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 2023  agosto 21 Lunedì calendario

Pavese e l’estate del 1933

Era l’estate di novant’anni fa, l’estate del 1933, il 31 di luglio per la precisione. In quel giorno Tina Pizzardo, laureata in matematica, militante comunista che si stava avvicinando a Giustizia e Libertà, incontrò Cesare Pavese a Torino, sul Po. Lo aveva già conosciuto a casa di amici antifascisti, ma quello fu il classico colpo di fulmine. Cominciava così la bella estate di Pavese, troppo bella per durare a lungo. Un’estate che non avrebbe mai dimenticato.
Rievocherà Tina nel suo libro Senza pensarci due volte: «Il 31 luglio del ’33 sono in barca a remi con Giulio Muggia, gli ho appena detto che vorrei imparare bene a punta, chissà se tra gli amici c’è qualcuno capace d’insegnarmi ed ecco, tornando all’imbarcadero, troviamo Pavese su un barcone a punta. Mi pare ancora di vederlo: alto, corpo d’adolescente annerito di sole, mutandine da bagno e cappellaccio di feltro calcato fino agli occhiali. (C’era solo lui sul Po a portare il cappello con le mutandine da bagno, lui e i sabbiatori.)».
Pavese s’innamorò della “donna dalla voce rauca”, come la chiamava. Ebbe una breve relazione, le chiese di sposarlo e ricevette un rifiuto. Quando lo scrittore fu liberato dal confino fascista di Brancaleone Calabro, nel marzo 1936, rivide Tina a Torino e seppe che si era fidanzata con il comunista polacco Henek Rieser, con il quale si sarebbe unita in matrimonio il 19 aprile di quell’anno. Scrive Davide Lajolo ne Il vizio assurdo, la prima biografia dello scrittore di Santo Stefano Belbo: «La donna dalla voce rauca è l’unica che Pavese abbia veramente amato». Farà eco Natalia Ginzburg in una intervista: «Ebbe, sui venticinque anni, un grande amore, credo il vero grande amore della sua vita. Tornando dal confino aveva saputo che si era sposata e ne ha sofferto molto. Si innamorava con grande facilità, Pavese, e solo delle donne che sapeva gli avrebbero dato enormi dispiaceri, di quelle che pensava fossero più forti di lui, più dure».
Il 17 settembre del 1935, le aveva scritto da Brancaleone: «Cara, scrivo con la tua stilografica. Nonostante la cattiva esperienza non so resistere alla tentazione di una lettera. Non so se le cartoline che ho spedito al vostro indirizzo vi siano giunte. Quattro tue mi sono arrivate. Approfitto di questo bravo ragazzo per mandarti un ricordo. È già usato, ma non ho altro. Io passo le giornate (gli anni) in quello stato d’attesa che a casa provavo certi pomeriggi dalle due e mezzo alle tre. Sempre, come il primo giorno, mi sveglia al mattino la puntura della solitudine. Descriverti le mie ansie è impossibile. La mia pena non è quella scritta, sei tu; e lo sapeva bene chi ci ha così allontanati. Non scrivo tenerezze; il perché lo sappiamo; ma cerco il mio ultimo ricordo umano, è il 13 maggio. Ti ringrazio di tutti i pensieri che hai avuto per me. Io per te uno solo e non cessa mai». Un anno dopo, invece, era tutto finito.
In un’altra feria d’agosto, quella del 1950, nella notte fra il 26 e il 27, Pavese si sarebbe ucciso in un albergo di Torino. Qualche tempo prima, alla fine di marzo, aveva scritto nel diario: «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla».