Corriere della Sera, 18 agosto 2023
Rogo Thyssen, arrestato l’ex ad Harald Espenhahn
Sedici anni dopo il rogo divampato nelle acciaierie ThyssenKrupp di Torino, si aprono le porte del carcere per l’allora ad della multinazionale tedesca Harald Espenhahn. In regime di semilibertà, di giorno potrà uscire per lavorare ma in cella dovrà tornare per dormire. Deve scontare cinque anni per omicidio colposo in relazione alla morte dei sette operai che, la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, stavano lavorando sulla linea 5 e in pochi istanti vennero travolti dal fuoco. Si chiamavano Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi.
L’arresto di Espenhahn è avvenuto il 10 agosto, 35 giorni dopo il verdetto della Corte Costituzionale federale che ha respinto il ricorso del manager contro il provvedimento di esecuzione della pena emesso dalla Procura generale di Torino: i giudici hanno ritenuto non sufficientemente circostanziate le argomentazioni dell’imprenditore sulle presunte violazioni dei diritti fondamentali.
«Non è un risarcimento, non è vendetta. È solamente il finale che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato» scrive su Facebook Antonio Boccuzzi, l’unico operaio sopravvissuto. Il quale ricorda che sono trascorsi 5.726 giorni da quella notte, dalle urla strazianti dei colleghi che gridavano «non voglio morire»: «Quello che non passa sono la rabbia e il dolore per una ferita che non si rimarginerà».
L’ultima sentenza italiana è del 2016, quando la Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello d’Assise. Il pronunciamento riguarda sei imputati, quattro italiani (dirigenti dello stabilimento torinese) e due tedeschi: l’ad Espenhahn e il manager Gerald Priegnitz. Questi ultimi avrebbero dovuto scontare rispettivamente 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi, ma il codice penale tedesco per il reato di omicidio colposo prevede al massimo 5 anni di reclusione.
L’unico sopravvissuto
«Non è risarcimento. Non è vendetta. È solo il finale che si sarebbe già dovuto compiere»
All’indomani, i dirigenti italiani si presentano negli istituti penitenziari di riferimento. Quelli tedeschi ingaggiano invece una battaglia legale per evitare di finire in carcere. Il 2020 sembra l’anno della svolta: a luglio Espenhahn e Priegnitz vengono arrestati e a entrambi è concessa la semilibertà. Priegnitz accetta il verdetto e dopo due anni e mezzo torna libero. L’altro trascorre una notte in prigione, poi il suo avvocato deposita il ricorso alla Corte Costituzionale che gli vale la sospensiva. Il rigetto dei supremi giudici tedeschi mette ora fine a ogni speranza del manager, che potrà però beneficiare della misura alternativa.
«In questi anni il ministero ha seguito da vicino il procedimento per poter assicurare una piena risposta di giustizia alle vittime. Desidero far giungere i miei pensieri di vicinanza e solidarietà a Boccuzzi e ai familiari delle vittime», si legge in una nota del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Sono intervenuti poi il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e il sindaco di Torino Stefano Lo Russo: anche loro hanno voluto esprimere vicinanza alle famiglie che, però, oggi sono impegnate in una nuova lotta: gli esposti alla Corte dei diritti dell’uomo per i ritardi nell’esecuzione della pena da parte di Italia e Germania.