La Stampa, 20 agosto 2023
Il conto alla rovescia per Trump
È partito il conto alla rovescia per la settimana di fuoco di Donald Trump al termine della quale l’ex presidente degli Stati Uniti si costituirà in Georgia, in merito all’ultima incriminazione a suo carico per aver tentato di sovvertire il voto del 2020 nello Stato del Sud. Il tycoon salterà gli appuntamenti principali per i quali era atteso, ovvero la conferenza stampa annunciata per domani dalla residenza di Bedminster, in New Jersey. E non ci sarà nemmeno il 23 agosto a Milwaukee in Wisconsin, per il primo dibattito tra i possibili candidati repubblicani in vista delle primarie del partito organizzato da Fox News.
L’ex presidente si concederà invece un’intervista con Tucker Carlson, l’ex anchor silurato proprio da Fox. In entrambi i casi è stata la squadra legale a consigliargli di rinunciare per evitare di complicare ulteriormente la sua posizione in merito ai procedimenti a suoi carico. Ma c’è anche un po’ di strategia politica nella mossa di Trump che non vuole mettere a rischio l’ampio vantaggio che ha sui rivali nella corsa alla Casa Bianca.
Nonostante le quattro incriminazioni l’ex presidente ha un netto distacco in avanti, e si prevede che il caso della Georgia possa spingerlo ulteriormente. C’è, infine, una motivazione personale ovvero la rivalsa del tycoon sulla rete del miliardario Rupert Murdoch che, a suo avviso, lo ha maltrattato preferendogli negli ultimi mesi il rivale Ron DeSantis. Trump dovrebbe presentarsi al carcere di Rice Street, ad Atlanta, nei prossimi giorni – giovedì o venerdì – e questa volta sottoporsi a un trattamento ben diverso rispetto alle precedenti tre incriminazioni. A Trump dovrebbero, infatti, essere prese le impronte digitali e scattata la foto segnaletica, in quella che è una prima per un ex presidente.
Il tycoon ostenta comunque sicurezza come dimostra la sfida a Murdoch con l’assenza al dibattito. La quarta incriminazione in cinque mesi è giunta al termine di una lunga ed estenuante vigilia di Ferragosto, quando il Grand Jury ha approvato prima del previsto le accuse mosse dalla procuratrice distrettuale (democratica) Fani Willis, dopo aver raccolto le testimonianze di personaggi chiave che avrebbero fornito elementi inconfutabili a carico del tycoon, tra i quali il repubblicano Geoff Duncan, l’ex vicegovernatore della Georgia divenuto uno dei suoi più accesi nemici. Il 45esimo presidente continua a evocare la «caccia alle streghe» che ne fa un perseguitato dalla giustizia politicizzata come quella della procura che ha proceduto a suo carico in Georgia assieme ad altre 18 persone, tutte incriminate. Tra gli altri, il suo ex avvocato personale Rudy Giuliani, il suo ex capo di gabinetto Marc Meadows, il quale sta tentando di chiedere il trasferimento della procedura alla corte federale, nonché i legali Kenneth Chesebro e John Eastman, considerati gli architetti del piano per usare elettori pro Trump falsi in Georgia e in altri stati conquistati da Joe Biden. Le accuse ruotano attorno alla legge antiracket, quella usata contro le associazioni criminali, anche di stampo mafioso, per condannare non solo gli esecutori, ma anche i mandanti.
Per Trump si tratta della quarta incriminazione dopo quella che lo vede coinvolto a New York per il presunto pagamento con fondi elettorali di somme di denaro alla porno attrice Stormy Daniels e l’ex modella di Playboy Karen McDougal. C’è quella di Miami sui documenti classificati sottratti alla Casa Bianca e nascosti a Mar-a-Lago, e quella di Washington per i fatti del 6 gennaio 2021. Quella della Georgia però è senza dubbio la più pesante, perché gli inquirenti sarebbero in possesso della “smoking gun”, la pistola fumante che incastrerebbe il 45esimo presidente Usa. Come la telefonata fatta da Trump all’allora segretario di Stato (della Georgia) repubblicano Brad Raffensperger per chiedergli di trovare 11.780 voti necessari a fargli superare Joe Biden.
L’ipotesi di un secondo mandato del tycoon, tuttavia, non solo preoccupa democratici e moderati negli Usa, ma agita il Vecchio Continente. Secondo alcune fonti citate dal New York Times, la maggior parte dei governi europei si interrogano sul possibile ritorno al 1600 Pennsylvania Avenue dell’ex-presidente. E, soprattutto, sulle conseguenze che potrebbe avere per la guerra in Ucraina e la coesione dell’alleanza. I Paesi dell’Europa centrale sono più convinti di poter gestire una seconda presidenza di The Donald rispetto a quelli occidentali, soprattutto la Germania. Durante la sua presidenza, Trump ha minacciato di ritirarsi dalla Nato, ha negato gli aiuti a Kiev mentre lottava con l’insurrezione sostenuta dalla Russia, ha ordinato il ritiro di migliaia di truppe americane dalla Germania (mossa successivamente ribaltata da Biden), e ha parlato con ammirazione del presidente russo Vladimir Putin.
Proprio riguardo al leader del Cremlino, in una recente intervista a Fox Business di cui sono uscite alcune anticipazioni, Trump ha offerto una nuova motivazione per cui è convinto che Putin non avrebbe invaso l’Ucraina se lui fosse stato al comando. «Ero la pupilla dei suoi occhi. Non sarebbe mai andato in Ucraina, ma solo per il mio rapporto con lui», ha detto, ripetendo che potrebbe «porre fine al conflitto in un giorno» costringendo Kiev a «un accordo».