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 2023  agosto 19 Sabato calendario

Intervista a Daniele Orsato

«Sono il più vecchio e imparo ancora, se lo faccio io allora potete farlo anche voi». Per i suoi giovani colleghi, Daniele Orsato è un mito. Esattamente come un Messi o un Ibrahimovic per un piccolo calciatore. Lo osservano, lo rispettano, gli chiedono consigli, qualcuno prova pure a imitarlo nei modi di muoversi, di parlare, di sventolare il cartellino, sperando basti per riuscire a ripercorrere la sua strepitosa carriera: 274 partite in serie A, la finale di Champions 2020, Mondiali, Europei, il premio di miglior arbitro al mondo 2020. In Italia è da anni il numero uno. Sabato scorso, giorno del rompete le righe dopo il raduno precampionato a Cascia, il designatore (e suo amico vero) Gianluca Rocchi lo ha fatto salire sul palco per il saluto finale. C’è stata un’ovazione. A tal punto che perfino un duro come lui si è commosso. Quasi, dai.
Orsato, alcuni di questi ragazzi potrebbero quasi essere suoi figli…
«Siamo una famiglia. Credo mi vogliano bene perché dico loro le cose in faccia. Io ho imparato tanto dai maestri, come Stefano Farina. Stavo muto e ascoltavo. Lo vede quello lì in fondo? È bravissimo, può diventare internazionale, ma deve stare zitto e imparare. Come ho detto prima davanti a tutti: sono il più vecchio e imparo ancora, se lo faccio io allora potete farlo anche voi».
Il consiglio più importante per un giovane arbitro?
«Meno serie tv, meno playstation, meno internet. La gente pensa che gli arbitri siano fuori dal mondo, invece sono ragazzi come tutti gli altri. Con gli stessi pregi e gli stessi difetti. E le stesse distrazioni. L’arbitraggio perfetto non esiste, ma bisogna provarci. E la perfezione è fatta di dettagli. I dettagli si correggono lavorando».
Si dice che questa potrebbe essere per lei l’ultima stagione, con l’Europeo 2024 come gran finale. E poi? Farà il designatore?
«Mi piacerebbe stare ancora con i più giovani, sono a disposizione del nostro presidente Carlo Pacifici e ora sto cercando di imparare da Gianluca Rocchi. Si vedrà».
Ha 47 anni, ma potrebbe arbitrare fino a 50...
«Mi piace l’idea di essere un allenatore vero e proprio degli arbitri. Perché gli arbitri vanno allenati nel fisico e nella testa. Adesso però sto benissimo e penso solo al campo: arbitrare è stato il secondo sogno della mia vita e voglio godermelo fino alla fine».
E il primo quale era?
«L’elettricista. Da ragazzino volevo capire perché si accendeva la luce. Ho studiato alla scuola di formazione professionale a Vicenza, poi ho trovato lavoro. Il primo giorno indossai la tuta blu, in mano avevo la cassetta degli attrezzi. Lì capii che ce l’avevo fatta».
Poi però la cassetta degli attrezzi l’ha mollata.
«Colpa del caso e dell’insistenza di un amico. Andai con lui alla sezione di Schio perché era più vicina. Rimasi estasiato: tornai a casa e dissi a mia madre: “Entro 16 anni arrivo in A”. Mi prese per un folle. Era il 1992, ho debuttato in A nel 2006».
Arbitrare e fare l’elettricista: esiste un denominatore comune fra le sue due vite?
«Certo: la precisione. In un lavoro come nell’altro basta un niente per far saltare tutto. E farsi male».
Nella prossima stagione ci saranno diversi cambiamenti: l’arbitro potrà sospendere direttamente la partita per razzismo, i recuperi più lunghi per combattere i furbetti delle perdite di tempo, la tolleranza zero verso la mancanza di rispetto di calciatori e allenatori...
«Rocchi ha detto ai ragazzi che non devono avere paura di nessuno. Lo penso anche io. Con le buone o le cattive, bisogna farsi rispettare».