Corriere della Sera, 15 agosto 2023
Intervista a Jannick Sinner
«Vincere a Toronto è stato un sollievo, ci giravo attorno
Sono curioso di vedere questa fiducia dove mi porta
Il segreto? Lavoro tanto e adesso lavorerò anche di più»
S enza tregua e senza fiato. È già a Cincinnati, da fresco numero 6 del mondo (eguagliato Matteo Berrettini), il Master 1000 di Toronto nel trolley; tornerà in campo domani, giorno del suo 22° compleanno, ultimo snodo verso l’Open Usa, che adesso guarda con altri occhi. Se vincerà anche in Ohio, salirà al n. 4 come Adriano Panatta (record) nel ‘76. Ma una cosa per volta.
Jannik Sinner, con gli occhi chiusi, dopo il match point con De Minaur, cosa ha pensato?
«Che è bello poter avere indietro queste sensazioni dopo essermi impegnato tanto. Ho pensato a tutto il lavoro che stiamo mettendo dentro, ed ero molto soddisfatto. Toronto è stato difficile, ammetto di aver sentito la pressione. Però ho saputo gestirla, ho affrontato ogni avversario con il giusto atteggiamento. Siccome il lavoro paga, da adesso mi impegnerò ancora di più».
C’era anche il sollievo di dire: finalmente, oltre ad Alcaraz e Rune, tocca anche a me?
«C’era anche sollievo, sì. Due finali Master 1000 perse, la finale di Rotterdam persa, la semifinale di Wimbledon... Sentivo da tempo di essere vicino, di girarci intorno».
Alcaraz, n.1 e due volte re Slam a 20 anni, è un benchmark?
«Non gli mando nessun messaggio, proseguo per la mia strada. Se guardo troppo gli altri, non mi concentro su me stesso. E invece devo essere bravo a lasciare fuori ogni pensiero extra. A Toronto ho vinto perché sono rimasto tranquillo: l’errore del Roland Garros non lo commetto più, ho imparato in fretta. Si può affrontare la pressione senza lasciarsi travolgere: è dimostrato che fa la differenza».
Aver introdotto il golf nelle sue abitudini fa parte di questo processo di rilassamento?
«Nel golf sono veramente scarso ma mi piace, mi permette di staccare restando immerso nella natura. Il mio coach Darren Cahill gioca, mio padre gioca: in Olanda, a ’s-Hertogenbosh, è venuto su in auto con le mazze. Ho provato anch’io. All’inizio non ci capivo niente, poi Darren mi ha dato due dritte. Mi dimentico il cellulare e mi rilasso: ci sta fare qualcosa di diverso dal solito tennis».
Una curva di crescita costante è sinonimo di programmazione?
Il golf
Sono veramente scarso, ma mi piace giocare
a golf, mi dimentico
il cellulare e mi rilasso,
ci sta fare qualcosa
di diverso dal tennis
«Tutto parte dall’allenamento. Faccio sacrifici e vado a letto presto ogni sera per essere pronto a migliorare il giorno dopo: prima o poi i risultati dovevano arrivare. Giocare sempre al massimo è impossibile e il servizio non è ancora come lo voglio io. Ma le partite si vincono anche giocando bene i punti importanti: sto imparando a farlo. A Toronto mi sento di aver fatto un altro step. Vorrei tutto e subito, invece la pazienza nel percorso è importante».
La pressione cambia dopo aver vinto un Master 1000?
«La pressione ci sarà sempre ma è anche un privilegio, una delle cose belle di questo sport. Però le va dato il giusto peso: saperla affrontare con filosofia è decisivo. All’inizio della settimana, a Toronto, ho pensato: okay proviamo a vivere ogni match come se fosse una piccola sfida da superare. Ha funzionato. Intendo andare avanti così. Sono volato a Cincinnati, oggi mi alleno, domani torno in campo. Il tennis non ti lascia respirare però ti offre un’occasione di riscatto quasi ogni settimana. Ma la pressione non se ne va vincendo un torneo».
La lezione di Parigi, diceva: la tristezza che si è portato in campo al Roland Garros è stata la molla per tornare a divertirsi? Serviva, insomma, quella parentesi di crisi?
«Oddio, crisi mi sembra un po’ troppo: tra Roma e Parigi ho perso due partite... Però è vero che ho reagito in modo positivo, mi sono piaciuto. Sull’erba ho ritrovato il mio tennis e questa, nel ranking mondiale e nella Race per le Atp Finals di Torino, è esattamente la posizione in cui volevo trovarmi a questo punto della stagione. Ho un altro livello, adesso. E non intendo fermarmi».
L’ennesimo compleanno da globetrotter, fuori casa, Jannik. Le manca la normalità, preferirebbe soffiare su 22 candeline a Sesto Pusteria, nel rifugio dove lavorava papà Hanspeter o nel bed and breakfast di mamma Siglinde?
«Mi importa di più del compleanno degli altri, il mio non mi è mai piaciuto. L’anno scorso, il 16 agosto, ho vinto 7-6 al terzo una battaglia con Kokkinakis, proprio a Cincinnati. Il regalo di compleanno spero di farmelo in campo, portando a casa il match. Però è vero: il tempo vola, questa vita viaggia velocissima e io ho già 22 anni! Possiamo dire che sono ancora giovane, vero?».
Senz’altro. Giovane e in forma. I problemi fisici sembrano superati, come ha dimostrato lo scambio di 46 colpi con cui ha annullato una palla break in semifinale a Tommy Paul a Toronto.
«Questione di impegno, anche lì. Dopo Wimbledon con il team abbiamo infilato due settimane di lavoro durissimo: è stata quasi una preparazione invernale. La benzina che abbiamo messo nel serbatoio deve bastare per il Canada e gli Stati Uniti, Cincinnati più l’Open Usa. Sto bene. Credo di averlo dimostrato sia con Monfils, che è sempre un avversario molto fisico, che con Paul. Con De Minaur, in finale, sono andato in campo fresco. Non capita spesso di fare durante la stagione richiami così importanti. È servito: ecco perché, oltre che con Cahill, che era presente, ho condiviso il successo di Toronto con quella parte di team che non era in Canada. Il lavoro quotidiano, la routine dietro le quinte, faccio tutto con loro. Lavoriamo bene, lavoriamo tanto. Lavoreremo ancora di più».
Il compleanno
Questa vita va velocissima, domani compio già 22 anni, ma sono ancora giovane, no?
Il regalo spero di farmelo in campo a Cincinnati
Per l’Open Usa aumentano le aspettative.
«Non solo le vostre, anche le mie. Sono curioso di vedere questa iniezione di fiducia dove mi porta. In fondo è tutto nuovo anche per me. Mi aspetto buone cose».