Corriere della Sera, 15 agosto 2023
Intervista a Shel Shapiro
È scaramantico o le si possono già fare gli auguri?
«Conta il pensiero, li accetto volentieri».
Shel Shapiro, voce di una generazione ribelle, è nato a Londra. Con i Rokes scalò le classifiche italiane negli anni 60. Cantautore, musicista, discografico, scrittore, attore, la voglia di lottare non gli manca, anche adesso che sta per spegnere 80 candeline, domani. Il suo golden retriever si chiama Pancho, «come il rivoluzionario Pancho Villa».
Come festeggerà domani?
«Con una trentina di persone nelle Langhe, nel ristorante di un mio amico. Il mio compleanno è più importante per gli altri che ti valutano in base all’età, non alla creatività. Però l’appuntamento con gli 80 lo avrei rimandato un pochettino».
Si sente «Quasi una leggenda», come il titolo del suo album del 2022?
«No, i musicisti di 20-25 anni non mi conoscono e io non so chi siano loro».
Imperversano rap e trap. Le piacciono?
«Qualcosa, sono generi che invitano a fare gruppo chiuso. Molti di questi artisti vomitano parole, spesso discutibili. Ma la musica non c’è».
L’incontro con le note?
«Una mia zia insegnava il pianoforte alla Royal Academy, mamma lo suonava benissimo, un cugino cantava nel coro di Westminster, nonno era cornista nella banda dello zar Nicola II. Da ragazzo ascoltavo Jerry Lee Lewis, Elvis Presley, Chuck Berry».
Sognava di diventare una rockstar?
«Prima provai a imparare il mestiere di papà che importava tessuti dai Paesi della Cortina di ferro. Rapporto conflittuale. A 16 anni facevo il rappresentante, giravo con un’auto. Quando ebbi un incidente ci mandammo a quel paese e mi buttò fuori di casa. Mi ritrovai a lavorare in un negozio a Piccadilly. Non durò. Litigai con il caporeparto e mi aggrappai alla musica».
Si riappacificò con i suoi?
«Sì, i Rokes erano primi nella classifica italiana. Andai a prenderli all’aeroporto con una Rolls Royce».
Per i Rokes gli anni Sessanta furono d’oro. Persino Fellini vi chiese un autografo per Giulietta Masina.
«All’apertura del Piper, dopo la nostra esibizione vennero in camerino. Lui la presentò: “My wife”. Scrissi: To Giulietta, love. Shel”. Andarono via. Noi, ignorantoni inglesi: “Chi sono?”. Da allora per quattro anni, ogni Natale ci spedivano un panettone».
Non ama il passato.
«Non mi affascina, l’ho già vissuto. Dopo i Rokes ho fatto tanto altro, ho recitato, prodotto e arrangiato i dischi di mezza Italia: Barbarossa, Mia Martini, Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo. Ho contribuito a uno dei più grandi successi di Raffaella Carrà, Rumore».
Mia Martini
«La più fragile. Quando cantava comunicava la sua delicatezza, non la nascondeva»
Come andò con Raffaella?
«La spinsi oltre i suoi limiti per farle raggiungere la tonalità di quella canzone».
Era amico di Mia Martini.
«La più fragile. Quando cantava comunicava la sua delicatezza, non la nascondeva».
Cocciante l’ha dovuto convincere.
«Quando ascoltò la base di Cervo a primavera non voleva cantarla. “È troppo rock”. Pensava che la gente da lui volesse dolcezza. Io: “No, le persone ti chiedono grinta”».
Con la sua Spaghetti Records scovò i Decibel.
«Contessa, nella testa di Enrico Ruggeri, era dedicata a Renato Zero, un grande artista, più bravo di quello che sembra. Registravo un album di Mina a Milano, arrivarono e me la fecero ascoltare con tre pianoforti. Potentissima».
Non l’affascina il passato ma con l’ex rivale Maurizio Vandelli un tour l’ha fatto.
«È stato bello ma era un karaoke. Avrei voluto incidere con lui brani nuovi. Hai creato un patrimonio, non puoi solo consumarlo, devi avere il coraggio di arricchirlo».
Che progetti ha?
Due spettacoli in teatro. Uno dovevo scriverlo con Andrea Purgatori, era entusiasta. Ora non c’è più. Il futuro non dipende solo da me».
Come si tiene in forma?
«Ho perso 7 chili in 5 settimane. Bevevo troppo vino e l’ho tagliato. Ogni mattina con Pancho passeggiamo per 5 chilometri, qui a Loano».
Bisogna saper perdere, cantavano i Rokes
«Bisogna saper vivere e capire quando è il momento di tirarsi indietro».
È pronto per la pensione?
«No. Uno deve giocarsi la vita per meritare di guardare avanti».