle ex repubbliche sovietiche».
Lui stesso diceva di essere più popolare nell’Est europeo che non in Italia. Qui da noi, Toto Cutugno fa sempre pensare al Festival: a lungo, fin dalla prima ed unica vittoria con Solo noi nel 1980, è stato il ricorrente testimonial di un Sanremo da adulti, una scena universale e non solo per le ultime leve come oggi. Cercava la ballata che potesse entrare subito nelle orecchie, esplorava tutti i colori dell’amore popolare con semplicità contagiosa, e faceva innervosire chi era alla ricerca di novità, tendenze, sorprese. Cercava la continuità ed evitava l’attimo fuggente, impeccabile nel suo stile con quella voce che tanto ricordava quella di Celentano, di cui fu a lungo autore: aveva tra l’altro scritto L’Italiano pensando a lui ma il Molleggiato dell’epoca si era tirato indietro, con un secco «Io questa canzone non la farò mai». Evidente che non era nelle sue corde, ma intanto Patron Ravera aveva poi convinto Toto a cantarsela da solo. E che fior di successo. Ma a Celentano ha regalato, con alcuni pezzi, molti grandi numeri. Basti pensare a Il tempo se ne va o Soli, con il testo dell’inossidabile Minellono. Scrisse per tanti altri, da Peppino di Capri a Fausto Leali a Fiordaliso, da Modugno alla Vanoni, e per altri grandi d’Oltralpe come Mireille Mathieu, Dalida, Johnny Hallyday. L’ultimo spettacolo oceanico al quale ha preso parte è stato il JovaBeachParty di Jovanotti, dove visibilmente commosso Cutugno ha cantato L’Italiano con il padrone di casa, nell’agosto del 2019.
Ma la dimensione da Festival è testimoniata ancora negli anni ruggenti dai suoi successi anche con quello che era allora l’Eurofestival. Nel 1990, al Sanremo di Aragozzini che si tenne al Palafiori, Cutugno in gara era in coppia nientemeno che con Ray Charles, il quale con una manciata di note nobilitò la sua Amori, che arrivò tanto per cambiare seconda. Ma invece dei vincitori Pooh, finì lui a rappresentare l’Italia all’Eurofestival, e vinse: fu anzi Toto l’ultimo italiano a vincere (dopo Gigliola Cinquetti) 30 anni prima dei Måneskin nella versione modernizzata del galà europeo. Spesso ha alternato la musica con la tv, conducendo pure due edizioni di Domenica In tra anni ‘80 e ‘90.
Era nato in provincia di Massa, figlio di un sottufficiale di Marina di origini siciliane. La famiglia si era poi trasferita a La Spezia e lì era rimasto anche Toto, cominciando a suonare e a scrivere. Lascia la moglie Carla, sposata nel ‘71, e il figlio Nicolò, laureato in Economia, nato da un’altra relazione: fu Carla a insistere perché lo riconoscesse, dandogli il suo cognome.
Ernesto Assante per RepNon è solo perché ha scritto e cantato una delle canzoni italiane più famose al mondo e non è solo perché quella canzone si intitola proprio L’italiano, ma Toto Cutugno è stato, senza dubbio “un italiano vero” come la canzone stessa ricorda. Un italiano che amava il popolo, voleva raccontarne le storie in maniera semplice e diretta e amava intrattenerlo, facendogli cantare canzoni che in un modo o nell’altro ne hanno segnato i tempi, soprattutto gli anni Settanta e Ottanta che lo hanno visto indiscusso protagonista.
È curioso pensare che proprio negli anni della disco music e del pop elettronico Cutugno abbia ottenuto il suo maggior successo, difendendo e esaltando un modo di fare musica e canzone che pur essendo “fuori moda” veniva riconosciuto dal grande pubblico come proprio. Non un cantautore impegnato, anche se molti dei suoi testi raccontano bene l’Italia, non un poeta ermetico, la chiarezza e la semplicità del suo stile è stata esemplare, non un artista “trendy” dunque, ma un fedele difensore di un modo di fare canzone assolutamente e tradizionalmente italiano.
Il fatto è che Toto Cutugno è stato quello che questa difesa l’ha fatta con enorme successo: cento milioni di dischi venduti, una raffica di trionfi nei festival di mezzo mondo, una sola vittoria a Sanremo ma ben sei volte secondo, un successo internazionale che lo ha portato a essere un autore amatissimo soprattutto in Francia (dove ha scritto tra gli altri per Gérard Lenorman, Joe Dassin, Johnny Hallyday, Claude François, Hervé Vilard, Michel Sardou, Mireille Mathieu, Dalida, Sheila) ma anche in Spagna e in America Latina e, moltissimo, nell’Europa dell’Est, soprattutto in Russia e in Ucraina. Il suo ottimo rapporto con la Russia (ricordiamo che nel 2013 arrivò sul palco del Festival di Sanremo assieme al Coro dell’Armata Rossa) lo ha trasformato da “uomo dell’anno” (proprio nel 2013” a “persona non grata”, nel 2019, per alcuni deputati ucraini.
Ma di politica, in realtà, Cutugno non si è mai occupato. Centrista nel senso buono del termine, amava parlare a tutti e rappresentare tutti, senza estremismi o tensioni. Era una persona garbata e pacata ma aveva un carattere deciso e se serviva rispondere a tono a chi lo accusava, lo faceva volentieri e senza peli sullalingua. Non aveva sentimenti negativi, e quando la critica musicale lo riteneva troppo conservatore e popolaresco, rispondeva con i numeri del suo successo e guardava avanti con tranquillità, conscio di essere in sintonia, nonostante tutto, con la pancia e il cuore del Paese, che ha amato le sue canzoni costantemente. Garbato e elegante lo è stato anche nel nel suo modo di fare televisione, mai con toni esagerati, mai al di sopra delle righe, accogliente e disponibile, perfetto per le tante trasmissioni che lo hanno visto protagonista come conduttore (due stagioni di Domenica in, ad esempio, a fine anni 80 e a inizo 90).
Ma è con le canzoni che ha conquistato il cuore degli italiani, fin dagli esordi, quando con gli Albatros, nel 1976, conosce il suo primo vero successo, arrivando terzo a Sanremo, dopo aver esordito nei primi anni Sessanta con Toto & i Rockers, passando poi Toto e i Tati, suonando in piazze, teatri, balere, mettendo a frutto un talento naturale che gli aveva trasmesso il padre e che gli aveva permesso di imparare a suonare la batteria, la chitarra, la fisarmonica e il pianoforte. Come autore mette a segno subito un successo enorme affidando a Adriano Celentano la sua Soli,nel 1979, poi diventa solista e nel 1980 con Solo noi è già una star del Festival di Sanremo, dove conquista la sua unica vittoria. Ma è nel 1983, con L’italiano, sempre all’Ariston, che diventa letteralmente un’icona della canzone popolare nazionale: L’italiano è, piaccia o meno, uno degli inni nazionali alternativi, assieme aAzzurro e aVolare, con tanto di “spaghetti al dente” e “un partigiano come Presidente” nel testo. Una canzone facile da mandare a memoria, leggerissima e semplice tanto da poter essere riconosciuta da chiunque come propria. Le giurie sanremesi la fecero finire quinta nella classifica finale, il voto popolare la portò al successo e la piazzò al primo posto in classifica per dieci settimane, in un tempo in cui i dischi andavano comprati e non ascoltati con un semplice clic.
In tutti gli anni Ottanta, soprattutto con Al Bano e i Ricchi e Poveri, Cutugno difende la canzone popolare più tradizionale e prevedibile, e lo fa con orgoglio e sicurezza, trionfando non solo a Sanremo ma anche nella scena internazionale, fino a vincere l’Eurovision Song Contest nel 1990. Nel nuovo decennio trova ancora altri successi (come quello al fianco di Ray Charles a Sanremo, ennesimo secondo posto) ma si scopre anche capace conduttore televisivo, con programmi come Piacere Raiuno, Domenica ineI fatti vostri. La musica però è sempre rimasta la sua passione principale e anche in tutti gli anni Duemila ha continuato a produrre e scrivere canzoni, anche per Celentano e Mina, e a tenere concerti in ogni parte del mondo. Con una grande carica umana e vitale, Toto Cutugno ha combattuto a lungo contro la malattia, sapendo comunque di essersi conquistato un pezzo di eternità con alcune canzoni che gli italiani canteranno ancora a lungo.
Walter Veltroni per il CdS
Le vite non cominciano tutte in piano. Alcune scivolano giù facili in discesa, molte altre devono faticare in salita. Specie nel tempo in cui è nato Salvatore Cutugno. Era l’inizio di luglio del 1943, due giorni ancora e gli alleati sarebbero sbarcati in Sicilia, la terra di suo padre, e diciotto giorni dopo Mussolini sarebbe caduto, ma l’Italia avrebbe continuato ad essere bombardata e occupata dallo straniero.
Nella casa di Fosdinovo, vicino a Massa, dove il padre, sottufficiale di Marina, è stato trasferito, nascono i tre piccoli Cutugno. Anna morirà bambina davanti a lui, di due anni più piccolo: «Ho visto morire mia sorella Anna, la più grande, sotto i miei occhi, soffocata. Stava mangiando gli gnocchi e uno le andò di traverso. Aveva 7 anni, io 5. Pochi mesi dopo nacque mio fratello Roberto, a cui voglio un bene dell’anima, che si ammalò di meningite e da allora, come previde il medico, ha avuto una vita agitata. E poi l’altra mia sorella. Rosanna, che è stata la prima bambina a essere operata al cuore in Italia».
Era difficile, pedalare in salita. In quel tempo le pendenze erano arcigne e spietate, specie per i più poveri. Il grande Enrico Caruso era il diciottesimo figlio, i diciassette prima di lui erano morti tutti.
Cutugno ha vissuto una vita in sospensione sul sellino, come i grandi scalatori, fin dall’inizio. Regali ne ha avuti pochi, dalla vita. Se non un talento musicale che era un tocco magico. Si dica quel che si vuole, ma Cutugno è stato tra i cantanti italiani più popolari nel mondo. Non solo per le canzoni che ha interpretato direttamente, ma per quelle che ha scritto per i più grandi cantanti francesi e spagnoli, come «Noi, ragazzi di oggi» per Miguel Bosè e per gli assist che ha fornito ai suoi colleghi italiani: «Il tempo se ne va» e «Soli» ad Adriano Celentano o «Io amo» a Fausto Leali.
Solo tre italiani hanno vinto l’Eurofestival della canzone: Gigliola Cinquetti nel 1964, Cutugno nel 1992 e i Maneskin nel 2021.
Eppure su di lui è sempre esistito un pregiudizio per il quale Toto Cutugno ha sofferto. Si è sempre sentito considerare un cantante popolare, non un cantautore. Ha venduto più di 100 milioni di dischi in tutto il mondo e questo è stato, da molti, considerato una colpa. Perché, si sa, per certe parrocchie aristocratiche se le espressioni artistiche incontrano il grande pubblico vuol dire che non sono artistiche. Così furono bollati la commedia all’italiana, Totò, gli spaghetti western, i libri, Mina e il primo Celentano, persino la musica dei nostri migliori cantautori che, se vendevano copie dei loro dischi, voleva dire che avevano tradito il «Patto alla riservatezza».
«L’Italiano», «Solo noi», «Gli amori» sono belle canzoni, orecchiabili e riconoscibili. La linea melodica di Cutugno ha avuto una sua coerenza e la gente gli ha voluto bene.
Quelli come lui hanno faticato, più di altri. Hanno battuto i locali più sdruciti, cantato in piazze distratte, combattuto al Festivalbar o al Disco per l’estate. Nulla gli è stato donato. Ogni cosa è stata conquistata.
E per quel bambino in piedi sui pedali della vita aver vinto Sanremo, poi in Europa, aver venduto quella marea di dischi, essere conosciuto in tutto il mondo deve essere stato un sogno e una meraviglia. Conosciuto come italiano fiero di esserlo.
«Buongiorno Italia col caffè ristretto /Le calze nuove nel primo cassetto/Con la bandiera in tintoria /E una Seicento giù di carrozzeria».
Quel bambino spaventato dalla vita un giorno ha scritto questa canzone in cui si inneggiava a «Un partigiano come Presidente» e in cui si parlava dell’Italia che fatica e spera.
Ciò che questo Paese fa, da sempre e per sempre.