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 2023  agosto 19 Sabato calendario

Biografia di Roy Campbell

Il 6 ottobre 1944, J.R.R. Tolkien riferisce al figlio Christopher i dettagli di un incontro che lo ha sconvolto. Al «The Eagle and Child» di Oxford, Tolkien ha un appuntamento con C.S. Lewis. Insieme a lui c’è «uno strano uomo alto e magro... con cappello a tesa larga, occhi vivaci e naso aquilino». L’uomo si presenta come Roy Campbell. Più giovane di Tolkien di dieci anni, nato in Sudafrica come lui, da immigrati scozzesi. Il nonno, William Campbell, era partito da Glasgow nel 1850 facendo fortuna, a Durban, nel commercio della canna da zucchero. Il papà di Roy era un medico, laureato all’università di Edimburgo. Cresciuto nel disprezzo della vita immobile, tra savane, fiere e Shakespeare, Roy Campbell fu mandato a studiare a Oxford. Al diploma, preferì la poesia. Gli piaceva menare, sapeva uccidere. Ai club inglesi dell’epoca parve strampalato, esotico, bellissimo. Tolkien restò sbalordito dalla sua foga retorica: «Quello che mi ha divertito di più è stato il racconto del grasso Epstein (lo scultore) e di come lottò contro di lui, mandandolo in ospedale per una settimana». L’episodio era accaduto vent’anni prima. Jacob Epstein aveva accusato Roy Campbell di portarsi a letto entrambe le sorelle Garman, Mary e Kathleen, ricche, audaci, idolatrate dagli artisti di allora. Ne scaturì uno scandalo. Nel febbraio 1922, Roy era riuscito a sposare Mary; la cerimonia – celebrata a Wednesbury, nelle tenute dei Garman – irritò gli aurei ospiti: Campbell si era presentato in abiti volgari, con le scarpe bucate. Schifato dalla città, portò la sua bella in Galles, in un piccolo borgo sul mare, poco distante da Aberdaron. A Mary piacevano i modi elementari del marito: lì Campbell scrisse le sue poesie più belle, lì nacque la figlia, Teresa. Per la cronaca, Campbell soffocò i riti della gelosia di Epstein mandandolo al tappeto.
Quello che incontra Tolkien, tuttavia, è un poeta reietto, il re dei letterati a cui è stata sottratta la corona, il paria, l’inavvicinabile. Soltanto due anni dopo, nel 1946, Thomas S. Eliot avrebbe messo fine all’ostracismo che gravava sulla figura di Campbell pubblicando per la Faber Talking Bronco. Eppure, a Tolkien piaceva «questo poderoso poeta e soldato... una finestra aperta su un mondo selvaggio, tuttavia, un uomo gentile, modesto, caritatevole». Lo descrive come un «vecchio Trotter segnato dalla guerra». Il dettaglio non è insignificante: Trotter è l’hobbit che funge da prototipo per la creazione di Aragorn, il re in esilio.
Cos’era successo? Due cose. La prima affibbiò a Campbell la nomea del provocatore, del rompipalle; la seconda lo consegnò alla storia come un nemico pubblico. Partiamo dalla prima. Sposando un pavone dell’alta società inglese, Campbell si trovò invischiato nel Bloomsbury Group. Ai suoi occhi, Virginia Woolf, Lytton Strachey & Co. raffiguravano la fine della granitica gloria britannica: promiscuità, snobismo, mollezza, ateismo modaiolo, socialismo per vezzo, culto omoerotico. Quando scoprì la tresca saffica tra la moglie e Vita Sackville-West, disseppellì l’ascia di guerra. Scrisse un violento, epico, improbabile poema satirico, The Georgiad (1931) in cui sputtanava i Bloomsberries e mollò tutti, trasferendosi in Provenza. La moglie, ravveduta, lo seguì poco dopo. Il secondo affare cambiò per sempre la vita di Campbell. Tolkien la racconta così: «è diventato cattolico dopo aver dato rifugio ad alcuni carmelitani a Barcellona – inutilmente, perché questi furono presi e massacrati, e R. C. rischiò di perdere la vita. Ma riuscì a prendere gli archivi dei Carmelitani dalla libreria in fiamme e li portò in salvo dai rossi... Come sai, ha poi combattuto tutta la guerra a fianco di Franco». In particolare, i fatti sono andati in questo modo. Nell’autunno del 1933, per un contenzioso con il vicino di casa, Campbell deve lasciare la Francia. Si sposta in Spagna: per alcuni giorni abita a Barcellona, poi si trasferisce a Toledo, non lontano da un monastero di carmelitani. Vuole fare l’allevatore di cavalli. Il disastro comincia nel marzo 1936. Agli albori della guerra civile, truppe anticlericali attaccano le chiese, minacciano di morte i preti, dispongono che sulle mura di Toledo vengano affissi i ritratti di Marx e di Lenin. I coniugi Campbell riparano a casa loro diversi monaci. Il poeta è confermato nella fede dall’Arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna Isidro Gomá y Tomás. In luglio sboccia la guerra: milizie comuniste provenienti da Madrid uccidono diciassette carmelitani, amici di Campbell. Il poeta scopre i loro corpi abbandonati per strada, funestati dalle fucilate; cerca di dar loro degna sepoltura. Inoltre, mette al sicuro diversi documenti del monastero, tra cui i faldoni dell’opera di San Giovanni della Croce. Braccati, in fuga, i Campbell s’imbarcano in agosto sul «Maine», la nave messa a disposizione dal governo britannico per evacuare i concittadini. Disgustato dall’orientamento dell’intellighenzia inglese – comunista per sport, a supporto delle Brigate internazionali -, Campbell, dopo aver rifiutato un abboccamento con Oswald Mosley, guida della British Union of Fascists, salpa per Lisbona e da lì ritorna in Spagna, a seguire le sorti dei nazionalisti come inviato di guerra. Di fatto, Campbell è l’unico scrittore libero che parteggia per l’esercito di Franco. Così, mentre possiamo leggere le testimonianze, tantissime, degli scrittori democratici – esempi sparsi: Per chi suona la campana di Hemingway, La speranza di André Malraux, Omaggio alla Catalogna di George Orwell, amico di Roy – ci è negata la lettura di Flowering Rifle, il poema antimarxista di Campbell sulla guerra di Spagna, pubblicato nel 1939, contro «La Sinistra pugno chiuso tanto abile nel maneggiare il coltello/ audace in guerra più che nella lotta per il salario».
Per Campbell è l’inizio dell’esilio culturale. Di fronte ai poeti – Wystan H. Auden su tutti – che gli davano del fascista, il poeta che indossava cappelli a tesa larga e pareva la profezia di Indiana Jones rispondeva con la spavalderia dei puri: dov’eri tu mentre massacravano i miei amici carmelitani? Nel 1925 aveva fondato una rivista, Voorslag, allo scopo di denunciare la brutalità del sistema coloniale sudafricano: accusava i suoi concittadini di essere razzisti, schiavisti, poco più che idioti. Durante la Seconda guerra mondiale combatté contro Hitler – mentre troppi poeti inglesi, sedicenti comunisti, osservavano dall’attico statunitense. Dal 1943 prestò servizio a Nairobi, organizzando azioni contro l’armata imperiale giapponese. Una rovinosa caduta dalla motocicletta lo obbligò all’inattività. Convalescente in Inghilterra, incontrò Tolkien. «È impossibile descrivere un personaggio così inconsueto», scrive ancora Tolkien al figlio. «Com’è diverso dalla Sinistra – i panzer di velluto che fuggirono in America (Auden tra gli altri che con i suoi amici fece mettere al bando i lavori di R.C.!). Spero di rivedere quest’uomo...».
Vent’anni prima, nel 1924, Campbell aveva esordito con una delle opere più folgoranti della poesia inglese del Novecento. The Flaming Terrapin fu pubblicato da Jonathan Cape su consiglio di T.E. Lawrence. Il mitico «Lawrence d’Arabia» era rimasto sbalordito dalla lettura del manoscritto («che originalità, che energia, che freschezza primordiale... è magnifico»), intimando l’editore, «piglialo – è roba possente». Il poema – degno di stare al fianco di titaniche, coeve opere: La terra desolata di Eliot, Anabasi di Saint-John Perse, Harmonium di Wallace Stevens, Il cimitero marino di Paul Valéry -, ancora inedito in Italia, uscirà il prossimo anno per le edizioni Magog, nella traduzione lirica di Andrea Temporelli. È ora di leggere Campbell per quello che è, un poeta di raro genio, oltre gli ostruzionismi politici.
Negli ultimi anni della sua burrascosa esistenza, soltanto Dylan Thomas fu al fianco di Campbell: gareggiavano in formidabili bevute. Nel 1947, Campbell aggredì Stephen Spender, durante una lettura pubblica: ai suoi occhi rappresentava il peggio della sinistra britannica, che predica bene, su troni di cristallo, lasciando agli altri la sporca lotta. Spender ne uscì sanguinante; quando gli dissero di denunciare Campbell rispose, laconico, «è un grande poeta, il più grande, dobbiamo capirlo». Pochi anni dopo, Spender presentò Campbell al Foyle Prize, per la sua traduzione dei testi di Giovanni della Croce, messi in salvo a Toledo dallo scempio delle milizie rosse.
Roy Campbell morì a Setúbal, il lunedì di Pasqua del 1957, in macchina. Amava la velocità e l’ardore dei vinti. Aveva tradotto Pessoa e Quevedo, Rubén Darío e Federico García Lorca. Il Clan Campbell a cui apparteneva, famiglia d’antico lignaggio originaria delle Highland, recava come motto «No Obliviscaris». Alla nascita gli avevano dato troppi nomi: Ignatius Royston Dunnachie Campbell. La balia, di etnia Zulu, lo portava di nascosto a vedere il mare. Lo chiamava «Lwandhla», che significa oceano.