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 2023  agosto 19 Sabato calendario

L’abecedario di Moretti

Apicella Michele. Porta il cognome da nubile della mamma del regista ed è il suo alter ego nei primi film. Un po’ come Antoine Doinel fu per Truffaut e il Giovanni di Lou Castel per Bellocchio. A interpretarlo, Nanni chiama il suo attore preferito: se stesso.
Borderò. Uno dei tanti feticismi di Moretti. Ancora oggi la domenica sera chiama i cassieri del cinema Sacher chiedendo il numero di ingressi. Esilarante il suo «dialogo» con la segreteria telefonica, che gli snocciola le presenze del week end, nel corto Il giorno della prima di Close Up.
Cannes. Casa sua. Ogni suo film è stato in concorso alla Croisette, anche se già uscito in sala (come nel recente Il sol dell’avvenire). Nel 1994 ha vinto il premio alla regia con Caro Diario, nel 2001 la Palma d’Oro per La stanza del figlio.
Ducourneau Julia. Quando nel 2021 Titane trionfò a Cannes (a scapito del suo Tre piani), un Nanni reso decrepito dai filtri Instagram pubblica un’ironica video-lamentela. «Invecchiare di colpo succede, soprattutto se un tuo film partecipa a un festival e non vince. E invece vince un altro film, in cui la protagonista rimane incinta di una Cadillac». Signorile la risposta della regista francese: «Il mio è un film sulla paternità esattamente come quello di Moretti, che ho amato tantissimo».
Edipo. Ovvero i figli contro i padri, i giovani autori contro i maestri. Celebre nel ’77 il dibattito Rai in cui affronta Monicelli a muso duro: «Perché questa ricerca ansiosa e angosciosa del successo nei tuoi film?». Mario incassa e argomenta. Ci pensa Risi a sbeffeggiare il suo narcisismo: «Nanni, spostati e facci vedere il film».
Freud. In Sogni d’oro Moretti è un regista esordiente che dirige un film sulla mamma del dottor F. Ma in generale la figura del terapeuta ritorna in quasi tutti i suoi lavori, da Bianca a La stanza del figlio fino a Il sol dell’avvenire. E in Habemus Papam, quando si ritaglia un lungo cameo nei panni dello psicanalista pontificio, il film di colpo s’illumina.
Girotondi. Breve e lontana (era il 2002) la stagione in cui la politica la si contestava in piazza tenendosi per mano. Senza derive populiste, anzi, ribadendo: «Noi continueremo a delegare ai partiti». Tra i girotondini della prima ora ci fu proprio Nanni, che attaccò a sorpresa l’Ulivo di Rutelli: «Con questa dirigenza non vinceremo mai». E così andò.
Horror. Considera la violenza al cinema l’ultimo rifugio delle canaglie. Ne Il sol dell’avvenire blocca la lavorazione di un film truculento, in Caro Diario esce dalla sala catatonico dopo aver visto Henry pioggia di sangue. Ricorda chi ne aveva scritto bene, gli piomba in casa e lo tortura leggendogli la sua recensione entusiasta.
Instagram. Da sempre in odore di luddismo, stupisce tutti esordendo con efficacia nei social network. Che siano brevi backstage, oppure lui e il cast di Tre piani che si preparano per Cannes canticchiando Soldi di Mahmood, tempi e forma sono perfetti.
Linguaggio. «Chi parla male pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti», ammonisce in Palombella rossa. La sua attenzione per la lingua è maniacale, detesta neologismi e anglismi fini a se stessi. Puntualizza, corregge, fustiga. A sua madre in Ecce bombo: «Si dice Silvia, non “la” Silvia. Fortunatamente siamo a Roma, non a Milano. Cacare, non cagare. Fica, non figa».
Musica(l). Ci sono tante note nei suoi film. Le sonorità latine di Caro diario, ma anche brani già celebri a cui regala un angolo di paradiso cinematografico. Come Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli (Bianca e La stanza del figlio) o Voglio vederti danzare di Battiato (Il sol dell’avvenire). Sempre in attesa del musical promesso in Aprile, sul «pasticcere trotzkista, isolato, calunniato che solo nel suo laboratorio tra le sue paste e le sue torte è felice. E dimentica. E balla».
Netflix. Durante la pandemia rifiuta la proposta di uscire direttamente in streaming con Tre piani, aspettando la riapertura delle sale. E ne Il sol dell’avvenire sbertuccia la politica delle piattaforme incentrata su «slow burner», «turning point», «plot time», «momenti what-the-fuck». Praticamente un epitaffio.
Orlando Silvio. Con la sua espressione dimessa, incarna alla perfezione il senso di inadeguatezza dei personaggi morettiani. Insieme hanno girato 5 lungometraggi e un corto. Più Il portaborse di Luchetti, in cui Orlando è l’ingenuo sottopancia di un politico corrotto, interpretato proprio da Nanni.
Pallanuoto. La sua prima passione, che lo sospinge fino alla nazionale giovanile e ai tornei internazionali. Appesa la calottina al chiodo, nel 1989 cuce intorno a questo sport lo psicodramma politico-esistenziale di Palombella rossa.
Qualcosa di sinistra. Orfano del vecchio Pci (di cui officia le esequie nel 1990 con il documentario La cosa), ne Il sol dell’avvenire sogna ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. E da Aprile in poi sta ancora aspettando che a sinistra qualcuno dica qualcosa di sinistra. Anche non di sinistra. Una cosa. Qualcosa.
Rassegne. Le ama da sempre. Da giovane frequentava i cineclub romani e i cineforum studenteschi, da 15 anni nell’arena estiva del suo Sacher organizza «Bimbi belli», dedicata ai registi esordienti. A Torino ancora ricordano come le migliori le due edizioni del Film Festival dirette da lui, nel 2007 e nel 2008.
Sacher. Non è solo una delizia viennese, ma il file noir della sua carriera. In Bianca s’indigna che il suo interlocutore non la conosca. Si vendicherà dell’ignorante dando il nome del dolce alla sua sala di Trastevere e alla sua casa di produzione.
Talent scout. Ha sempre avuto occhio per il talento altrui. Ha lanciato Mimmo Calopresti, Valia Santella, Carlo Mazzacurati, Daniele Luchetti, Susanna Nicchiarelli. Nessun regista italiano ha mai prodotto così tante opere prime.
Ultimo film. «Il cinema italiano va sempre più a fondo, stiamo chiudendo la baracca per sempre. I registi sembrano concorrenti di una gara a chi fa l’ultimo film italiano. Dopo questo non so se ne farò un altro: è come aspettare la fine mentre intorno tutto cade a pezzi». Lo disse a Lietta Tornabuoni su questo giornale, nel 1984. Per fortuna non è andata così.
Venezia. Nessuno è profeta in patria, nemmeno lui. Che al Lido nel 1981 vinse (ex aequo) il Premio speciale della giuria con Sogni d’oro e nel 1989 un premio minore per Palombella rossa. Da allora a Venezia ci va da turista.
Živago. In Palombella rossa arringa la folla insieme a cui sta guardando Il dottor Živago, tifando per un finale diverso. Più in generale, ha sempre esplicitato film e autori che l’hanno influenzato. Come Pasolini, con la struggente scena di Caro Diario all’idroscalo di Ostia, sulle note di Keith Jarret. O il finale felliniano di Il sol dell’avvenire. Con buona pace di Sergio Leone, che di Sogni d’oro disse: «Fellini 8 ½ m’interessa, Moretti 1 ¼ no».