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 2023  agosto 14 Lunedì calendario

Giuseppe Fiorello racconta la nera siciliana

Stranizza d’amuri, e ci è tornato per la nuova serie Mediaset, I fratelli Corsaro di Francesco Micciché, dai romanzi di Salvo Toscano (Newton Compton editori), di cui è anche sceneggiatore con Salvatore De Mola e Pier Paolo Piciarelli. Primo ciak il 28 agosto. Nei gialli ambientati a Palermo i protagonisti sono due fratelli: Fiorello, 54 anni, sarà Fabrizio, cronista di nera, mentre Roberto, avvocato penalista, è interpretato da Paolo Briguglia.
Non ha pensato di fare la regia?
«No, sono passato dall’altra parte della macchina da presa per
Stranizza d’amuri, perché da quando ho letto un articolo sul ritrovamento dei corpi dei due ragazzi, negli anni 80, bullizzati perché gay, era attuale e dolorosa. Da ragazzino, nel mio paese, quando scompariva qualcuno si pensava sempre al caso di Giarre.
Mi fa piacere che il film sia stato accolto bene, continuo a incontrare il pubblico. La gente torna al cinema per condividere le emozioni».
Com’è nato il progetto de “I fratelli Corsaro”?
«Anni fa lessiInsoliti sospetti di Toscano e mi ha appassionato per la scrittura, poco stereotipata dal punto di vista della narrazione siciliana: non c’erano macchiette ma una giusta dose di ironia e giallo. E poi c’era Palermo, città che conosco poco rispetto a Catania, ci sono venuto per un evento dedicato a Falcone, e a girare film. È bellissima e ci ha accolto a braccia aperte. Non c’è via che non ricordi tragedie del passato, non dimentica ma apre le porte a chi vuole raccontare».
Per anni volto delle fiction Rai, ora passa a Mediaset. Come mai?
«L’input è arrivato da mia moglie Eleonora, collabora con me e mi ha detto: “La persona giusta è la produttrice Camilla Nesbitt”. Ci siamo incontrati, le ho parlato dei libri, ha preso i diritti. Il progetto è realizzato da lei con CamFilm insieme a Taodue. Mediaset è la sua casa, ma è stata molto professionale.
Mi ha detto: sono libera di andare dove voglio. Da una parte in Rai mi sarei sentito protetto, dall’altra c’era da fare un percorso nuovo. La curiosità è un grande stimolo».
Voleva cambiare?
«L’80% delle cose fatte in Rai, nasce da miei progetti. Mi hanno lasciato la libertà di raccontare, si sono fidati anche quando ho proposto una storia complessa come quella di Mimmo Lucano. A Mediaset ho trovato stima e affetto: avevo davanti quelli che erano stati per anni i miei avversari e io, il loro. Forse in Rai mi davano un po’ per scontato. Nutro profonda gratitudine, ma c’è un elemento che va sfatato: molti pensavano che fossi in esclusiva con Viale Mazzini, non ècosì. La lunga collaborazione era una libera scelta reciproca. C’è una rotazione di artisti e autori, non è detto che non ci rincontreremo».
La fiction Rai su Mimmo Lucano che fine ha fatto? Andrà in onda?
«Mi auguro fortemente di sì.
Rimarrebbero stupiti anche gli stessi che non hanno voluto o potuto mandarla in onda: non è un film politico, racconta il percorso di un uomo, un visionario. La scelta fatta da Lucano tra molti anni diventerà una bandiera per molte realtà politiche, un modus operandi per l’accoglienza, una materia di studio per le università sul tema dell’integrazione».
Nella nuova serie per Canale 5, tra Fabrizio, il cronista di nera, e Roberto, l’avvocato, ha scelto di fare il giornalista: perché?
«Non mi andava di seguire percorsi precedenti: l’eroe positivo. Qui c’era l’opportunità di interpretare un simpatico giornalista di cronaca nera, mi divertiva il suo carattere, lapassione per il lavoro, per le donne, e il tono un po’ scanzonato. Volevo interpretare qualcuno distante da me, che prendo tutto sul serio e do un peso dalle cose. Fabrizio si butta un po’ nel vuoto, “comu veni, si cunta”».
L’avvocato com’è?
«Lo sentivo più vicino, ha una punta di ipocondria che ho anche io, come la mania della precisione. Essendo un avvocato dovrebbe propendere per un rapporto elastico col prossimo, ma a volte si irrigidisce. Anche questo mi appartiene. Briguglia l’ho frequentato poco ma l’ho sempre sentito amico, ha grande talento».
La Sicilia da anni è protagonista della fiction: cosa la preoccupava?
«Volevo evitare gli stereotipi e raccontare i rapporti personali: molto ruota intorno alla famiglia».
Ha mai pensato di girare una serie sulla sua, di famiglia?
«Non ci ho mai pensato perché in ogni cosa che ho fatto c’è un pezzo della mia famiglia. Quando ho girato la serie su Domenico Modugno mi sono ispirato a mio padre. Anche nello spettacolo teatrale c’era la sovrapposizione tra l’artista e papà, al punto che alla fine qualcuno chiedeva: hai raccontato la storia della tua famiglia o quella di Modugno?».