la Repubblica, 17 agosto 2023
Detenuti influencer
NAPOLI – Il carcere è social: basta un post e il detenuto diventa influencer. Videochiamate con i familiari e filmati girati in cella finiscono sempre più spesso su TikTok accompagnati dal consueto corredo di emoticon e commenti del tipo: “Forza e coraggio, la galera è di passaggio”. Il fenomeno sta dilagando soprattutto (ma non solo) tra i reclusi degli istituti di Napoli e Campania e rappresenta un’evoluzione dell’uso illegale di cellulari dietro le sbarre. Non che questa emergenza sia rientrata, anzi. Telefonini anche di ultima generazione vengono recapitati utilizzando droni che sorvolano i penitenziari e i boss li usano sia per gestire le organizzazioni criminali sul territorio, sia come strumento di consenso e controllo della popolazione carceraria.
Ma nella deriva social non ci sono ordini da impartire, né affari illeciti da concludere. Il contesto è diverso. Come nel caso di una coppia, lui rinchiuso a Poggioreale, nickname “El Guzman”, lei nel penitenziario femminile di Pozzuoli, che hanno messo in Rete una diretta nella quale, nei commenti, ci si prendeva pure gioco del deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesco Emilio Borrelli, che da mesi segnala quanto sta avvenendo. «Fare videochiamate dal carcere o diffondere sui social filmati e dirette rappresenta una sfida alle istituzioni», sottolinea Borrelli.
Non lo fanno solo i maggiorenni. Qualche giorno fa è finito su Tik-Tok, postato presumibilmente da parenti dell’indagato, corredato dalla scritta “sempre con il sorriso”, il video, estrapolato da un colloquio con i familiari di un giovane recluso nell’istituto penale minorile di Nisida: è un diciassettenne arrestato con l’accusa di aver sparato fra la folla, insieme a un complice maggiorenne, davanti ai locali della movida di Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, ferendo un’intera, incolpevole famiglia: padre, madre e soprattutto la piccola Assunta, di 11 anni, che stava mangiando un gelato con il genitori e fu raggiunta da un proiettile alla tempia. A chi criticava quel sorriso da parte del detenuto, una zia del 17enne ha replicato a muso duro con un altro video affermando, fra l’altro: «Te levo ‘ocore ‘a pietto» («ti strappo il cuore dal petto»). Il ripetersi di questi episodi, ragiona il procuratore aggiunto di Napoli Sergio Amato, «merita sicuramente una riflessione. A monte c’è un’oggettiva questione di sicurezza: la disponibilità di questi strumenti può essere utilizzata per veicolare messaggi, anche collettivi, e per commettere reati». Il magistrato però invita ad affrontare il caso anche su un altro piano: «Attraverso i social si possono diffondere modelli negativi, miti criminali, che poi rischiano di essere emulati dai giovani. È un modo per riaffermare autorevolezza e alimentare un’immagine vincente. Questo però – aggiunge il magistrato – è un dato che riguarda la comunicazione social in generale, non solo quella diffusa da un istituto carcerario. Esiste certamente un profilo giudiziario da affrontare, ma alle spalle di questi comportamenti ci sono anche questioni di carattere sociologico».
È d’ accordo l’antropologo Marino Niola: «I social sono interclassisti e trasversali per definizione e il narcisismo costituisce una condizione esistenziale che, nel caso dei detenuti, viene alimentato da un altro fattore: chi è in carcere fino a qualche anno fa non poteva vedere i congiunti se non ai colloqui. Con una videochiamata adesso si può fare. Questo non allevia la pena da scontare, ma attenua una condizione che dovrebbe essere all’insegna della solitudine, dell’isolamento. I social – evidenzia l’antropologo – restituiscono a queste persone quel protagonismo che hanno perso a causa della detenzione. La reclusione è una specie di morte dell’immagine. Per dirla in altre parole, la mia faccia sparisce, ma il mio doppio elettronico le restituisce una vita normale». Naturalmente, avverte Niola, «l’abuso e i reati vanno perseguiti. Bisogna vigilare affinché le norme vengano rispettate».
Quasi ogni settimana, nelle carceri, vengono sequestrati cellulari introdotti illecitamente nelle celle. Ma neanche l’apposita fattispecie di reato introdotta dal legislatoreha frenato l’escalation. Il procuratore aggiunto Amato spiega: «Queste sono condotte per le quali l’effetto deterrente della sanzione è quasi nullo. La pena prevista è fino a quattro anni, ma nella maggior parte dei casi si tratta di detenuti con lunghe condanne sulle spalle che hanno poco o nulla da perdere». Il deputato Borrelli propone, come soluzione, «la schermatura degli istituti». Ma intanto, nei giorni scorsi, il parlamentare è stato invitato con una diffida formale a rimuovere il reel, diffuso online e poi pubblicato dal deputato sul suo Instagram dove tre uomini, da una cella di Poggioreale, mangiavano il gelato e scherzavano. Il recluso, scrive l’avvocato, «non ha mai prestato il consenso alla divulgazione della propria immagine». Social, ma non per tutti.