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 2023  agosto 14 Lunedì calendario

Intervista a Donald Sassoon

Lo storico britannico Donald Sassoon non ama il termine populismo, spesso usato per definire nuovi fenomeni politici: «È un concetto troppo vago. Tutti i politici inseguono il consenso delle masse in un sistema democratico. E tutti tentano di presentarsi come i difensori del popolo. Il governatore della Florida e candidato alla nomination repubblicana Ron DeSantis, uomo di destra, ha detto giorni fa: “Non ci inginocchieremo più a Wall Street e alle grandi aziende, sacrificando gli interessi dei cittadini comuni”. Parole che sembrano di sinistra, pronunciate invece da un conservatore che cerca voti tra i ceti più umili. C’è da aggiungere peraltro che la contrapposizione tra élite e popolo è artificiosa. In realtà il popolo è molto diviso, non è affatto un blocco compatto».
Sassoon il 18 agosto sarà ospite del Festival dei Sensi nella Valle d’Itria, in Puglia, dove parlerà dei cambiamenti storici. Con il «Corriere» affronta i temi dell’attualità, a partire dalla situazione del capitalismo, al quale ha dedicato il suo recente libro Il trionfo ansioso (Garzanti, 2022).
C’è chi dice che la globalizzazione sia in crisi, che si vada verso un ritorno dell’interventismo statale. Lei che ne pensa?
«I grandi processi storici non sono mai univoci. E mi sembra un po’ presto per pronunciarsi sul destino della globalizzazione. Per certi versi sicuramente andrà avanti, ma è probabile che incontrerà intoppi sul suo cammino. Per esempio la liberalizzazione del commercio si è indebolita perché la crescita della Cina fa paura agli Stati Uniti, che stanno adottando politiche che un tempo avremmo chiamato protezioniste».
Però anche Pechino sembra in difficoltà.
«Sì, la Cina ha dei problemi notevoli, in primo luogo il rapido invecchiamento della popolazione. Ma nessuno è in grado di prevedere il futuro dell’economia, sono troppi i fattori in gioco. Le stesse periodiche proiezioni della Bank of England sulla Gran Bretagna vengono spesso modificate di volta in volta. E nessuno aveva previsto la crisi mondiale del 2008, la Brexit, il Covid, la guerra in Ucraina»
A proposito di Brexit, che fine ha fatto l’idea di una Gran Bretagna libera dai vincoli europei e proiettata sugli scenari globali?
«Era solo una fantasia tipica di un Paese che ha un importante passato coloniale e non si è messo ancora il cuore in pace per il fatto di essere diventato una potenza di seconda categoria. Nel Regno Unito gli euroscettici ci sono sempre stati: prima erano in prevalenza di sinistra, poi sono proliferati a destra. Ma nessuno poteva immaginare che il primo ministro David Cameron, per contenere la pressione della destra, avrebbe commesso una stupidaggine così grossa come indire un referendum sull’uscita dall’Unione Europea, sicuro di vincerlo. Invece l’ha perso, quindi la Gran Bretagna ha lasciato l’Ue e ora si trova in una situazione di forte difficoltà».
Ma come è potuto succedere?
«L’uscita dall’Ue ha vinto con una maggioranza risicata, meno del 52 per cento, quindi si può dire che l’elettorato si sia spaccato in due parti uguali. In qualcuno ha prevalso l’illusione di tornare al passato imperiale, altri hanno pensato di votare contro l’immigrazione, altri ancora volevano che il Regno Unito smettesse di versare risorse all’Ue».
Illusioni
Le aspettative rosee
dei sostenitori della Brexit
si stanno rivelando
del tutto infondate
Lei ha studiato il socialismo europeo. Come interpreta le oscillazioni dei laburisti dal radicalismo di Jeremy Corbyn al moderatismo di Keir Starmer, che alcuni giudicano troppo di destra?
«Il problema è il sistema elettorale. Voi italiani vi lamentate perché avete troppi partiti. Noi ne abbiamo solo due: perciò i conservatori sono sicuri di raccogliere i voti di destra, mentre i laburisti sono certi di ottenere quelli di sinistra. Entrambi i partiti competono quindi per i suffragi del centro, verso il quale tendono a muoversi. Ma il centro non è immobile e in questi anni si è spostato a destra, in Gran Bretagna come nel resto del mondo. Perciò Starmer si è convinto che deve guardare verso il centrodestra per assicurarsi la vittoria alle prossime elezioni. In effetti i sondaggi lo danno favorito. E se diventerà primo ministro, penserà soprattutto a ottenere la conferma nelle elezioni successive. Quindi non c’è da aspettarsi un governo laburista innovatore, teso a realizzare riforme incisive».
E il fenomeno Corbyn, come si spiega?
«Corbyn divenne il capo del Labour perché rappresentava una forte novità e a sceglierlo fu la base degli iscritti, che in quel partito si colloca più a sinistra degli elettori. Ma la sua elezione fu accompagnata da una campagna ostile contro di lui non solo della stampa, ma anche dei deputati laburisti, convinti che con un leader così radicale avrebbero perso. In realtà nel 2017, contro Theresa May, l’oscillazione del voto a favore dei laburisti fu molto marcata, anche se insufficiente per vincere. Corbyn non divenne primo ministro, ma tolse la maggioranza assoluta ai conservatori. Poi fu sconfitto nel 2019 da Boris Johnson».
Per quali ragioni l’asse politico è slittato a destra?
«I motivi sono molti, ma il principale mi sembra il fallimento della sinistra. Dopo aver rinunciato ormai da molto tempo alla costruzione del socialismo, la sinistra non ha saputo proporre idee nuove. Quando è stata al governo, per esempio con Tony Blair nel Regno Unito, ha deluso le aspettative. Il Labour è rimasto in sella per tredici anni e non è riuscito a cambiare il volto del Paese, come invece avevano fatto i conservatori con Margaret Thatcher. Il risultato è che alla fine degli anni Novanta c’erano i socialisti alla guida nella grande maggioranza degli Stati dell’Unione Europea, mentre oggi le forze di sinistra sono in crisi quasi ovunque».
A proposito di destra, che opinione si è fatto di Giorgia Meloni?
«La vostra presidente del Consiglio tenta di ancorarsi ad alcuni slogan tradizionali del passato: Dio, patria, famiglia. In fondo sono posizioni non lontane da quelle della destra nel mio Paese. E la ministra dell’Interno britannica, la conservatrice Suella Braverman, ha un atteggiamento verso i migranti che non differisce molto da quello del vostro governo. C’è un generale spostamento in senso conservatore che facilita il percorso dell’estrema destra verso il centro».
Pensa che le forze moderate e conservatrici siano in grado di ottenere la maggioranza alle elezioni europee del 2024?
«Non mi pare molto probabile. D’altronde l’integrazione europea vive già un momento di forte difficoltà. Più Stati entrano nell’Ue e più faticoso diventa definire politiche comuni. D’altronde l’Unione non ha affatto i poteri formidabili di cui parlano i suoi avversari. Non ha competenze reali in materia di welfare e di fisco, per non parlare della difesa. Insomma il colore della maggioranza che si formerà a Bruxelles non mi sembra così rilevante».