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 2023  agosto 17 Giovedì calendario

Intervista a Fabrizio Romano, il guru del calciomercato

Se va avanti così, a colpi di 70mila nuovi follower al giorno su Instagram, tra un anno ne avrà più di Chiara Ferragni. In ogni caso da qualche giorno, come annunciato ufficialmente, il suo è diventato l’account X (l’ex Twitter) più influente al mondo con ben 4,2 miliardi di interazioni tra commenti, like e repost (più di Elon Musk, fermo a 2,7!). Parliamo di Fabrizio Romano, nato a Napoli nel febbraio di trent’anni fa, «guru» del calciomercato internazionale. Per i tifosi di United o Real, Bayern o Al-Hilal, un suo «here we go!» («ci siamo, è fatta») vale una sentenza della Cassazione: la frase-signature di Romano certifica che l’affare andrà in porto. A un paio di settimane dalla chiusura del mercato, su Instagram (dove pubblica solo notizie e nulla della sua vita privata) @fabriziorom ha 22,8 milioni di seguaci, raddoppiati in un anno: è il terzo italiano più seguito sulla piattaforma davanti a Gianluca Vacchi, dietro all’imprenditrice digitale (29,5 milioni) e all’inarrivabile showman Khaby Lame (80 milioni). Intanto per festeggiare il record mondiale su X, Romano ha twittato: «Che viaggio».
Ma riesce a crederci?
«Faccio ancora fatica, sono piacevolmente sorpreso. Me l’avessero detto qualche anno fa...».
Partiamo dalle origini: la sua famiglia.
«Mio padre era il presidente dell’Ordine dei chimici della Campania, mia madre è stata primaria di Biologia, oggi entrambi in pensione. A me però i numeri non interessavano. Ero fissato col calcio e volevo provare a fare il giornalista. A 16 anni, durante gli ultimi due di liceo classico, ho cominciato a collaborare con un sito di news sull’Inter, per capire se era la mia strada. Presto ho realizzato che il mercato era la cosa che mi piaceva di più, così a 18 anni mi sono trasferito a Milano».
A 20 anni era già in onda su Sky: come ci è arrivato?
«Devo tutto a Gianluca Di Marzio, che mi portò nella squadra del suo sito e poi a Sky, e Luca Marchetti, che non mi trattò mai come un ragazzino: mi hanno insegnato il mestiere e sarò loro grato per sempre. Il primo giorno a Sky mi mandano a seguire la presentazione di Mauro Icardi all’Inter. Mi chiedono di fare foto e video, io però avevo un contatto nel suo entourage e torno con un’intervista esclusiva. Per me era il paese dei balocchi. Da lì per anni, d’estate e d’inverno, tutti i giorni, sono stato in giro tra hotel e ristoranti a cercare agenti, direttori sportivi, intermediari. Uscivo di casa la mattina e tornavo a mezzanotte. Ho conosciuto centomila persone. È stata la mia fortuna, il segreto di tutto».
Nel frattempo studiava all’Università?
«Scienze della Comunicazione alla Cattolica, ma dopo il primo anno ho mollato. Andavo anche bene ma mi sentivo più avanti, mi sembrava di studiare per la patente di un’auto che sapevo già guidare. E poi le sessioni di mercato coincidevano con gli esami, dovevo fare una scelta. I miei genitori ancora mi rinfacciano che non ho preso una laurea. Ma ci sta, li capisco».
È vero che a Sky ha rifiutato l’assunzione?
«Io volevo fare solo il calciomercato, e quando dopo diversi contratti estivi e invernali mi hanno proposto di restare in redazione a occuparmi anche di altro ho preferito seguire un percorso diverso. Non per arroganza ma non so niente di vela o di Formula 1, mi sembra di perdere la concentrazione. È stata una scelta un po’ incosciente: sono uno molto istintivo. Non tutti l’hanno capita, ma siamo rimasti in buoni rapporti».
I millennial, la sua generazione, sono spesso dipinti come precari e ipersensibili. Lei invece sembra molto sicuro di sé. Lo è?
«Sono sempre stato molto convinto di quello che faccio. Credo sia dipeso da mia mamma e dall’autonomia che mi ha sempre lasciato: non mi ha mai chiesto se studiavo, dovevo solo portare i risultati, poi il come erano fatti miei. E oggi ci sono molti più modi per arrivare a un obiettivo: i social in questo ti aiutano a provarci, a dimostrare il tuo valore, anche a sbagliare».
Oggi collabora con il «Guardian» e la «Cbs», e sui social pubblica notizie solo in inglese.
«Volevo esportare a livello internazionale il nostro modo “ossessivo” di seguire il calciomercato, in posti come l’Inghilterra dove si affidavano solo a quello che dicevano gli uffici stampa delle società. La svolta è stata il Covid: lì mi sono accorto che il mondo dei social stava diventando tutto per le persone e dovevo puntare su quello. La differenza per me l’hanno fatta l’ossessione e le lingue. Non le ho imparate sui libri ma scrivendo e leggendo, mi sono buttato».
È diventato ricco?
«Guadagno molto più dalle mie piattaforme, cioè Instagram, TikTok e soprattutto YouTube, che dai media tradizionali. Non direi che sono ricco: sto bene, ho una casa in centro a Milano, sono tranquillo».
A luglio ha pubblicato il suo screen time: usa lo smartphone anche 17 ore al giorno. Non è un incubo?
«Fino a settembre va così, dipende dai momenti. L’altro giorno sono andato a dormire alle 5 e mi sono svegliato alle 8.40 perché sapevo che Xavi avrebbe parlato del futuro di Dembelé, non potevo perdermelo. Ma ora sono gli agenti o addirittura i giocatori a scrivermi su Instagram per vedere le news che li riguardano finire sui miei canali. Per me le notizie oggi passano all’80% da lì».
Il «New York Times» l’ha definita «il profeta degli affari», ma qualcuno l’ha accusata di copiare le notizie.
«Quando uno fa un’accusa grave deve avere delle prove. L’anno scorso un giornalista olandese del Telegraaf ha detto nel suo podcast che gli avevo rubato una notizia. Gli ho scritto: “Invitami in trasmissione e ne parliamo. Facciamo un gioco: chiamiamo dieci fonti a testa, chi vuoi tu, e vediamo a chi rispondono”. Non ha accettato e mi ha bloccato su tutti i social».
Le capita di pensare: «Non ce la faccio più»?
«Sì, qualche volta. Non ho intenzione di smettere adesso, anche perché è un lavoro dove se molli un po’ puoi rovinare una carriera in una settimana. Ma non andrò avanti per altri dieci o vent’anni, sarebbe estenuante. Non farei l’agente o il dirigente. Mi piacerebbe portare i numeri sull’approfondimento: non raccontare più chi compra il Chelsea ma perché, qual è la visione».
Ha tempo per se stesso?
«Il mio momento è la notte: dopo l’una metto a oltranza le canzoni di Paolo Conte, che grazie a mio papà ascolto sin da bambino, e stacco. Amo i documentari di storia e le vicende vere: non ho Netflix, preferisco i diari di viaggio di Cristoforo Colombo. E mi piace da sempre la filosofia, grazie alla mia prof dell’Umberto I di Napoli, il liceo che mi ha formato e cambiato la vita. Vorrei incontrarla, non ci sono ancora riuscito: se mi chiedessero di scegliere tra un caffè con lei e uno con Messi, sceglierei lei. Un altro dei sogni che avevo era occuparmi di mafie: le studio ancora, appena riesco».
Qualche idolo?
«Paolo Conte al primo posto: la colonna sonora della mia vita. Sono andato a vedere gli ultimi nove concerti, l’anno scorso ho avuto l’opportunità di conoscerlo, è stato il giorno più bello della mia vita. Poi Antonio Conte, per la mentalità. E Luciano De Crescenzo, che mi ha fatto innamorare dei miti greci».
Non è che lavora troppo?
«Mi rendo conto che mi sto perdendo qualcosa della vita di un normale ventenne o trentenne. Di sicuro le mie relazioni sono state condizionate da questo stile di vita. Al momento vivo da solo. Ma mi sento in pace, faccio quello che desideravo».
Qual è la trattativa che la ossessionerà in queste ultime settimane?
«Mbappé al Real Madrid, fino al 31 agosto penserò a questo».
Come andrà a finire?
«Non lo so, non prevedo il futuro. Ma credo che in questo momento non lo sappia neanche Mbappé».