la Repubblica, 22 agosto 2023
Le insidie dietro il caso Vannacci
Come era evidente fin dal primo momento, il generale Vannacci è diventato in un batter d’occhio l’icona di una certa destra. L’iniziale isolamento in cui sembrava essersi confinato con le sue mani, testimoniato dall’immediata reazione del ministro Crosetto, è durato poco. L’ufficiale si è messo nella condizione di farsi strumentalizzare ed è quello che sta avvenendo. La solidarietà espressa da Salvini costituisce un salto di qualità nel governo. Approfondisce il solco con il responsabile della Difesa, che rispecchia il punto di vista dei vertici delle Forze Armate. Non a caso Crosetto ha avuto il sostegno del suo predecessore in via XX settembre, vale a dire Guerini del Pd. Finché era Alemanno, per non dire Forza Nuova, a condividere le idee di Vannacci, la questione era sotto controllo. Dopo la mossa di uno dei due vicepremier, l’insidia è maggiore. Chissà se l’ex comandante della Folgore si rende conto d’essersi infilato in un gioco più grande di lui; o magari pensa di poter reggere lui il timone fino a provocare qualche scossone politico e ricavarne un vantaggio. In questo caso sarebbe più ingenuo che temerario.
Su un punto potrebbe aver ragione.
Sembra di capire che non sono pochi nell’ambiente militare, specie tra i quadri intermedi e gli scontenti, a condividere almeno in parte l’attacco al “politicamente corretto” e al “pensiero unico”.
L’organizzazione para-sindacale dei Carabinieri ha difeso la libertà di parola dei militari, che in base alla Costituzione non può essere limitata, fatte salve le ragioni di sicurezza. È la posizione liberale in cui si può leggere un modo legittimo e dignitoso per chiudere il caso senza ulteriori danni.
Ed è facile intuire che sia questa la linea di una silenziosa Giorgia Meloni: ammettere un certo grado di libertà di pensiero anche nel mondo militare e chiuderla lì. Se invece si entra nella dimensione delle ripicche politiche, le incertezze aumentano.
È ovvio il tentativo di Salvini, Alemanno e qualche altro di usare il caso Vannacci per scavarsi uno spazio alla destra di FdI e così tenere la premier sotto scacco. Ma non è soltanto un’operazione volta a scoraggiare l’intesa cordiale tra Meloni e Ursula von der Leyen, o se si preferisce tra la leader del centrodestra e un certo establishment europeo. È una manovra più ambiziosa che ruota intorno alle prossime elezioni europee. Si voterà, come è noto, con il sistema proporzionale, a differenza del maggioritario italiano. Un’eventuale lista alla destra di FdI sarebbe un azzardo, ma con un minimo di credibilità potrebbe anche superare la soglia e guadagnare un 5 per cento approssimativo. Sarebbero tutti voti e seggi sottratti al partito di maggioranza relativa, appunto Fratelli d’Italia. Una variante sarebbe il deciso spostamento a destra di un Salvini che già ora non fa mistero della sua amicizia con Le Pen e i tedeschi di AfD.
In questo caso, tuttavia, uno slittamento dei rapporti di potere all’interno della coalizione di governo (più debole FdI, relativamente più forte la Lega) avrebbe effetti negativi sulla stabilità del governo.
Viceversa, una nuova lista di destra-destra estranea alla maggioranza colpirebbe solo Meloni, avviando o accelerando il suo logoramento. Forse non è un caso se giorni fa sono corse delle indiscrezioni circa la tentazione, affiorata in FdI, di provocare lo scioglimento delle Camere per unire le politiche e le europee. Il voto maggioritario aiuterebbe la presidente del Consiglio a uscire dagli affanni, laddove il voto proporzionale potrebbe indebolirla non poco. Ma lo scioglimento è un’ipotesi troppo rarefatta per essere presa in considerazione oggi. Vedremo verso la fine dell’anno.