Corriere della Sera, 23 agosto 2023
Così i partigiani passarono da 1.200 individui a 14mila
All’Archivio centrale dello Stato a Roma, in un fascicolo del ministero dell’Interno relativo al periodo 1944-1946, si trova un documento che pone alcune domande sulla Resistenza e sul racconto che noi italiani facciamo a noi stessi riguardo alla nostra storia. È datato al 19 settembre 1945, 5 mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Italia e parla dell’affiliazione di partito dei partigiani dentro e attorno alla capitale. Pone, soprattutto, la questione della reale entità del contributo dei comunisti alla lotta partigiana a Roma.
È importante sottolineare subito che quel documento apre, appunto, ad alcune domande; non fornisce risposte, non permette di saltare a conclusioni affrettate e semmai può costituire una base, per gli storici, da cui partire in vista di ulteriori approfondimenti: anche perché, nella sua ambiguità, i suoi significati potrebbero essere molteplici.
Si può affermare con certezza solo che esso riflette il clima in Italia all’alba della guerra fredda. In quel momento, sullo sfondo di quelle tensioni nuove, si consumavano battaglie politiche attorno alla memoria del conflitto appena concluso e probabilmente anche dei regolamenti dei conti molto personali negli apparati dello Stato, liberato dall’oppressione e dalla corruttela del Partito nazionale fascista.
Il documento non è firmato, né è in carta intestata – benché sia dattiloscritto – dunque deve trattarsi di un’informativa estremamente informale al gabinetto del ministro dell’Interno. L’assenza di riferimenti fa ritenere allo storico Mimmo Franzinelli, autore di molti libri importanti su quella fase di cerniera della storia italiana, che si tratti di una nota dei servizi segreti. Questa modalità anonima e lo stile stesso del testo rimandano del resto alle note che fino a pochi anni prima la polizia politica del Duce stendeva su tutto e su tutti.
Ministro dell’Interno nel settembre del 1945 è Ferruccio Parri, del Partito d’Azione, che è anche presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale dei partiti antifascisti: accanto ai democristiani di Alcide De Gasperi, ai comunisti guidati da Palmiro Togliatti e ai socialisti di Pietro Nenni – tutti ministri nel governo Parri – anche il Partito d’Azione stesso, il Partito democratico del lavoro di Meuccio Ruini e Ivanoe Bonomi, oltre ai liberali.
Nella busta 73 all’Archivio centrale dello Stato relativa agli atti del gabinetto ministero dell’Interno relativa al periodo 1944-1946 si trova – accanto a quel documento – un po’ di tutto. Ci sono i succinti rapporti del Counter Intelligence Corps americano sugli ufficiali nazisti arrestati; c’è una nota dell’ottobre 1945 dell’«alto commissario per la Sicilia» sul «forte malumore della classe dei contadini per l’avvenuto licenziamento arbitrario di numerosi mezzadri»; ce n’è un’altra del prefetto di Bologna sulla «revoca del prezzo politico del pane» che sta «provocando malcontento».
L’origine
L’informativa non ha firma né intestazione
Probabilmente veniva
dai servizi segreti
E c’è quel documento non firmato sulla Resistenza romana, fino alla ritirata dei nazifascisti dalla capitale il 4 giugno 1944. Si legge: «Alcuni giorni prima della liberazione di Roma, il comitato centrale del Fronte Clandestino di Resistenza tenne una riunione dei capi delle varie bande partigiane». Il fronte era l’ala civile delle organizzazioni partigiane della capitale che – come riferisce lo storico Giorgio Rochat – spesso si limitarono a operazioni di sabotaggio come deragliamenti di treni, ostruzioni stradali, distruzione di depositi e, più di rado, ad attacchi ad automezzi isolati. La priorità allora era evitare ritorsioni dei nazisti sulla popolazione e distruzioni dei monumenti di Roma.
Continua il documento anonimo: subito dopo la liberazione della capitale, «ciascun capo (del Fronte Clandestino di Resistenza, ndr) presentò l’elenco dei propri iscritti. Venne quindi accertato che dei 7-8 mila partigiani organizzati ed aderenti ai vari partiti, 1.200 circa appartenevano al Partito comunista, oltre 3.000 alla Democrazia cristiana ed il resto al Partito d’azione, democratico del lavoro e liberale». L’elenco si trovava all’«Ufficio patrioti», istituito presso la presidenza del Consiglio e affidato all’allora colonnello Siro Bernabò. Bernabò non è un personaggio secondario. In anni seguenti, promosso generale di corpo d’armata, sarebbe arrivato fino al posto di comandante delle forze terrestri alleate per il Sud Europa (con sede a Verona). In quel ruolo, ebbe una funzione importante nella guerra fredda, nel contenimento dell’influenza sovietica e nelle tensioni – anche coperte – che attraversarono l’Italia allora.
L’informazione è la seguente: «Recentemente, in occasione del rilascio di brevetti, ricompense etc. – si legge nel documento – si è venuti a conoscenza che la lista dei partigiani comunisti da 1.200 iscritti è salita a circa 14.000, mentre in quelle degli altri partiti ne figuravano alcune centinaia di meno. Questa nuova situazione sarebbe stata creata dall’Ufficio patrioti, il cui personale è pressoché totalmente comunista». Infine la conclusione: «All’alterazione pare vi sia stato il tacito assenso del colonnello Bernabò, il quale si sarebbe prestato alle manovre dei social-comunisti, particolarmente di Togliatti, i quali gli avrebbero fatto intendere che a lui sarebbe stata riservata un’importante carica nel nuovo ministero dell’Assistenza Post-Bellica».
Malgrado le apparenze, non è facile interpretare queste accuse. Franzinelli sospetta che la velina dei servizi servisse soprattutto per colpire Bernabò e che fosse ispirata da suoi avversari interni allo Stato o all’esercito.
Di certo però Parri era sia ministro dell’Interno sia presidente del Consiglio, dunque non avrebbe avuto difficoltà a verificare se il numero ufficiale dei partigiani comunisti a Roma era effettivamente divenuto abnorme. Sembra dunque molto verosimile, se non proprio probabile, che Togliatti abbia esercitato pressioni per far apparire più importante il contributo del suo partito alla liberazione della capitale. Lo storico Marcello Flores su questo punto formula due ipotesi: al segretario del Pci allargare il numero dei presunti partigiani poteva far comodo per ragioni politiche o clientelari, dato che a ogni attestato corrispondevano benemerenze, sussidi, facilitazioni. Del resto forse le due opzioni non sono incompatibili fra loro e potevano coesistere.
Di certo la battaglia politica per il controllo della memoria era già iniziata. E non riguardava il passato, ma il futuro: la supremazia morale e ideologica nella guerra fredda.