La Stampa, 23 agosto 2023
Il riscatto dei Brics
Al centro congressi di Sandton, sobborgo a Nord di Johannesburg, c’era forse “la maggioranza globale”, quella per cui, secondo Vladimir Putin, lavorano i Brics. Eppure, nella sala sede del Business Forum dei leader del gruppo, non c’erano né il presidente russo, né Xi Jinping. È stato mandato in onda un discorso registrato per il primo, mentre quello del secondo è stato pronunciato dal ministro del Commercio Wang Wentao. Il presidente cinese si è risparmiato per la plenaria di oggi e ha lasciato il suo scudiero occupare la poltrona a fianco del premier indiano Narendra Modi, negli ultimi anni più rivale regionale che alleato di un blocco ancora lontano dall’essere simmetrico.
Putin, costretto a restare al Cremlino per evitare l’arresto, ha definito «irreversibile» il processo di “dedollarizzazione” dei legami economici tra i paesi Brics. Un modo per aggirare le «azioni irresponsabili» dell’Occidente, ergo le sanzioni. Il presidente russo ha garantito che Mosca è disponibile ad aderire all’accordo sul grano, promettendo forniture all’Africa. Al centro delle discussioni c’è l’allargamento dei Paesi membri. Un tema su cui spinge molto la Cina, per trasformare una piattaforma per lo più disarticolata di economie ex emergenti a qualcosa di più simile a un blocco politico in grado di competere col G7 per ascendente globale. Una necessità che per Pechino si è fatta più urgente con l’accrescere delle tensioni con gli Stati Uniti, così come per la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.
Il padrone di casa, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, ha socchiuso la porta alla fine del suo discorso di apertura: «Il desiderio di tanti Paesi di entrare a far parte della nostra famiglia aumenta la statura e l’influenza dei Brics». Possibilista anche Lula. Il presidente brasiliano si è definito favorevole all’ingresso di nuovi membri: «Vogliamo che i Brics siano un’istituzione multilaterale, non un club esclusivo», ha dichiarato. Ma ha poi posto dei paletti, aggiungendo che serve soddisfare determinate condizioni, per evitare che il gruppo diventi una “Torre di Babele”. Via libera esplicito solo per l’adesione dell’Argentina, il vicino sudamericano «soffocato dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale».
Resta scettica l’India, che vuole evitare lo sbilanciamento del gruppo verso un’organizzazione a trazione cinese con retorica anti-occidentale. Potrebbe nascere un compromesso, con la comunicazione di regole e potenziale tabella di marcia per i nuovi ingressi. Anche sulla dedollarizzazione pare si proceda a ritmi diversi. Putin e Lula spingono per una moneta comune, ma Ramaphosa ha già spiegato che il tema non è nell’agenda del summit. Ci si dovrebbe limitare alla promessa di incentivare l’utilizzo delle rispettive valute nazionali negli scambi commerciali.
Non a caso il discorso di Modi si è concentrato quasi esclusivamente sull’elenco dei risultati ottenuti da Nuova Delhi: «Oggi l’India è la grande economia in più rapida crescita al mondo. Presto sarà un’economia da 5.000 miliardi di dollari», ha dichiarato, garantendo poi che il Paese asiatico diventerà «il motore di crescita del mondo. Siamo riusciti a trasformare le difficoltà e le calamità in riforme economiche». Immediata la risposta di Pechino. Wang ha sciorinato il manifesto cinese su Brics e ordine mondiale: «Il nostro obiettivo è mantenere pace e stabilità, non possiamo scivolare nell’abisso della nuova guerra fredda». In un discorso pieno di riferimenti impliciti agli Stati Uniti, Xi presenta la Cina come esempio di una «nuova modernizzazione» e «filosofia di sviluppo» che persegue una «interazione tra diversi sistemi» e non uno «scontro tra civiltà». Poi l’avvertimento: «Il corso della Storia sarà deciso dalle scelte che faremo». Tentativo di rassicurazione anche sullo stato dell’economia di Pechino, invischiata nella crisi immobiliare. «La grande e resiliente nave dell’economia cinese continuerà a navigare le onde», ha recitato Wang, prima che i cinque leader si ritirassero per una cena a microfoni spenti.
In precedenza, Xi aveva già incontrato Ramaphosa a Pretoria, dove i due si sono detti d’accordo sul chiedere «dialogo e negoziazione» tra Russia e Ucraina. Un altro modo con cui Xi si proietta come garante di stabilità. In contrasto al “bullismo” americano, ma (sempre implicitamente) anche come tutela di fronte ai colpi di testa del partner russo. —