Corriere della Sera, 14 agosto 2023
La quarta incriminazione incombe su Trump (e lui vola nei sondaggi)
«Cosa mi serve per avere la certezza di essere rieletto? Una quarta incriminazione». Detto, fatto: da domani ogni momento sarà buono per il quarto «indictment» di Donald Trump. I procuratori della Georgia hanno, infatti, convocato per martedì mattina i testimoni chiamati a fornire al grand jury gli elementi per decidere se l’ex presidente va processato anche in questo Stato del Sud per i tentativi di alterare a suo favore i risultati delle presidenziali del 2020.
Le parole pronunciate da Trump dopo la terza incriminazione, quella federale incardinata a Washington, sembrano quelle di un guascone, come è, del resto, nell’indole del personaggio: lui non può non temere un «indictment» che stavolta potrebbe fare riferimento a violazioni di leggi più gravi – le norme antiracket – con pene detentive assai più severe. Tanto più che, mentre eventuali condanne federali potrebbero essere «autoperdonate» dallo stesso Trump una volta eletto (o condonate da un altro presidente), le pene inflitte a livello statale non rientrano nei poteri di grazia della Casa Bianca: The Donald, quindi, rischia per le cause intentate a New York (per reati finanziari e fiscali di rilevanza limitata) e in Georgia, mentre l’incriminazione in Florida è comunque basata su un procedimento d’accusa federale.
Eppure quelle parole di Trump, per quanto sfacciate, contengono una loro verità, almeno per quanto riguarda la conquista della nomination repubblicana per le presidenziali del novembre 2024: fin qui i sondaggi hanno indicato una continua crescita dei consensi per Trump man mano che l’offensiva giudiziaria contro di lui si è intensificata. Il perché lo spiega con disarmante candore il portavoce dell’ex presidente Steven Cheung, sempre attento a offrire ai giornalisti la massima visibilità sui movimenti del leader quando convocato nelle aule giudiziarie: «Qualcuno è interessato a sapere cosa fanno gli altri candidati? Non credo, non rimane ossigeno per gli altri». Un anonimo stratega elettorale di un avversario repubblicano di Trump conferma, sconsolato, al New York Times che indaga con quattro delle sue migliori firme sul perché le incriminazioni fanno volare i consensi dell’ex presidente: «Per noi queste vicende giudiziarie di Trump sono come una permanente eclisse di sole».
La prova più recente e spettacolare è arrivata sabato durante la tradizionale Iowa State Fair: la fiera agricola di Des Moines che ogni 4 anni, a metà agosto, si trasforma nel palcoscenico sul quale tutti i candidati repubblicani svolgono le prove generali della sfida che, meno di sei mesi dopo, aprirà la stagione delle primarie. Di prima mattina il governatore della Florida, Ron DeSantis, il più accreditato tra gli sfidanti di Trump, si è presentato con moglie e figli tra gli stand ma, mentre cercava di conquistare la simpatia del pubblico mettendosi anche, come da tradizione, alla graticola ad arrostire hamburger e cotolette di maiale, dalla folla hanno cominciato a levarsi cori: «Noi vogliamo Trump» e «noi amiamo Trump».
Qualche minuto dopo le masse che erano andate ad ascoltare i candidati repubblicani, da Mike Pence a Nikki Haley, in vari punti dell’esposizione, hanno smesso di seguirli: tutti col naso all’insù a guardare il Boeing di Trump che volava in cerchio sulla fiera. E mentre gli altri candidati sono rimasti a bollire tutto il giorno tra gli stand, cucinando, facendosi intervistare, rispondendo agli elettori, mentre il più giovane tra loro, Vivek Ramaswamy, ha addirittura improvvisato una performance musicale cantando motivi rap di Eminem, Donald si è limitato a un «touch and go»: atterraggio, breve bagno di folla, qualche battuta e di nuovo in volo dopo meno di due ore, evitando interviste e incontri organizzati.
Tra breve quel Boeing gli servirà per andare ad Atlanta per il quarto procedimento penale: arresto, incriminazione e rilascio in attesa di fissare la data del processo. Sempre coi registi della campagna impegnati a dare la massima visibilità a un evento che dovrebbe imbarazzarlo ed esporlo alla pubblica riprovazione e che, invece, lo esalta: prima ancora che sfrontatezza è la consapevolezza – come testimoniato dai sondaggi e accertato anche dall’inchiesta del Times – che l’80% dei repubblicani considera tutte le accuse contro Trump politicamente motivate.