Corriere della Sera, 15 agosto 2023
Il rublo è crollato
Il crollo del rublo: la moneta russa è ai minimi da sedici mesi. Da inizio anno è scesa del 25 per cento.
I rappresentanti del governo russo e vari osservatori occidentali sostengono da mesi che le sanzioni contro Mosca non funzionano. Il Fondo monetario internazionale di recente ha alzato le sue previsioni di crescita per il Paese nel 2023 all’1,5%, più di Germania, Francia, Germania e Regno Unito. La ripresa dell’industria pesante, innegabile, sembra confermare che l’infrastruttura economica e finanziaria sotto il controllo del Cremlino ha assorbito l’impatto delle misure occidentali ed è destinata a tenere nel tempo.
Sotto la superficie però la realtà è diversa e a volte diventa impossibile nasconderla dietro i sussidi e le commesse all’apparato militare-industriale, finanziate con deficit pubblici crescenti. Lo si vede in queste ore: oggi è convocata una riunione di vertice straordinaria della Banca di Russia, per cercare di frenare la caduta del rublo che prosegue da mesi, ma ora sta accelerando.
Nelle ultime ore il tasso di cambio si è indebolito a più di cento rubli per un dollaro – prima di riprendersi lievemente – registrando di fatto quasi un dimezzamento nell’ultimo anno. Di certo nella prima metà dell’anno scorso il rublo si era ripreso dal primo crollo all’inizio della guerra. Lo aveva fatto grazie ai prezzi elevati del petrolio esportato. Ma da allora gli elementi di fragilità degli equilibri finanziari in Russia sono divenuti sempre più evidenti ed è iniziata una lunga scivolata, che negli ultimi giorni sta pericolosamente accelerando.
Sembra probabile che oggi Elvira Nabiullina, la presidente della Banca centrale russa, vari due misure per stendere una rete sotto al rublo: alzerà i tassi, già all’8,5%; quindi potrebbe cercare di restringere ulteriormente la libertà di circolazione dei capitali attraverso le frontiere del Paese. Ma le misure di emergenza non basteranno a mascherare i problemi sul piano politico, né quelli strutturali di un’economia sempre più votata solo ad alimentare lo sforzo di guerra.
In termini politici Nabiullina è sempre più spesso attaccata dai nazionalisti russi e nelle ultime ore è stata oggetto di critiche indirette anche da parte di Maxim Oreshkin, il consigliere economico di Vladimir Putin. La leader della Banca centrale non ha mai appoggiato la guerra, pur restando al servizio del regime, quindi sta diventando un facile capro espiatorio di tutti i problemi.
Ma attribuirle la colpa del crollo del rublo non cambia la sostanza: la spesa militare ormai rappresenta più di un terzo dell’intero bilancio pubblico russo, in un’economia sempre più dipendente dallo sforzo di guerra. Già l’anno scorso era cresciuta di quasi il 10% rispetto al 2021, ma quest’anno ha registrato già solo nel primo semestre un livello di spesa non molto inferiore a quello di tutto il 2022. Tutto è finanziato in deficit, con un disavanzo atteso al 3,7% del Prodotto lordo quest’anno: non abnorme per un’economia, ma alto per la Russia che ha perso accesso ai mercati finanziari occidentali e deve obbligare le banche del Paese a comprare debito pubblico.
Quest’economia di guerra è resa più fragile da altri fattori. Il petrolio costa meno di un anno fa e intanto il Paese, sotto sanzioni, è costretto a importare sempre più spesso macchinari complessi per funzionare. Il risultato è un attivo commerciale sull’estero vicino ai minimi. In più gli imprenditori russi hanno perso fiducia nel loro Paese e tendono a non convertire in rubli né a riportare in patria i proventi dell’export.
Le sanzioni non hanno portato al collasso il sistema di potere di Putin, come sembrava possibile all’inizio della guerra. Ma, mese dopo mese, contribuiscono a mettere l’economia russa su un piano inclinato.