Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 19 Sabato calendario

I giovani non fanno sesso

Qualche giorno fa, per ragioni ponderabili ma non rintracciabili, su TikTok, il grande magnate di meteore, sorpassati, inosservati e velleitari, migliaia di ragazze e ragazzi (in verità quasi solo ragazze) hanno preso a condividere video in cui cantavano Certe notti di Ligabue, con una particolare enfasi su un verso preciso. Questo: «Certe notti c’ hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà». Cantavano e abbracciavano un’amica perché quel verso, per loro, era inequivocabilmente riferito a un’amica. Amica non in senso biblico, malizioso, furbetto, doppio, harrytipresentosallyesco, anni Ottanta, bensì in senso puro, tecnico, asessuato, ciceroniano, battistiano: una donna per amico, la «forte e debole compagna che qualche volta impara e a volte insegna». Ligabue, però, intendeva l’amica di una sera, la medesima cara amica di una sera dei Pooh, quella con una «pelle sconosciuta e sincera», quella con cui amarsi a tempo breve, con l’intensità indelebile della transitorietà, per poi tornare a casa, da un’altra, assai probabilmente arrabbiata, di certo inamovibile – erano altri, altrissimi tempi: la scappatella era concessa, naturalmente solo al maschio, e godeva di una sua poetica. Ligabue si riferiva a quella che, molto dopo rispetto a Certe notti (correva l’anno 1995), e fino a non molto tempo fa, quando i millennial (i quarantenni) erano ancora giovani, ventenni, si chiamava sciaguratamente, orribilmente, “scopamica”. Per i ventenni d’oggi, membri attivi della Generazione Z, che il sesso lo hanno riposizionato (per fortuna), decentrato (beati loro), depotenziato (siano lodati), ridiscusso, sviscerato, osservato, ripostulato, un verso come quello di Ligabue è da intendersi alla lettera: l’amica che ti cura le ferite è la tua migliore amica. Logico, no? Semplice (viva il cielo: semplice). Questo minuscolo, divertente dettaglio è una fotografia perfetta e affascinante della rivoluzione in corso, quella che in questi anni abbiamo chiamato recessione sessuale nel mondo giovanile, e alla quale abbiamo dato eziologie più o meno diverse ma sempre, ugualmente catastrofiche: astenia relazionale, terrore dell’altro, virtualizzazione delle relazioni, ansia da prestazione, ansia da condivisione, ansia da esposizione, non accettazione di sé, non accettazione del rischio, insicurezza, solitudine, riflusso da social network, riflusso da Tinder, riflusso da genitori (e soprattutto nonni) innamorati del sesso fino all’ossessione. Per i nati prima delle Torri Gemelle, il sesso era ovunque, lo si vedeva, scovava, rintracciava anche dove proprio non c’era, era il motore immobile di tutto. Per i nati dopo il 2001, invece, vale il contrario: il sesso scompare. Non lo vedono nemmeno quando ce l’hanno sott’occhi, sottomano, non lo sentono nemmeno quando la voce calda di un rocker lo invoca. E non per censura, cancel culture, woke culture, politicamente corretto e nessuna delle altre sottoculture di cui fatichiamo a capire il mandato (che ci sentiamo di assicurare non è l’abolizione dell’Occidente, di Shakespeare, di Policleto, di Giovenale, di Biancaneve, ma una rimodulazione in fieri di valore e valori, sensibilità, linguaggi). Questo quasi triennio di post Covid che abbiamo addosso può forse aiutarci a diversificare lo sguardo su questo fenomeno che riguarda moltissimo i ventenni e di certo anche gli adolescenti e ad accostare alle letture più allarmate quelle più fiduciose.
Se la recessione sessuale nel mondo adulto è difficilmente scorporabile dalla crisi delle coppie, dalla difficoltà di appianare i gap tra uomini e donne (incluso l’orgasm gap: il sesso eterosessuale, incentrato sulla penetrazione, è irrimediabilmente meno soddisfacente per le donne), dalla difficoltà di imbastire relazioni i cui membri abbiano sensibilità simili o almeno medesima capacità di accogliere le proprie diversità, dalla difficoltà di estromettere la possessività e la virilità dalla seduzione (due cose che prima erano eccitanti, adesso sono, o meglio risultano, spesso, repellenti), ecco, nelle generazioni nuove, tutto cambia. La mancanza di desiderio sessuale ha, tra le sue matrici, oltre a quelle apocalittiche prima citate, anche una nuova concezione del sesso: qualcosa che si può aspettare a fare, qualcosa che non si vuole consumare, che non è termometro della qualità di una relazione, che non è un marchio, che non segna un prima e un dopo, che si vuole (pretende) più gentile, fluida, onesta. Una parola che prende piede sempre di più tra i ragazzi, perché ne descrive parecchi, è “demisessuale”. Cioè, colui o colei che è attratto da qualcuno con cui, indipendentemente dal suo genere, si crea un legame, una connessione emotiva. Non è sexy la seduzione: lo è la condivisione. E niente è più demisessuale di trasformare Certe Notti in una ode all’amicizia.
Il cambio di paradigma, naturalmente, porta con sé nuove pratiche, rallenta e dilata i tempi.
Qualche mese fa, su TikTok spopolavano i celibi volontari: ragazzi tra i 20 e i 25 anni che raccontavano come avevano smesso di fare sesso (quasi sempre dopo essersi liberati di amati e amanti tossici, invadenti, violenti), all’inizio come terapia e poi, prendendoci persino gusto, come stile di vita (niente di eterno: un ripristino dell’attesa). Era notevole la serenità con cui raccontavano questa scelta: non una privazione, non un sacrificio, ma un adattamento a una verità più profonda, una specie di rilassamento. Durante il #Metoo parlavamo degli incel, cioè i maschi celibi per scelta delle donne, e incattiviti, misogini, vendicativi, spesso violenti, pericolosi: ora, invece, ci sono i celibi volontari. Ci sono le femcel, che anziché incrudelirsi, s’astengono dal sesso perché sono stufe di partner inaccorti, ineducati, violenti (vogliamo che i ragazzi facciano più sesso? E allora facciamo educazione sessuale: serve all’amore, serve alla felicità, serve a ridurre la violenza sulle donne).
L’ultimo rapporto Censis-Bayer sui comportamenti sessuali degli italiani rileva che 1,6 milioni di persone tra i 18 e i 40 anni non fanno sesso. A questi vanno aggiunte le 220 mila «coppie bianche», ossia con relazioni affettive stabili ma senza alcun rapporto sessuale, e le 700 mila che dichiarano di non essere interessate al sesso in questo momento. Non è detto che questa grande astinenza durerà per sempre, e per quanto riguarda i ventenni è sempre più probabile immaginare che stia semplicemente succedendo qualcosa che, decenni fa, s’auspicava: che al sesso si arrivasse con maturità. Che s’aspettasse. E stavolta, forse, quell’attesa non è dovuta a un rispetto sacrale, quanto piuttosto a una sana distrazione: al godersi il moltissimo altro che c’è, e all’invenzione di un altro piacere. Perché il piacere questo è: un’invenzione