La Stampa, 22 agosto 2023
L’elisir dell’eterna giovinezza
Lo sviluppo delle scienze applicate all’invecchiamento umano sta dando una mano alla ricerca della fonte della giovinezza, ossessione universale che non riguarda solo celebrità e miliardari da Madonna, a Jeff Bezos a Bryan Johnson. L’imprenditore tech californiano pensava di averla trovata nel “sangue giovane”, il cui potere rigenerante alimenta l’immaginario e il desiderio di fermare e invertire il processo l’invecchiamento. Si è così sottoposto ad un trattamento che prevedeva trasfusioni di plasma da suo figlio di 17 anni con l’obiettivo – perseguito nell’ambito di un regime intensivo che costa circa due milioni di dollari l’anno – di ridurre la sua età biologica a 18 anni. Ma i risultati, secondo quanto ha dichiarato lui stesso, sono stati deludenti, cosa che lo ha spinto ad interrompere l’esperimento “blood boy”.
Non ha avuto la stessa pazienza dell’esploratore spagnolo Juan Ponce de Leon che aveva viaggiato per otto anni sulle tracce della leggendaria sorgente – simbolo d’immortalità e di eterna giovinezza in tutte le culture – giungendo solo nel 1521, a scoprire la Florida, se non la mitica fontana. Cinque secoli dopo, il suo viaggio di scoperta di una “cura” antietà lo aveva portato a guardare ai risultati degli esperimenti fatti sui topi che dimostrano che il sangue giovane di quegli animali poteva ripristinare le facoltà giovanili.
Da allora un ampio gruppo di ricerche ha dimostrato gli effetti riparatori del sangue giovane. Uno studio recente ha dimostrato che attaccare chirurgicamente topi vecchi a topi giovani per scambiare il loro sangue ha prodotto effetti ringiovanenti sul cervello, sul fegato e sui muscoli degli individui più vecchi. Una volta staccati, i ricercatori hanno verificato che questi hanno mostrato capacità fisiologiche migliorate e hanno vissuto il 10 per cento in più. L’effetto persisteva anche dopo due mesi di distacco. Ma quali componenti del sangue giovane causano il ringiovanimento del cervello? Ben tre studi pubblicati proprio questi giorni su Nature, Nature Aging e Nature Communications identificano come elisir di giovinezza il fattore piastrinico 4 (PF4) – capace di rinvigorire il sistema immunitario e di ridurre i fattori dell’invecchiamento – cosa che chiama anche in causa il fatto che i topi giovani hanno livelli più elevati di questa molecola nel sangue rispetto ai topi più anziani.
Occorrerà aspettare che le aziende biotecnologiche arrivino a trasformare queste scoperte in terapie che promuovano la rigenerazione e un invecchiamento sano. Ma, intanto, c’è una strada già tracciata, quella degli stili di vita. Ne ha misurato gli effetti uno studio cinese pubblicato online da BMJ che dice tutto nel titolo “Sei abitudini di vita sane legate al declino della memoria”. L’indagine ha coinvolto più di 29 mila persone senza demenza (età media 72 anni), seguite per dieci anni, con test cognitivi e controllo delle loro abitudini di vita. I partecipanti hanno riferito del grado di disciplina nell’attenersi a sei sane abitudini di vita (una dieta equilibrata, esercizio fisico, niente fumo e niente alcolici, forti legami e rapporti sociali, impegno in attività che stimolano il cervello). Alla fine dello studio, le persone che hanno aderito ad almeno quattro abitudini sane hanno mostrato un declino della memoria significativamente più lento rispetto a quelle che non lo avevano fatto. E questo valeva anche per le persone con geni correlati all’Alzheimer. Le abitudini associate agli effetti più significativi erano state: dieta, attività cognitiva, esercizio fisico, e contatti sociali.
In nessun momento della storia la durata media della vita è stata così lunga. Il fatto è che mentre l’aspettativa di vita è aumentata negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita in buona salute non è aumentata nella stessa misura. Non converrà impegnarsi sulla “qualità” ’di questa parte della vita invece che nell’ossessiva ricerca della fontana dell’eterna giovinezza? —