il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2023
I numeri di Meloni sull’Emilia Romagna
Tra una settimana, il 31 agosto, il commissario straordinario alla Ricostruzione dell’E milia-Romagna, Francesco Paolo Figliuolo, incontrerà gli amministratori locali per fare il punto sui fondi stanziati e troverà una situazione imbarazzante: dei 4,5 miliardi che il governo si vanta di aver messo a disposizione dei territori alluvionati, dopo tre mesi sono stati spesi solo 60 milioni. Una cifra che il commissario governativo conosce bene perché le tabelle sono nella disponibilità del governo e della Regione Emilia-Romagna: si ottiene sommando le voci di spesa relative al primo decreto, quello approvato dal Consiglio dei ministri il 23 maggio, una settimana dopo gli eventi alluvionali, e pubblicato in Gazzet – ta Ufficiale solo l’1 giugno, dopo un lungo passaggio al Tesoro che alla fine aveva ridotto l’im – porto del decreto a 1,6 miliardi rispetto ai 2,2 annunciati. IN QUEL DECRETOsi stanziavano i primi fondi per rispondere alle emergenze sul territorio. Le voci di spesa più significative riguardavano gli ammortizzatori sociali e un fondo per le imprese con alti livelli di export. Tre nello specifico: 620 milioni per la cassa integrazione, 300 per mettere in sicurezza i lavoratori autonomi e altri 300 per garantire l’export delle imprese. Tanti soldi, troppi per quei capitoli di spesa e infatti oggi si scopre che di quegli 1,2 miliardi ne è stato speso solo il 5%, cioè 60 milioni: 30 milioni per la cassa integrazione, 18 milioni per gli autonomi, 11 milioni per l’export delle imprese. Questo miliardo è teoricamente stanziato per il dopo-alluvione, ma non può essere utilizzato in altri modi e per la buona ragione che è uno stanziamento in larga parte teorico, come sempre per gli ammortizzatori sociali o gli sgravi fiscali: quel che conta è il cosiddetto “tirag gio”, che stavolta è ridicolo. Il 31 agosto gli amministratori locali chiederanno di utilizzarlo per altre voci di spesa: difficile che il Tesoro acconsenta a spostare fondi dalla Cig o dalle spese fiscali agli appalti. A essere corretti, oltre ai 60 milioni di cui sopra, nelle zone alluvionate sono stati spesi anche 230 milioni nella prima emergenza, quando il commissario era Stefano Bonaccini, con fondi della Protezione civile: sono stati usati per i primi soccorsi, per sistemare gli sfollati e per dare 5mila euro alle famiglie rimaste senza più nulla. Questi sono i numeri, nonostante la premier, rispondendo via lettera alle critiche del presidente emiliano Stefano Bonaccini, si sia limitata al gioco delle tre carte, parlando di uno stanziamento totale di 4,5 miliardi: Fratelli d’Italia da giorni costruisce la sua comunicazione intorno a questa cifra. Problema: in sostanza è falsa. Meloni e soci sommano gli 1,6 miliardi del primo decreto (con le finalità e i risultati che abbiamo visto) coi circa 2,7 miliardi del secondo, approvato a fine giugno, e poi arrotondano: ma non solo i fondi del primo decreto non sono destinati alla ricostruzione e saranno usati solo in minima parte, ma i soldi del secondo sono spalmati su tre anni (800 milioni quest’an – no, 750 l’anno prossimo e 850 nel 2025) e destinati solo alla ricostruzione pubblica. È appena il caso di ricordare che il conto dei danni degli enti locali ammonta a 8,8 miliardi, metà per i danni di famiglie e imprese, che hanno invece a disposizione 120 milioni per la ricostruzione privata e 100 milioni per “il mantenimento dell’oc – cupazione e l’integrale recupero della capacità produttiva” (neanche un euro distribuito). Se gli amministratori romagnoli – con Bonaccini in testa – protestano da settimane sui fondi che non arrivano, una fonte di governo replica che non ci sono anomalie nell’a llungamento dei tempi. Secondo Palazzo Chigi per garantire gli investimenti serviva una stima precisa dei danni che è stata conclusa solo a metà agosto: il piano definitivo arriverà a novembre. Sui soldi del primo decreto, invece, la speranza è che le aziende possano ricredersi e accedere entro settembre. I RITARDI PERÒ s tanno creando qualche perplessità nella maggioranza, soprattutto per la volontà di Meloni di accentrare tutto il potere nelle mani di Figliuolo. Non tutti nel governo hanno condiviso l’idea di nominare il generale e non un presidente di Regione, creando un precedente pericoloso. I ritardi sugli stanziamenti rischiano di provocare ricadute in vista delle Regionali del 2025. Ieri Salvini ha telefonato a Figliuolo che gli ha ribadito “massima determinazione affinché le richieste dei Comuni vengano accolte al più presto”.