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 2023  agosto 22 Martedì calendario

I 111 anni di Tripolino, l’ex bersagliere che recita ancora le tabelline

«Sono nato a Cecina, nel rione Campaciocchi dove vivo tuttora. Ho due figli, il più grande, Romano, è qui con me. Sergio invece non c’è più, è morto nel 2004. Entrambi mi hanno dato tanti nipoti. Sono un trisavolo, ho accanto a me tanti bimbi. I loro nomi? Beh, fatico a ricordarli, se mi aiutano però mi vengono in mente». L’uomo più vecchio d’Italia – un contadino innamorato del pallone e dello sport, bersagliere tra il 1939 e il 1943 – ha compiuto 111 anni l’altro ieri «e sino ai 102 avevo la patente» dice. È Tripolino Giannini, nato il 20 agosto 1912: c’era la monarchia, il presidente del Consiglio era Giovanni Giolitti che nel settembre precedente cominciò la conquista della Libia. Il nome di Tripolino viene da qui, un omaggio a Tripoli dato dai suoi genitori, «Raffaello, ma tutti lo chiamavano “Fello”, e Amina».
La sua memoria s’inceppa spesso, ma quando ritorna, poderosamente, è grazie anche agli esercizi – più o meno i compiti delle elementari – ai quali lo sottopone tassativamente Romano, 84 anni, imprenditore, tifoso della Roma ed ex presidente del Carpi calcio. Il rito è sempre lo stesso: il figlio va a trovare papà al mattino presto e su un foglietto gli scrive le tabelline – le più complicate, quelle del 7, quelle dell’8 e del 9 – obbligandolo a snocciolare i risultati. «Mi arrabbio quando non mi vengono le risposte – scherza Tripolino —. Un secolo fa, a scuola, era più facile...».
Dopo l’8 settembre del 1943 tornai
a casa
a fare il
mio orto I tedeschi non mi garbavano
Quando si salutano, Romano invariabilmente lo avverte che chiamerà più tardi, «verso mezzogiorno». La chiacchierata successiva è di poche frasi, sono quelle scherzose che ripetono da circa sessant’anni, da quando il figlio lasciò Cecina per l’Emilia dove fondò una delle prime tv private, «Telereggio». Tripolino saluta il primogenito così: «Allora, stai sempre al Nord?». Al «sì» di Romano, il padre invariabilmente replica: «Ma perché non torni qui? Lassù c’è la nebbia, qui c’è il mare». Si ride, e fa niente se da tempo Romano è tornato a stabilirsi nelle vicinanze del rione Campaciocchi.
I miei figli mi hanno dato tanti nipoti, sono un trisavolo
con accanto molti bimbi, se mi aiutano ricordo i loro nomi
Domenica a festeggiare il compleanno a casa di Tripolino c’era tutta la giunta, il sindaco Lippi e il vicesindaco Costantino. «Ho mangiato una fetta di torta – racconta – e ringraziato chi c’era». Una cerimonia un filo più tranquilla rispetto a quella del 2022, quando dopo aver soffiato sulle candeline il trisavolo chiese il permesso di poter cantare. Per un minuto abbondante intonò l’inno di Mameli al termine del quale – eccolo, lo spirito dei livornesi – mandò tranquillamente tutti a quel paese perché, spiegò, «devo fare un pisolino». Come ogni 20 agosto, l’Esercito ha spedito gli auguri all’ex bersagliere che servì in grigioverde «prima in Albania e poi in Francia – ricorda Romano, in videochiamata con accanto il padre —. Dopo l’8 settembre tornò a Cecina a piedi, impiegandoci tre mesi. Non andò né in montagna né a Salò. Si nascose in campagna, dicendo che i tedeschi “un gli garbavano”». A guerra finita tornò «a fare l’orto», sintetizza in un lampo lo stesso Tripolino. Va detto che nel suo podere c’erano diverse serre e nove lavoranti raccoglievano primizie che poi la moglie Amina, ortolana, rivendeva in centro.
Non solo. Nei campi erano stati sistemati degli attrezzi per la ginnastica – panche, trapezi, spalliere recuperati grazie a un aiuto della Gazzetta dello Sport – che ben presto divennero un punto di riferimento dei ragazzi di Cecina. Tripolino è stato podista e allenatore di calcio. «Mia mamma, cagionevole di salute – stavolta è Romano a parlare – si spense nel suo letto a settant’anni, l’11 luglio 1982, proprio durante la finale tra Italia-Germania. Rammento tutto nitidamente anche perché conobbi il babbo come mai mi capitò prima. La notte, mentre sfogliava l’album delle foto di famiglia, mi raccontò tutta la sua vita». Tripolino è lì che ascolta, attento. A un tratto fa un cenno. «Sono stanco», dice. Ma sorride