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 2023  agosto 21 Lunedì calendario

Intervista a Nicola Savino

«Nel 1984 venni bocciato. Fu la bocciatura più proficua della vita». A quarant’anni dall’inizio della sua carriera radiofonica Nicola Savino ricorda i suoi esordi da adolescente che la radio ha traviato. «Avevo 16 anni, ero in terza liceo e con tre materie da recuperare. Ce l’avrei fatta, se l’ultimo mese non avessi come smesso di andare a scuola perché mi ero messo a lavorare in una radio privata. L’anno dopo avrei recuperato con il classico corso «due anni in uno» da privatista. Le lezioni erano al pomeriggio, così il mattino lo dedicavo alla radio: arrivavo con il buio, alle 7. Fu un inverno freddissimo, l’inverno del nevone. Ma non mancai mai, a costo di arrivarci arrancando a piedi nella neve. Da questo si evince la mia dedizione. Già allora praticavo senza tregua. Se è vero che a causa corrisponde effetto, non poteva che andare così».
Più in dettaglio?
«Si trattava di Radio San Donato, la radio del mio paese alle porte di Milano: occupava i locali di una ex macelleria, in particolare la cella frigorifera che era stata insonorizzata con le scatole delle uova. Un buco senza luce e puzzolente del fumo delle nostre sigarette. Ci passavo davanti tutti i giorni, sapevo che cercavano gente. Mi introdusse un compagno di scuola più grande. C’erano buchi non coperti: anche se ero un novellino senza esperienza – avevo un po’ mentito su quanto fossi esperto -, mi diedero subito due ore: il sabato dalle 14 alle 16. I dischi che avevano non mi piacevano, così li portavo da casa, già scelti con cura. La scaletta la preparavo prima».
Si limitava a mettere dischi?
«Parlavo, parlavo. Cercando di fare lo spiritoso. Ma a sedici anni... Era un umorismo compatibile con il bagaglio di conoscenze, che dico, lo zainetto, di quell’età. Ma eravamo tutti un po’ naïf e ruspanti. Sono stati anni fondamentali, lontani un’era geologica da oggi. E non solo radiofonicamente: c’erano l’Urss, la DDR e il Muro di Berlino, Berlinguer era appena morto».
Quanto durò e quando approdò a Deejay?
«Cinque anni. Nel 1989, il Primo aprile venni chiamato da Deejay. Circa un anno prima avevo mandato una lettera, anche a Radio 105 e R101, proponendomi come fonico e tecnico di regia, dove ero diventato bravino. Ero ancora molto incerto su di me come voce. Feci un provino, estenuante, durò un mese, ogni volta con il timore che ti dicessero: “Caro Nicola, per te Radio Deejay finisce qui”, e venni assunto a tempo indeterminato. Finalmente i miei genitori avrebbero smesso di brontolare: il posto fisso tanto agognato, c’era».
Erano tempi eroici.
«Gli albori: Linus, Cecchetto, Amadeus, Scotti, Jovanotti... Io ero l’ultimo arrivato. Il penultimo era Fiorello, una specie di cavallo pazzo. Me lo appiopparono. E così per anni sono stato il suo regista. Rubacchiando qua e là i trucchi del mestiere, intanto però, iniziavo ad affacciarmi con la mia voce: piccole cose a Viva Radio Deejay. Il mio primo personaggio fu l’Uomo della Strada, italiano medio consultato per dare la sua opinione sui temi del giorno».
Fiorello cavallo pazzo: perché?
«Incontenibile. Organizzare la regia di quel gran casino che erano lui e Baldini era durissimo, puro equilibrismo. Fiore ha rivoluzionato il modo di fare radio: venivamo anche noi di Deejay da una scuola di rigore e pulizia, l’improvvisazione non esisteva, vietato sbavare, tutto doveva scorrere senza intoppi. Il suo merito è stato nobilitare le sporcature: per Fiorello intoppi ed errori erano una pacchia. Dopo di lui tutti ne abbiamo fatto tesoro».
Inviato per «Le Iene» e a «Quelli che il calcio», «Colorado», «L’isola dei famosi», vari «dopo Sanremo», «Boss in incognito», «Back to School» e, un anno fa, «100% Italia». La tv era nei suoi pensieri?
«Facendo un salto quantico con il presente, mai avrei pensato di condurre un game show quotidiano in tv: non era, non dico nei miei obiettivi, ma neppure nei sogni. Anche qui, ci sono arrivato per piccoli passi e anche qui da una back door: autore di Festivalbar, Le Iene, Zelig...»
Il 4 settembre «100% Italia» torna in onda alle 20.30 su Tv8. Come è stato il primo anno?
«Bello tosto: programma nuovo, format originale e da far crescere, e per me la prima conduzione quotidiana. È stato un successo malgrado la forte concorrenza. La prova del nove? L’ha comprato la Francia, dove va in onda in prima serata. Per me è stato la realizzazione di un sogno che inseguivo da anni. All’inizio mi sentivo, ed ero, ingessato, poco per volta mi sono sciolto, sempre più simile al Savino radiofonico che fa un discreto casino. È diventato un abito sempre più comodo».
Cosa le piace maggiormente?
«Stare a contatto con la gente, conoscerne le storie, regalargli dei soldi alla fine. Non nascondo che è emozionante. Confesso che talvolta mi sono proprio commosso. Ognuno ha i suoi piccoli grandi sogni e tu li stai rendendo possibili. Dopo hai la sensazione di una giornata ben spesa».
Non è complicato questo doppio impegno, Deejay e Tv8?
«Fino alle 12 ho una relazione solo con Linus (insieme conducono “Deejay chiama Italia”, ndr). Poi la coppia si separa, ciascuno per la sua strada. Che è poi il segreto della nostra longevità: da 27 anni insieme».