Corriere della Sera, 22 agosto 2023
La metamorfosi di Comunione e liberazione
Ciò che rende Comunione e liberazione interessante, oserei dire inquietante, anche per noi non credenti, è la costante ricerca di senso: «Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né, per dir così, della terra intera... e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità nell’animo proprio» (Giacomo Leopardi). In fin dei conti è questo il grande bisogno della nostra epoca: «Chi ha un perché del vivere può sopportare quasi ogni come» (Friedrich Nietzsche).
Perciò l’inchiesta che Marco Ascione ha condotto su Cl e dentro Cl, con distacco, curiosità e acribia da grande cronista, è quanto mai benvenuta. Ci aiuta infatti a superare il luogo comune, così a lungo durato, secondo il quale questo movimento ecclesiale fondato dal carismatico don Luigi Giussani non sarebbe altro che la forma moderna assunta da un certo cattolicesimo integralista e affarista, dedito alle opere e al centrodestra. Niente di più superficiale. Ed è proprio la storia che racconta Ascione, dalla rivoluzione di Julian Carrón alle sue dimissioni dalla guida della Fraternità, a dimostrarlo.
Al cuore del tormento di Comunione e liberazione, come del resto di altri movimenti carismatici, c’è infatti una grande domanda che riguarda la Chiesa intera, e che si può riassumere nella profezia di Ratzinger. Nel 1969, quattro anni dopo la fine del Concilio Vaticano II e all’indomani della grande rottura del Sessantotto, nello stesso anno in cui alla Statale di Milano veniva diffuso il volantino che diede il nome al movimento di don Giussani, l’allora professor Ratzinger pre-vide quale sarebbe stato il futuro della secolarizzazione: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi… poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali… verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra per libera decisione… ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza… sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra».
Elaborare e praticare questo nuovo destino da «minoranza creativa» dei cristiani è stata la missione di Comunione e liberazione sotto la guida di Carrón, durata dal 2005 al 2021.
Il punto su cui ha costantemente battuto, questo prete nato in Estremadura scelto a sorpresa da Giussani stesso per succedergli, è stato infatti il rifiuto di una concezione «comoda» del cristianesimo, inteso come un insieme di «regole morali, aspetti sentimentali o formalismi religiosi». Così ha aderito in pieno, fino al limite della rottura interna al movimento, al dettato di Francesco: «La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione». Per lui, come per Giussani, il Cristianesimo non è una dottrina, ma la descrizione di un evento reale, «un incontro, una storia d’amore, un avvenimento», come disse Benedetto XVI ai funerali del fondatore. Il Cristianesimo, come fu alle origini, prima che si facesse Impero, non ha bisogno del potere, ma della libertà: «La verità non si afferma che per la forza della verità stessa». Può insomma essere trasmesso solo «per invidia», per contagio: l’uomo contemporaneo ne viene attratto se può toccare con mano il senso di pienezza che solo l’incontro con Cristo può dare.
Dopo questa lunga premessa «religiosa», con cui giustamente l’autore inquadra la vicenda di Cl nella più grande tempesta che scuote la Chiesa, diventa molto più facile capire perché don Carrón sia stato protagonista di un profondo mutamento nella vita della Fraternità. Il punto di svolta è il 1 maggio del 2012, quando con una lettera a Repubblica il presidente di Cl chiede letteralmente perdono al movimento per le vicende men che terrene, spesso penali, in cui è stato trascinato: «Provo un dolore indicibile – scrive – nel vedere che cosa abbiamo fatto della Grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento è continuamente identificato con la trattativa del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato». Lo ha dato soprattutto Roberto Formigoni, detto il Celeste, il vero capo dell’ala politica di Cl, tre volte governatore della Lombardia, finito con una condanna definitiva nel 2019 a 5 anni e 10 mesi di reclusione per corruzione.
È la cosiddetta «scelta religiosa». Carrón prende coraggio, e un po’ alla volta mette alla frusta tutti i dogmi di un movimento che dovrebbe avere un solo dogma, l’amore di Cristo. Separa Cl dalla politica politicante. Prende le distanze dal conservatorismo, non partecipa al Family day, rinuncia alla retorica dei «valori non negoziabili»: «Domandiamoci da dove traggono origine i cosiddetti nuovi diritti. Ciascuno di essi pesca, in ultima istanza, in esigenze profondamente umane, il desiderio di essere padri e madri, la paura di soffrire e di morire, la ricerca della propria identità».
Intendiamoci, niente che non sia nell’alveo dell’insegnamento cristiano; anzi, ciò che di più vicino si possa immaginare alla lezione di Francesco, alla sua idea della Chiesa come un «ospedale da campo» nelle battaglie della post-modernità. Eppure, ecco il contrappasso, «il Papa che Carrón difende dalle critiche dei suoi, è il Papa che fa calare il sipario sulla gestione ciellina del prete spagnolo», scrive Ascione.
Come si sa, infatti, il cumularsi delle ostilità interne di chi non ha mai digerito la «svolta», le sponde che hanno trovato nella Curia e il sospetto del Pontefice per le leadership a vita dei movimenti carismatici, hanno spinto Carrón a dare con due anni di anticipo le dimissioni dalla presidenza della Fraternità. Questa parte del racconto nel libro è forse quella più giornalistica, ricca di rivelazioni, inediti, e insight. Lasceremo dunque al lettore scoprire che cosa è successo in Cl e che cosa le succederà dopo che Carrón si è messo fragorosamente da parte. Ascione fa infatti parlare numerosi protagonisti della vicenda, che aprono squarci di grande interesse.
A noi preme sottolineare che l’unico che non parli in questa ricostruzione è proprio Carrón. Oggi il prete spagnolo vive in un limbo. Tenuto all’obbedienza e votato al silenzio (un tempo questo si sarebbe chiamato ostracismo), ci manca la sua voce nel dibattito pubblico italiano, ormai così povero di idee e valori cristiani. Il fatto che invece Roberto Formigoni stia valutando la possibilità di tornare sulla scena pubblica, magari candidandosi alle europee con Fratelli d’Italia, ci dà la misura di quanto la «battaglia di Cl» sia davvero un segno dei tempi, e ci riguardi tutti.