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 2023  agosto 21 Lunedì calendario

La fabbrica cinese del contante

Un dragone a due teste. Da una parte accumula riserve di denaro contante, frutto dell’evasione fiscale di negozi, ristoranti e aziende gestite da cittadini cinesi. Dall’altra mette a disposizione delle mafie montagne di banconote per gli acquisti di droga, soprattutto alla ‘ndrangheta. «Se mi dici Hong Kong ce l’ho… ti arriva il cinese e ti porta i soldi. Gli dai l’appuntamento in albergo, non è un problema…», consigliava un trafficante calabrese intercettato. E non si tratta di un’eccezione, ma di una ragnatela che avvolge l’intera Penisola.
Un milione nella borsa
Il labrador che pochi giorni fa ha scoperto sull’autobus Catania-Aosta una donna con un milione cash nella borsa ha fiutato la pista dell’altra Via della Seta, quella che trasferisce ovunque nel pianeta i pagamenti più scottanti. Ormai i corrieri che attraversano l’Italia con carichi simili sono frequenti: i commessi viaggiatori di un’industria made in China che vende i contanti, uno dei beni più richiesti sul mercato illecito da chi vuole sfuggire all’Erario e – in importi ancora maggiori – da chi deve mercanteggiare tonnellate di cocaina.
Nell’ultimo anno una serie di inchieste della Guardia di Finanza ha messo in luce questo circuito perverso. L’ultima è partita per caso. Un cittadino cinese fermato a un posto di blocco in periferia: nel bagagliaio centinaia di migliaia di euro. Dalle verifiche sono apparse le relazioni con la ‘ndrangheta e seguendo il filo si è materializzato uno schema ormai consolidato: in cambio del cash, gli uomini del clan bonificano lo stesso importo, con l’aggiunta di una percentuale di commissione, ad aziende di Hong Kong o a Shanghai. Il tutto giustificato da fatture false per importazioni di beni. Un canale occulto che funziona pure nella direzione inversa per recapitare le somme ai cartelli sudamericani, permettendo il saldo rapido per i carichi di narcotici approdati nei porti europei.
Il denaro “volante”
È un ingranaggio collaudato, perché questo bancomat intercontinentale nasce della sapienza secolare di comunità sparse nel mondo che maneggiano solo contanti. Lo chiamano “fei ch’ien” ossia il “denaro volante”. Per gli emigrati senza documenti era l’unica maniera di mandare ai parenti il frutto del loro lavoro. Adesso è diventato lo strumento che ha permesso il boom dell’export di cocaina, risolvendo il problema di saldare i conti tra le due sponde dell’Oceano. È l’elemento chiave di una rivoluzione che sta cambiando la natura stessa dei gruppi criminali, generando una potentissima “macromafia” che traffica droga e denaro, come sottolinea il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo: «L’espansione transnazionale delle principali strutture criminali votate al controllo delle rotte di importazione di grandi volumi di stupefacenti ha determinato la creazione di network internazionali che si avvalgono di una gigantesca organizzazione logistica e di comuni strategie di occultamento e reinvestimento speculativo dei profitti dei traffici». Ed ecco la grande trasformazione, evidenziata dal procuratore Melillo: «In questa dimensione, un potente sistema bancario parallelo e clandestino gestisce dalla rete il volume degli scambi commerciali, il che consente a ogni attore di manovrare le proprie scelte finanziarie, superando le difficoltà e i costi del trasferimento transfrontaliero del denaro».
Tecnologia e tradizione
Il meccanismo odierno è un misto di tecnologia e tradizione. Lo scorso giugno le Fiamme Gialle di Reggio Emilia hanno individuato un giovane imprenditore titolare di diverse aziende in Veneto: al telefono gli uomini della ‘ndrangheta lo definivano “il banchiere”. Lui e altri connazionali si occupavano della consegna: come riconoscimento bastava esibire una banconota con un determinato numero di serie. Poi si contavano i soldi e si scriveva il totale sulla stessa banconota: veniva fotografata col cellulare e l’immagine trasmessa al committente. Affare chiuso.
Trattative e contatti avvengono sempre attraverso telefonini criptati, difficili da intercettare. I finanzieri sono riusciti a captare solo le conversazioni interne alle cosche calabresi, come il dibattito – registrato nel 2018 durante l’operazione Pollino European Connection -tra Luciano Camporesi e Domenico Pelle su dove fosse meglio inoltrare i bonifici: Hong Kong o Cina? Pelle aveva già sperimentato la seconda meta per pagare la droga e tutto era filato liscio: «Ma in Cina non ti conviene di più? Noi l’abbiamo mandata là con il bonifico, ci hanno fatto festa». Altri dettagli sono emersi dall’inchiesta delle polizie europee che ha permesso di penetrare i server di SkyEcc, una delle reti di telefonia criptata più diffuse tra la criminalità, decifrando migliaia di messaggi in codice. Ad esempio le chat tra Francesco Giorgi di San Luca e il suo compaesano Paolo Pellicano su come trasferire i guadagni del narcotraffico rivelano che la commissione è soltanto dell’1 per cento. Giorgi però avverte che a Roma «i cinesi non prendono più di un milione alla volta». Sono persone incriminate per gli ingressi record di cocaina dal terminal container di Anversa, saldate grazie alla solita rete.
Il “token” di riconoscimento
Da una città fiamminga un altro calabrese che fa da broker con i colombiani, Lucio Aquino, organizza la consegna di un milione a Roma per conto degli ‘ndraghetisti e fornisce il numero del “token”, la banconota di riconoscimento. Ma il suo emissario lo avverte: «Il cinese si è avvicinato con i cinque euro ma non combaciano». È solo un equivoco, chiarito via chat: nello stesso posto c’era l’appuntamento anche con ungruppo di riciclatori napoletani, rimasti bloccati nel traffico. «Arrivano cinesi da tutte le parti…», è il commento di Aquino.
L’altra faccia del Dragone criminale non è meno preoccupante e si occupa di alimentare il denaro liquido, con tanti rivoli che confluiscono nel fiume milionario. Uno spaccato viene dalle indagini delle Fiamme Gialle in Emilia Romagna, che hanno individuato una catena di “cartiere”: ditte intestate o riconducibili a cittadini cinesi che emettono fatture false e smistano cash. Due soli di questi gruppi hanno sfornato documentazione per 127 milioni di euro, bonificando all’estero 45 milioni. Altri invece si lanciano su aziende in crisi: sottraggono i beni, le fanno fallire e cedono i crediti d’imposta.
Quanto sia estesa questa “sindrome cinese” lo testimonia l’ultimorapporto dell’Uif, l’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia. Lo scorso anno, l’analisi di 62 operazioni sospette ha fatto emergere una rete composta da 1.600 soggetti con un’operatività per 270 milioni di euro che mandano fondi verso le banche della Repubblica popolare. Poi entrano in scena i collettori: «In genere imprese di recente costituzione, nonostante ciò già cessate o in procinto di esserlo – scrivono i detective di via Nazionale – che talvolta rappresentano l’ultimo anello della catena dei trasferimenti, essendo beneficiarie del rientro in Italia delle somme fatte espatriare». E concludono chiudendo il cerchio: «Le evidenze acquisite dimostrano frequenti scambi finanziari con nomi inclusi nella banca dati della procura antimafia»