la Repubblica, 22 agosto 2023
Intervista a Hassoumi Massaoudou, il ministro degli esteri nigeriano
PARIGI – Hassoumi Massaoudou, ministro degli Affari Esteri del Niger, dal giorno del colpo di Stato a Niamey ha difeso strenuamente la causa del suo Paese, dirigendo il governo in esilio tra Abuja (Nigeria, sede dell’Ecowas) e Parigi. È lui a rappresentare il presidente Mohamed Bazoum al summit dell’Ecowas che ha convalidato l’opzione militare. Commenta l’evoluzione della crisi e i diversi scenari che si profilano.
Sull’intervento militare dell’Ecowas prevede che «l’esercito non si batterà per difendere i golpisti».
Da 28 giorni la crisi in Niger ha innescato un allarme globale.
Qual è la situazione sul terreno?
«Oggi il Niger è governato da una dittatura militare caratterizzata da una feroce repressione. A Niamey i militari hanno sparato sui manifestanti che chiedevano la liberazione del presidente Bazoum e il suo ritorno al potere. I militari effettuano aggressive perquisizioni nelle case dei membri del governo, come per esempio a casa mia, dove compiono veri e propri saccheggi.
Dal canto suo, la giunta finanzia le manifestazioni a suo favore, tra slogan antidemocratici e a favore della Russia. Inoltre, la presa del potere della giunta ha favorito sentimenti razzisti in alcune frange della popolazione, specialmente a Niamey dove assistiamo ormai da giorni a veri e propri “pogrom” su base razzista contro le comunità “di pelle chiara”, touareg, arabe e toubou, che vengono aggredite nelle strade senza che la polizia intervenga. La capitale è dominata dal caos. Infine, i terroristi stanno riguadagnando terreno, come testimoniato da una grave recrudescenza degli attacchi dovuta alla mobilitazione delle truppe dell’esercito nigerino dal fronte di battaglia verso Niamey a difesa della giunta e dell’interruzione della collaborazione con le truppe francesi e americane in Niger.
Queste sono le conseguenze immediate del colpo di Stato, dobbiamo poi considerare le conseguenze delle sanzioni dell’Ecowas sull’economia del Niger, che la giunta ha provocato, e il cui impatto sulla vita delle popolazioni sarà durissimo».
Quali sono le condizioni del presidente Bazoum e della sua famiglia?
«Il presidente e la sua famiglia sopravvivono in condizioni difficili. Sono senza elettricità da settimane, in un caldo torrido e circondati dalle zanzare: tutti e tre hanno avuto la malaria nei giorni scorsi. A volte i militari interrompono per qualche tempo la fornitura d’acqua. Inoltre per parecchi giorni sono stati privati di cibo e medicine finché la giunta non ha ceduto alle pressioni della comunità internazionale. Vivono una situazione durissima, ma resistonoe mantengono la forza di spirito».
Quali sono i fattori che hanno portato alla presa del potere del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (Cnsp)?
«Quello a cui assistiamo in Niger è un sequestro di ostaggi: colui che doveva vegliare sulla sicurezza del presidente – il generale Tiani, a capo della guardia presidenziale – il 26 luglio ha deciso di rendere proprio Bazoum prigioniero in casa sua. L’intervento dei militari è avvenuto in una situazione di pace sociale: non c’erano problemi, né manifestazioni, né conflitti politici.
Il Niger viveva un momento di grande crescita economica: avevamo intessuto relazioni di cooperazione straordinarie con i nostri partner internazionali, e lanciato programmi di sviluppo importanti in tutti i settori, dall’istruzione, all’agricoltura, alle infrastrutture. Il Niger era in una dinamica di pieno sviluppo che è stata interrotta da una banda di delinquenti che un giorno ha deciso di prendere il presidente in ostaggio. Come ogni rapimento c’è un riscatto che in questo caso è la richiesta – del generale Tiani – di dirigere il Paese per qualche anno durante la transizione. Gli altri militari si sono uniti per ottenere incarichi governativi ma non c’è un progetto comune, sono una “gang”. I loro sostegni vengono da movimenti identitari locali, incapaci di mobilitare masse importanti nel gioco democratico e che trovano una cassa di risonanza solamente nelle dittature militari.
Infine, i militari trovano sostegnonel partito dell’opposizione Lumana, certamente forte a Niamey ma poco rappresentativo delle regioni interne e dalle forti tendenze etnico-regionali, il cui leader Hama Amadou vede nella situazione attuale una possibilità per accedere al potere».
Quali possono essere le conseguenze di una transizione come quella proposta dal generale Tiani?
«Qualunque transizione, anche di soli due mesi, equivale alla legittimazione del colpo di Stato. Il presidente Bazoum è stato democraticamente eletto due anni fa, accettare la tenuta della transizione significa accettare che degli uomini armati prendano il potere a un presidente democraticamente eletto. Questo significa che in tutta la regione i governi democraticamente eletti possono essere deposti con le armi e che il colpo di Stato ormai sostituisce le elezioni come metodo di accesso al potere.
Abbiamo già lasciato che questo accadesse in Mali e in Burkina Faso. Fermare il colpo di Stato in Niger è essenziale per l’equilibrio della regione, il rischio è quello di avallare un ciclo di prese del potere con le armi che rischia di far ripiombare l’Africa Occidentale negli anni ‘70, quando le armi sostituivano le urne elettorali».
E sul piano internazionale?
«Se i golpisti dovessero prevalere vi sarebbe una rottura del fronte internazionale contro il terrorismo, la cooperazione militare con i Paesi democratici non potrà continuaremalgrado le rassicurazioni della giunta, come testimoniano le bandiere russe. Il Niger rappresenta l’avamposto della lotta ai gruppi terroristi nella regione, ma il rischio è di fare la fine di Mali e Burkina Faso i cui due terzi del territorio sono nelle mani dei gruppi estremisti islamici. Se il Niger cade, cadrà anche la diga di contenzione all’espansione terroristica nei Paesi costieri.
Infine, non possiamo negare le pratiche etnico-regionaliste della giunta che se rimarrà al potere porterà alla rottura della coesione sociale in Niger, e questo avrà un effetto di deflagrazione nella regione con i gruppi estremisti che troveranno terreno di reclutamento tra le comunità marginalizzate, come già avviene in Mali e in Burkina Faso».
Il tentativo di colpo di Stato sta influenzando l’andamento dell’insurrezione jihadista in Niger e nel Sahel?
«Nelle ultime tre settimane sono stati registrati 15 attacchi terroristici, che hanno fatto decine di morti tra i militari e centinaia tra i civili, molti di più di quanti registrati nei due anni del governo Bazoum».
Sabato l’Ecowas ha fatto un estremo tentativo di mediazione con i golpisti ed è stata fissata la data di un possibile intervento militare, cosa può succedere nei prossimi giorni?
«Bisogna essere in due per ballare il tango. La giunta ha chiuso la porta a ogni tentativo di negoziazione con il discorso alla nazione in cui il generale Tiani ha annunciato una transizione di tre anni, proprio a ridosso della visita dei mediatori dell’Ecowas. Non ci sono quindi alternative all’opzione militare che è la sola che permette di salvare il Niger e garantire la stabilità della regione. Definirei l’operazione militare un intervento di polizia, non una guerra contro il Niger.
Un’operazione militare molto rapida di contro-colpo di stato,contro i golpisti. L’esercito nigerino non si batterà per difendere i golpisti: il nostro esercito si batte per la patria non per gli interessi di un gruppo di delinquenti».
L’Ecowas però appare divisa con Burkina Faso e Mali pronti a sostenere la giunta del Niger in caso di un eventuale attacco, c’è il rischio di un conflitto regionale?
«Burkina Faso e Mali sono sospesi dall’Ecowas. Inoltre, si tratta di due Paesi il cui governo non è in grado di controllare l’integralità del territorio, e in particolare le zone di frontiera col Niger, quindi non potranno realisticamente offrire alcun sostegno. L’intervento militare sarà un’operazione di polizia, rapida ed efficace».