il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2023
Fantozzi a Cortina
Una mattina il Calboni si stava vantando di essere un grande playboy, un gran mondano e grande sciatore; disse anche di avere una casa a Cortina d’Ampezzo, la perla delle Dolomiti. «Lei conosce Cortina naturalmente… Fantozzi?» domandò. E lui: «Io… certo… è naturale!». E la Silvani: «Lei sa sciare… Fantozzi?». «Sì…» rispose lui guardando fisso Calboni, «benissimo… io scio benissimo». «Perfetto» fece giulivo Calboni, «vi invito entrambi nella mia villa di Cortina». Avevano accettato con entusiasmo tutti e due, ma la sera tornando a casa nella sua 128 Fantozzi si era reso conto che non aveva mai visto Cortina in vita sua e soprattutto non aveva mai messo un paio di sci (…).
Partirono con la 124 Spider di Calboni. Calboni al volante, la Silvani a destra e lui nel pozzetto bagagli. In autostrada Calboni domandò: «Volete che apra la capote?». La Silvani trillò: «Sì… sì… così prendiamo il sole!». Dopo 20 chilometri Fantozzi aveva i capelli presbitero, una falciatrice meccanica al posto del cervello e le allucinazioni. Al Grill Pavesi di Padova, dove si erano fermati un attimo, vide una gran croce in cielo con la scritta: «In hoc signo vinces!». Poi gli venne da vomitare e andò alla toilette dove svenne. Quando ripartirono, lui era così nel pallone che disse anche di essere stato «azzurro» di sci (…). Arrivarono a Cortina all’ora di punta e trovarono un traffico più mostruoso che all’uscita dallo stadio. «Andiamo a prendere un drink al Posta» propose Calboni. «Questa è l’ora migliore… ci sono tutti!». Fantozzi entrò al bar del Posta con la testa presbitero e un colorito viola-verdastro. C’erano tutti. Vale a dire c’era una ressa di gente che urlacchiava nel terrore di non esser notata (…). Calboni non conosceva naturalmente nessuno. C’era in prima fila Marta Marzotto che aveva conosciuto Fantozzi a casa del Megapresidente a Roma e lo salutò cordialmente senza ricordarne il cognome. Fantozzi molto imbarazzato le presentò la Silvani e il Calboni. Questi, furbissimo, con un colpo di mano se ne impossessò e dopo un minuto gliela ripresentò come «una vecchia amica» (…). «Fai tu qui, intanto, che poi ci mettiamo d’accordo» disse Calboni raggiungendo l’uscita. Fantozzi pagò 6000 lire per tre aperitivi e uscì esterrefatto.
La villa di Calboni era un appartamentino affittato per la stagione da un suo zio diabetico, una topaia sinistra negli scantinati del palazzo delle Poste. Un’unica camera con cesso «alla turca», piccolo lavabo con stalattite di ghiaccio pendente dal rubinetto e cucinino in un sottoscala. Calboni disse: «Vi assegno le stanze! Io e la signorina Silvani ci dovremo adattare in questa matrimoniale e lei Fantozzi si piazzerà sul materassino di gomma in cucina».
Andarono a cena a El Toulà, il ristorante più mondano di Cortina. C’era un party in onore di Marta Marzotto (…). Furono presentati ad alcuni ospiti: un grande radiologo con solo un pollice e un mignolo che nella presentazione lasciò in mano a Fantozzi, e lui imbarazzatissimo non osava restituirglielo in pubblico così alla fine lo buttò per terra in un angolo; i Moretti, quelli della birra, Soave Bolla, Folonari, Chianti Melini. Alla fine del giro di presentazioni Fantozzi era quasi ubriaco (…).
Alfredo, il padrone, a un tratto disse: «Voilà. Ecco il loro risotto primavera!», e batté le mani trionfalmente. Sorpreso dal colpo di mani improvviso, il cameriere, in cima alla scala col pentolone di rame del risotto, fece una sforbiciata alla Riva e venne giù a bomba. Incappucciò clamorosamente Fantozzi con un sinistro suono di gong. Dai tavoli vicini si avventarono su di lui con pezzetti di pane e cucchiai, tanta era la fame. «Non è successo nulla…» diceva Alfredo con finta allegria mentre il cameriere si trascinava verso la cucina con due costole fratturate (…). Calboni urlacchiò: «Domani tutti a sciare!». La proposta fu accolta con entusiasmo da tutti i Marzotto che sono degli implacabili sciatori. «Lei scia bene?» domandarono a Calboni, e lui: «Molto, ma purtroppo ho uno stiramento… lui piuttosto è stato azzurro!…» e indicò Fantozzi. Ci fu un momento di ammirazione. «Domani allora alle 10 e mezzo alla Stratofana» proposero i Marzotto. Uscirono e Calboni lo pregò di pagare lui per questa volta che poi si sarebbero fatti i conti. Gli portarono via la tredicesima (…).
Non chiuse occhio, quella notte: e disperato sentì i tentativi volgarissimi di Calboni con la Silvani. Al mattino della sentenza ci fu la vestizione e chiamarono la portiera perché non riuscivano a capire la meccanica tremenda degli scarponi a iniezione. Andarono prima a prendere il sole al «Caminetto». Qui c’era una certa Principessa Anastasia Romanov, indubbiamente la sopravvissuta di Ekaterinburg, pensò Fantozzi molto ammirato. La Principessa si vantava di non usare il turpiloquio tremendo dei giovani d’oggi, che trovavano in questo solo una stupida difesa alle loro frustrazioni. Fantozzi era come sempre molto d’accordo. Calboni sulle prime prese le parti dei giovani, poi appena seppe che era una Principessa applaudì. «Vorrei un drinchino» disse la Principessa. Fantozzi batté le mani come aveva visto fare da Alfredo al Toulà e cadde un lastrone di ghiaccio dal tetto che centrò Anastasia in pieno teschio. La bestemmia della Romanov che squarciò la valle fu una delle più colorite e più lunghe che Fantozzi aveva sentito in vita sua: trentasei minuti, un record! (…)
La Silvani domandò: «Fantozzi, è pronto?… La aspettavano su al Pomèdes per fare la Stratofana!…». Fantozzi non rispose, si infilò il casco spaziale, disse un atto di dolore e partirono. «Noi aspettiamo quaggiù» disse perfidamente Calboni cingendo la vita della Silvani, «ai piedi della seggiovia!». Fantozzi arrivò al Pomèdes come un Findus (…). I Marzotto gli infilarono gli sci e si buttarono: «Fuori uno!… Fuori due… fuori tre… via, Fantozzi!» e gli diedero una spinta. Lui vide la tremenda voragine. In quell’attimo vide anche sua moglie e sua figlia che gli sorridevano e poi la Madonna di Fatima. Al traguardo arrivarono tutti i Marzotto dopo sei minuti. Ma dopo mezz’ora, nessuna traccia di lui. La valle era diventata muta (…). Poi cominciò ad arrivare roba in quest’ordine: «al quarantesimo minuto uno sci Fiberglass Fisher», «al quarantatreesimo il casco Jean Claude Killy», «poi una racchetta, con un guanto e uno scarpone», «una manciata di denti e un pezzo dell’altro sci». Poi alla quarta ora, in un silenzio orrendo, a «pelle di leone» lentissimo fino ai piedi della Silvani arrivò Fantozzi. Parlava fitto fitto da terra con la Madonna e diceva di essere il capitano Nobile e di aver dimenticato la cagnetta Titina al rifugio. Un medico lo schiaffeggiò, lui si alzò e disse: «Sono completamente fuori allenamento!» e svenne in avanti faccia nella neve. Lo portarono nella cucina.
Nella notte, quando capì che Calboni ce l’aveva fatta con la Silvani, pianse a lungo in silenzio, con grande dignità.