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 2023  agosto 21 Lunedì calendario

Intervista a Luca Ricolfi

Luca Ricolfi, l’Italia di Giorgia Meloni pare un ritratto familiare del primo Novecento. Cognati, sorelle, fidanzati (ed ex) cooptati sul ponte di comando. Pure lei ha questa impressione?
Mi sembra un dato di fatto. E una novità assoluta nella storia delle Repubblica.
Il familismo è un vizio genetico del melonismo o un modo per difendersi dai compagni di partito?
Forse né l’uno né l’altro. Per quel che ho capito, Giorgia Meloni è terrorizzata dall’assalto alla diligenza che il suo partito ha subìto a causa della vertiginosa crescita elettorale, e risponde cercando di assegnare incarichi solo a chi conosce personalmente e di cui si fida al 100%. In questa ottica, i parenti e i membri del cerchio magico diventano i primi della lista (che poi la fiducia sia ben riposta è tutto da vedere).
La premier è la donna politicamente forte che tiene l’Italia in pugno oppure è solo un grande effetto ottico?
Non direi che Meloni tiene l’Italia in pugno, semmai usufruisce di una rendita di posizione che le deriva dalla pochezza dei dirigenti dell’opposizione. Però, a voler essere obiettivi, dobbiamo anche riconoscerle una inattesa capacità di muoversi sulla scena internazionale, oltreché una intelligenza politica non comune sulle questioni interne.
Questo governo detiene direttamente la gestione della televisione pubblica, è poi azionista politico delle principali reti private e ha con sé tre quarti della stampa. Condivide?
Solo in parte. La tv pubblica, Rai 3 a parte, è governativa, questo è verissimo. Ed è pure vero che il peso delle reti Mediaset è maggiore di quello di La7. Però sulla carta stampata non direi proprio che i tre quarti stanno con il governo. Durante la campagna elettorale i quattro maggiori quotidiani erano schierati contro il centro-destra. E anche dopo il voto mi sembrano più vicini all’opposizione che al governo. Repubblica, Stampa e Fatto Quotidiano, le testate progressiste più diffuse, vendono più di 200 mila copie al giorno, circa il triplo di Giornale, Libero e Verità, le tre testate più filo-governative.
Quanti voti e quante battaglie Meloni ha rubato alla sinistra?
Difficile fare un calcolo rigoroso, molto a occhio direi 2-3 milioni di voti. Ma il punto sono le battaglie: negli ultimi anni la destra è riuscita a intestarsi la difesa dei deboli e la libertà di espressione (contro il politicamente corretto), e ora si accinge a fare lo stesso con la difesa del merito in ambito scolastico. Un processo che ho ricostruito dettagliatamente nel mio ultimo libro (La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra, Rizzoli).
Gli italiani hanno amori facili e soprattutto brevi. Con Giorgia il feeling durerà molto di più?
Non è detto, credo che molto dipenderà dall’andamento dell’inflazione, dall’esito della battaglia sul salario minimo, e dalla tenuta dei conti pubblici nella prossima legge di bilancio. Meloni non ama la flat tax e punta tutto sul taglio del cuneo fiscale e l’aumento dell’occupazione. Ma per realizzare i suoi obiettivi ha bisogno di spendere più di quanto lo Stato incassa. È possibile che l’Europa chiuda un occhio, ma non è detto che i mercati finanziari siano altrettanto benevoli.
Lei è un liberal che ha molto desiderato un polo di centro. È finita nel peggiore dei modi. Pronostica un passaggio di campo per Matteo Renzi?
Sì, penso che alla fine Renzi si posizionerà a destra, come Calenda. Però permettetemi una precisazione: io non amo affatto il centrismo, che storicamente è sempre coinciso con il partito della spesa, fin dai tempi della Dc. Se proprio dovessi definirmi, direi che sono un riformista radicale, convinto che senza riforme ultra-coraggiose non ne verremo mai fuori.
Il Pd ha un futuro oppure è nato storto e non c’è rimedio?
È nato storto, ma in corso d’opera si è storto ancora di più.
Quindi cadrà prima Elly di Giorgia?
Direi di sì, per due motivi. Primo, perché Giorgia – al di là di quel che si può pensare delle sue idee (e dei suoi imbarazzanti alleati) – è più in gamba e più carismatica di Elly. Secondo, perché il Pd è abituato a divorare i suoi segretari: mi stupirei che, alla prima sconfitta elettorale, non facesse lo stesso con Elly.