il Giornale, 23 agosto 2023
Salvare i manifesti del film (vecchi)
C’è stato un tempo in cui il manifesto decideva il successo o il fallimento di un film al botteghino con lo spettatore che, in un’epoca priva ovviamente di trailer e di tutta l’odierna e bulimica comunicazione web, non poteva averne visto alcuna immagine in movimento. Così succedeva che i manifesti, veri e propri dipinti sparsi per strade, vicoli, facciate di palazzi, mezzi di trasporto pubblico, racchiudessero in una sola immagine il senso del film, dando colore e movimento anche a quelli in bianco e nero.
È il caso di Un americano a Roma, il cui autore del manifesto, Sandro Symeoni, uno dei più grandi della cosiddetta scuola italiana della cartellonistica, s’inventa dei colori accesi pre-Barbie con i tratti fortemente cinetici di Alberto Sordi e di Maria Pia Casilio che danno la sensazione di vederli muovere. E proprio il manifesto del film di Steno del 1954 è uno dei pezzi più rari della mostra Manifesti da salvare, curata da Luca Siano, che, dal 31 agosto (vernissage ore 17,30) al 9 settembre, sarà visitabile a ingresso libero al Lido di Venezia durante le Giornate degli Autori, manifestazione autonoma e parallela della Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia.
L’iniziativa ben si inserisce nel progetto, lanciato diciassette anni fa proprio al Lido, dei «100 film italiani da salvare» che vanno dagli anni Quaranta agli anni Settanta del secolo scorso. Ecco allora che la sala Laguna ospiterà venti manifesti originali utilizzati per promuovere altrettanti film alla loro uscita nel formato più classico, quello a 2 fogli (100x140 cm).
«Anche per questioni di spazio, abbiamo optato spiega al Giornale il curatore Luca Siano che dirige a Ferrara l’archivio dedicato a Sandro Symeoni per cinque manifesti per ogni decade. Un viaggio iconografico e cronologico che, oltre a raccontare la storia del cinema italiano nel momento del suo massimo fulgore, racconta anche un pezzo di storia della società italiana».
«Dopo due mostre permanenti a Ferrara dedicate ai manifesti dei film di Florestano Vancini e a quelli a partire da Ossessione di Visconti spiega Stefano Muroni, presidente di Ferrara la Città del Cinema, filiera creativa che produce la mostra «Manifesti da salvare» in collaborazione con l’Archivio Immagine in Movimento di Adria, il Comune di Ferrara e Bper Banca ecco che usciamo dalle mura cittadine per approdare a Venezia, un’occasione importante per fare memoria e per raccontare un mondo spesso poco conosciuto».
Si tratta in realtà di un patrimonio culturale di prima grandezza perché sillaba convinto Luca Siano «in Italia abbiamo avuto i migliori». Che chiamare cartellonisti è riduttivo, meglio allora parlare di pittori per il cinema «che disegnavano immagini evocative e seducenti delle opere cinematografiche per convincere il passante a entrare in sala».
Ecco Gina Lollobrigida, dipinta da Luigi Martinati, in allarme perché bloccata per il polso da un uomo distino ma in ombra in La provinciale di Mario Soldati dal romanzo di Moravia, ecco una città Napoli i cui palazzi, ieri come purtroppo oggi, implodono plasticamente e realisticamente nel disegno, sempre di Symeoni, di Le mani sulla città di Francesco Rosi, ecco tutto il dramma del romanzo di Brancati, Il bell’Antonio, rappresentato da Dante Manno nei volti di Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale da una scena clou del film di Mauro Bolognini.
Le tecniche utilizzate sono quelle della pittura, a tempera e a olio, mentre alcuni, più all’avanguardia, mescolavano i generi, magari utilizzando il collage.
Purtroppo gli originali sono andati spesso perduti perché solo pochi cartellonisti tornavano in tipografia a prendere i loro bozzetti. Erano infatti molto impegnati a lavorare arrivando a dipingere anche cinque titoli al giorno di cui dovevano realizzare altrettante proposte per poi produrre manualmente i diversi formati.
Naturalmente, vista la grande capacità di condizionare il pubblico, la censura interveniva pesantemente sui manifesti: «È il caso ricorda Luca Siano di A ciascuno il suo di Elio Petri che il primo giorno di uscita venne bloccato e i manifesti oscurati con Symeoni, forse quello che si è poi saputo modernizzare meglio arrivando alla sintesi totale dell’opera grafica con Profondo rosso di Dario Argento e I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini, accusato di aver rappresentato una scena di stupro».
La scuola italiana ha dunque i suoi maestri che non possono non essere debitori della nostra storia dell’arte.
Anche per questo non sarebbe uno scandalo se i manifesti, oltre che nei cinema e alla Mostra di Venezia, venissero esposti nei musei (basterebbe citare il capolavoro di Giuliano Geleng di Amarcord di Federico Fellini): «All’estero succede, da noi no. Ecco perché Manifesti da salvare conclude il suo curatore è, oltre che un titolo, un appello che parte proprio da Venezia per salvare metaforicamente e fisicamente queste memorie di carta. Apriamo gli occhi, accendiamo i riflettori perché molti di essi finiscono pure all’estero grazie a collezionisti molto agguerriti».
Martin Scorsese, per esempio, è uno di questi.