Il Messaggero, 22 agosto 2023
Un libro su Robert Oppenheimer
Robert Oppenheimer e Werner Heisenberg, ignari del futuro, si incontrarono la prima volta a Gottinga nel 1927 senza nemmeno immaginare che, nel giro di tre lustri, si sarebbero sfidati a distanza, per conto di Roosevelt e Hitler, fra i laboratori di Los Alamos e la “cantina nucleare” di Berlino, nella tragica corsa che avrebbe portato alla catastrofe di Hiroshima e Nagasaki. Un po’ Amleto e un po’ Prometeo, personalità instabile, depresso eppure seduttore seriale, teorico geniale ma poco adatto alla concretezza sperimentale, in tutti i passaggi cruciali della biografia di Oppenheimer si rispecchia la svolta del secolo. Un secolo breve, come si dice del Novecento, ché il mattino del 6 agosto 1945, prima di arrivare alla sua metà sembra già finito.
CONTRADDIZIONI
È su questo nucleo incandescente di contraddizioni epocali, pubbliche e private, che Christopher Nolan ha lavorato per trasformare in un’icona epica anche il padre della Bomba Atomica, con la stessa forza immaginaria con cui Hollywood ha saputo creare capolavori popolari da Quarto potere a Jfk, ma anche, restando sulla Bomba, il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick trasferendo sullo schermo la tragedia di vivere la storia. Un film da leggere, prima di andare a vederlo, sugli schermi da domani. Il regista inglese si è infatti ispirato a un libro del 2005, Oppenheimer, la monumentale biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin, premio Pulitzer nel 2006, dimenticato e ora ripubblicato da Garzanti.
Sono esattamente le ore 8 e 14 minuti primi più 45 secondi quando il bombardiere americano Enola Gay sgancia sul Giappone la prima bomba termonucleare della storia. È cominciata l’Era Atomica. Oppenheimer dovrebbe esserne il padre. È stato lui a guidare quel gruppo di ventenni che quindici anni prima, con le teorie della meccanica quantistica, hanno sconvolto la fisica classica introducendo l’imponderabile e il probabile nella scienza. Molti di loro sono tedeschi, ebrei scampati alle leggi antisemite della Germania nazista.
COINCIDENZE
L’idea di una atomica americana è stata del presidente Franklin Delano Roosevelt, spaventato da una lettera di Albert Einstein sulla possibilità che gli scienziati di Hitler guidati da Heisenberg riescano a mettere a punto un’arma nucleare. È per una serie di coincidenze che Oppenheimer viene incaricato della direzione scientifica del Manhattan Project dal colonnello Leslie Groves. Sarebbe la persona meno adatta però, non solo per il carattere ma soprattutto per le sue contiguità con il comunismo americano. La sua ex fidanzata, Jean Tatlock, sopravissuta come amante prima del suo misterioso suicidio, è iscritta al partito comunista Usa come anche la moglie Kitty. Una spia sovietica cerca persino di farsi assumere a Los Alamos, la città laboratorio creata dal nulla nel deserto del New Mexico. Il colonnello Groves vede nel rifiuto una ulteriore prova della fedeltà di Oppie. Alla fine, grande è il giubilo quando arriva a Los Alamos la notizia che la Grande Bomba ha centrato l’obbiettivo. Oppenheimer sale sul palco incrociando i pugni sulla testa alla maniera dei pugili vittoriosi. Eppure nel suo intimo risuona un verso dell’amato poema indiano Bhagavadgita: «Ora sono diventato morte, il distruttore di mondi».
IL RIVALE
Heisenberg, prigioniero in Inghilterra, non crede al successo del rivale: «Propaganda», pensa. Oppenheimer invece sa che è tutto vero. Tutto tragico. Poco importa se la copertina di Time nel 1948 indica la misura del suo prestigio internazionale. Sente intorno a sé crescere l’oscura minaccia del destino. «Non riesco a credere a quello che mi sta succedendo», pensa Oppenheimer sulla strada che lo sta portando dal suo avvocato a Georgetown (Whashington) il 21 dicembre del 1953. La miscela fra le sue passate simpatie di sinistra con i suoi dubbi sulla politica nucleare Usa nella Guerra Fredda e in particolare sui piani strategici dell’Aeronautica che prevedevano massicci bombardamenti nucleari, ha spinto la nuova amministrazione repubblicana a fare di lui un capro espiatorio.
IL DECLINO
La campagna d’opinione sarà devastante. Lo scienziato che aveva consentito all’America di suggellare con la resa del Giappone la fine della Seconda Guerra Mondiale, sarà accusato di essere una quinta colonna del comunismo internazionale. Il sospetto non lo risparmierà nemmeno dalla accusa contrapposta di essere stato lo strumento del capitalismo nucleare. Una tesi di cui si sente ancora l’eco nel nuovo libro del politologo francese Jean-Marc Royer. Già Oppenheimer, difronte a riserve e dubbi etici e morali, difronte al timore che si potessero mettere sullo stesso piano Hiroshima ed Auschwitz, aveva trovato la giusta, forse ingenua, risposta: «Volevate che fosse stato Hitler ad avere la bomba per primo?».