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 2023  agosto 14 Lunedì calendario

La poltrona del Ct

Non è mai stata una poltrona per due. Ma molto condivisa. Anzi molto affollata, con 60 milioni di italiani arrampicati sopra. E non in modo virtuale. Tutti ct senza dubbi, molto sovversivi, con la loro idea di chi far giocare. E pronti a fare la formazione sulla poltrona che scotta. Il mestiere più difficile del mondo, quello dell’allenatore della Nazionale di calcio italiana, se è vera la frase di Churchill: «Gli italiani perdono la partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio». E se è vero che più ti respirano addosso in tanti e più tu sei solo, solissimo. Al comando, ma anche nella caduta. L’unico bersaglio di tutto il malessere del paese.
Lancio di fitti pomodori a parte, la Corea del ct Edmondo (Mondino) Fabbri durò per tutta la vita e divenne un modo di dire una brutta cosa, una sciagura, quel diagonale di Pak Doo Ik che s’infilò alla destra di Albertosi a Middlesbrough, devastò non solo quella trasferta, ma l’intera esistenza del ct. Tanto che nel ’94, un anno prima della sua morte, Fabbri ancora ripeteva: «Non auguro a nessuno di provare quello che ho provato io». Esagerato, penserete. Così tanto per rinfrescarci la memoria: l’aereo atterrò a Genova dove si sperava in un’accoglienza più clemente e dove invece gli lanciarono di tutto, fu costretto ad uscire dall’aeroporto nel baule della macchina del cugino della moglie. Qualche cartello simpatico nei cantieri: «Si accettano manovali azzurri, approfittate, si accetta anche Fabbri». Altre scritte più pesanti sui muri di molta Italia, «A morte Fabbri», tanto che gli venne assegnata una scorta personale. Fabbri diventò non un ct sfortunato, ma il nemico pubblico numero uno, per cercare un po’ di pace fu costretto a ritirarsi tra le mura dell’eremo di Camaldoli.Un’umiliazione totale: rescissione del contratto, squalifica di sei mesi e un accertamento fiscale da Al Capone. Così imparava a farsi fare gol dai nordcoreani. La brutta figura all’Italia del calcio era reato. La stampa ricordò i difetti di Mondino: la bassa statura, il carattere poco incline ai compromessi e l’essere nato a Castel Bolognese, a nemmeno 40 chilometri da Predappio, dove un altro dittatore romagnolo aveva fallito. Onestamente, cosa c’entrava? La scusa: era l’Italia del boom, non poteva scendere così in basso.
Italia-Germania 4-3 se la ricordano tutti, ci mancherebbe.Messico, 1970, finale con il Brasile, 4-1 per Pelé e compagni. I 6 minuti di Gianni Rivera decisi dal ct Ferruccio Valcareggi. La nazionale azzurra rientra su Roma. Il comandante dell’aereo avvisa: «Ci sono diecimila tifosi a Fiumicino, meglio dirottare verso Ciampino» Ma il presidente Franchi risponde: «Non possiamo privare i nostri sostenitori della gioia di abbracciare i tifosi». Sulla pista un altro film, poco trionfale: i tifosi cercano di ribaltare il bus di Walter Mandelli, presidente del settore tecnico, il coro è: «Viva Rivera, Mandelli in galera». Clima da guerra civile, lunghe contestazioni a Valcareggi e a Franchi. E questo per essere arrivati secondi dietro un Brasile stellare.
Se siedi su quella poltrona non sei intoccabile. Anzi stai lì a prenderti le freccette e i colpi bassi. Anche se sei un ct campione del mondo e un immenso (ex) portiere. Dino Zoff il 4 luglio 2000 ci mise sette minuti a dimettersi dalla panchina dell’Italia. Silvio Berlusconi lo aveva appena definito: «Indegno e dilettante». Aggiungendo che Zidane doveva essere marcato a uomo. Questo per la finale degli Europei persa dall’Italia 2-1 (golden gol di Trezeguet). La Nazionale è di tutti, no? Per Zoff: «Le frasi di Berlusconi sono andate oltre i confini della critica».
Una volta i ct non avevano allenato in Serie A, facevano parte di uno staff federale, crescevano dentro Coverciano. Non avevano un passato nei club, per questo erano maestri che non potevano essere contestati. Spesso venivano dallo stesso luogo, l’estremo nord-est del Paese, stesso vissuto e stessa lingua: Valcareggi, Maldini, Bearzot. Arrigo Sacchi nel ’91 è stato il primo grande tecnico vincente di club ad arrivare in Nazionale. Prima di Zoff, Trapattoni, Lippi, Prandelli, Ventura, Conte, Mancini. Ma la passione dell’Italia verso quella poltrona forse si è affievolita o perlomeno ora si accende a intermittenza. Mario Sconcerti sull’Italia del calcio ha scritto: «È una parte di casa nostra dove si passa, si pranza, e non si paga. È un abbraccio, non sono viscere». Per dire che più della radice comune, conta quella locale, le piccole patrie. Una volta il ct che lasciava la panchina il 13 agosto, anche con valide ragioni personali, a un mese dalle qualificazioni europee sarebbe stato crocefisso, ieri nessun tg serale ha aperto con la notizia di Mancini, relegandola allo sport. Due mancate partecipazioni Mondiali hanno affievolito il sentimento, meglio Monza-Milan. Avanti un altro.