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 2023  agosto 14 Lunedì calendario

Quelli che in ferie non ci vanno mai

«Mauro Corona, la stiamo cercando dal Corriere. Facciamo un pezzo su chi non si muove da casa, mentre tutti gli altri partono. Beh… lei, fra le sue montagne, ci sembra il rappresentante perfetto di questi italiani. Ci dice quando possiamo chiamarla? Le rubiamo giusto…»
«Mai».
Ecco, diciamo che qualcuno questa cosa della disconnessione dal mondo quest’estate l’ha presa un po’ alla lettera.
Andiamo avanti.
«Vittorio…?»
Uno squillo. Risponde Vittorio Feltri.
«Sì?».
«Sarà mica al mare…».
«Al mare, io? Mi rompo già abbastanza le scatole a Milano, figuriamoci al mare. Ma sempre meglio di andare in ferie. Una tortura. Non faccio ferie da 45 anni».
Sei, sette secondi di silenzio.
«Peraltro io al mare non ci ho mai messo piede. Mi dicono che l’acqua sia salata ma non ho mai avuto modo di verificarlo».
Mai una volta? Neanche un bagno?
«Per carità. Nel mare finiscono le deiezioni di tutto il mondo. Andranno anche prima nel Seveso, poi nell’Adda e nel Po, ma alla fine dove si piazzano? Nel mare. Per cui, questa esperienza la lascio volentieri agli altri».
È domenica e nonostante il giorno rosso e la prossimità a Ferragosto Vittorio Feltri è in redazione a chiudere Libero. Ultimi giorni prima del trasferimento (o meglio, del ritorno, per la terza volta, in via Negri, al Giornale). Un secco «no» all’estate, il suo. O meglio, al fatto che questa stagione debba cambiarti la routine, prenderti e buttarti in auto, in cammino, qualche volta dare pure uno slancio al tuo livello di socialità. «Gli italiani sono tutti in ferie ad agosto. Ma in ferie da cosa?», per dirla alla Marchionne.
E non sono mica in pochi a pensarla così. Ci sono quelli che odiano sudare, quelli che guardano la coda in autostrada con gli occhi di un asteroide che cade sulla terra, quelli che «in due è già troppo» e quelli che, anche se non se lo sanno spiegare, questa stagione, semplicemente, la odiano. Scrittori, cantanti, attori. Che anche in pieno agosto fanno quello che fanno sempre: stanno a casa. E mica da quest’anno. Tempo addietro, Luciano De Crescenzo aveva addirittura due assi nella manica: possedeva due appartamenti nello stesso palazzo di Roma, in via Cavour, con vista sui Fori Imperiali. L’inverno lo trascorreva al secondo piano, che era più caldo, d’estate si trasferiva all’ultimo piano, dove aveva il terrazzo che dava sui Fori. E quella era la sua vacanza: prendere e fare le scale, quando gli altri partivano per i luoghi di villeggiatura con le Cinquecento strabordanti di bagagli. Poca fatica, massima resa.
La scrittrice Susanna Tamaro osserva il mese di agosto dalla sua finestra nelle campagne umbre, vicino a Orvieto, «dove – spiega – si ha il privilegio di raccontare un viaggio in terre meravigliose, di lunghe e avventurose camminate tra la calura del deserto e i picchi innevati senza muoversi mai dal davanzale della propria casa». Poetico. Del resto il papà di Sandokan, Emilio Salgari, scrisse romanzi d’avventura popolarissimi ambientati in terre lontanissime ma in vita sua non aveva mai lasciato l’Italia. «Per me – scandisce Susanna Tamaro al telefono con il Corriere – estate è stare immobili. Odio il caldo e questi giorni. E in fondo è raro stare fermi di questi tempi, ma solo così si riesce a vivere davvero. Mi prendo questi giorni per vivere osservando, riesco a vedere la natura, ciò che nasce e ciò che muore. C’è una vita intorno a noi che continuamente va avanti. Troppo spesso non ce ne accorgiamo». Un fattore sociale, anche? «Mi fa impressione la folla delle vacanze, la frenesia di visitare i luoghi. Più corriamo, più perdiamo di vista la natura che si muove. Io resto qui, seduta a questo tavolino davanti alla mia finestra sul mondo, dove ho scritto il mio ultimo libro che uscirà a ottobre». Uno strappo alla regola? «Qualche volta sì, è capitato: sono andata in campeggio. Il massimo che possa fare per definirmi vacanziera. Ma se ne è sempre parlato semmai a fine ottobre».
Immobili. «Resto qui». Come in una delle tre tele del trittico «Stati d’animo» di Umberto Boccioni, «Quelli che restano», che metaforicamente immortala quelli che nei vecchi film sventolano il fazzoletto bianco sul binario, provando a descrivere lo stato d’animo di chi rimane. Di chi resta a casa. A volte per necessità. Come Carlo Verdone, che affida il suo sfogo ai social mentre scrive un nuovo progetto: «È veramente sconfortante trovare un ostacolo nella scrittura del prossimo lavoro e faticare tutto il giorno con gli altri sceneggiatori senza trovare la soluzione. Dovrei stare in vacanza, ma se non risolviamo ci perdiamo giorni di relax meritato».
Certo: che contrasto quella finestra sul giardino, quelle immagini alla scrivania, le città deserte e le serrande di ristoranti e bar abbassate messe di fronte alle istantanee di allegre famiglie che affollano le stazioni di servizio dell’Autostrada del Sole e trangugiano Camogli e pizzette in piedi ai tavolini dell’Autogrill.Natalia Ginzburg scrisse su La Stampa nel 1971 di odiare il mese d’agosto. «Passato il Ferragosto – scrisse —, mi sembra di uscire da un incubo. Mi sembra che tutto lentamente migliori». Roba da scrittori – penserete —, odiare l’estate. Un’altra di loro, Guia Soncini – nel descrivere il suo agosto 2023 a casa con il condizionatore sempre acceso – fotografa a parole orde di turisti che «come locuste scese da voli low cost riempiono le città per mangiare un pezzo di pizza al taglio purché non siano a casa: va bene anche Bologna – ha scritto – pur di dire che sono andati da qualche parte». Soncini, che racconta di sentir pronunciare ogni anno, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, la fatidica frase: «Ma non vai da qualche parte?», sostiene che, dalla Ginzburg ad oggi, una sola cosa non sia mutata: le lavanderie. «Le proprietarie dei lavasecco tengono troppo alla qualità della loro vita per stirare ad agosto, e quindi i lavasecco sono gli unici negozi novecentescamente chiusi per un mese e mezzo». Ma adesso ci sono i cinesi, «che hanno più voglia di lavorare di chi è nato tra Belluno e Trapani, e ti stirano una camicetta pure ad agosto».
«Ora mi annoio più di allora…», cantava Celentano nella sua «Azzurro», nata proprio d’estate in Liguria, a Finale, sulla spiaggia dei Bagni «Elios» in un pomeriggio del Sessantotto da un incontro tra Vito Pallavicini e Paolo Conte. E dire che per molti la vera libidine agostana è proprio la «restanza»: quella condizione orgogliosamente asociale di quando non resta neanche un prete per chiacchierar… Ma i veterani della «restanza» dicono che basta scavallare Ferragosto. Tanto poi tornano tutti.