La Stampa, 13 agosto 2023
Quanto ci manca Piero Angela
Caro Piero,
ti scrivo a un anno esatto dalla tua scomparsa, anche se non sono mica sicuro che tu mi leggerai. Ti dico subito che la tua assenza è pesata molto, in questi dodici mesi, prima di tutto da un punto di vista umano e personale. La famiglia televisiva che avevi radunato in mezzo secolo di divulgazione scientifica si è atomizzata in tante monadi che hanno ora traiettorie più indipendenti. E forse questo è proprio quanto auspicavi: il lavoro quasi invisibile di formazione di nuovi divulgatori ha portato i suoi frutti e anche noi della vecchia guardia osserviamo con curiosità quei percorsi. I tuoi telespettatori, spesso anche lettori, si sono lievemente disuniti: sanno di doverti molto, non fosse altro, prima dei contenuti, per quel senso di aver assolto a un compito alto di conoscenza dopo aver visto una tua trasmissione, strappando tempo magari a un talk-show oppure a una fiction. Stavamo tutti meglio dopo aver visto una puntata di SuperQuark o dopo aver letto La straordinaria storia della vita sulla Terra. Perciò durante quest’anno ci siamo tutti sentiti un po’ più soli.
Ma la tua assenza è pesata molto anche per quella brutta aria che tira sulla scienza dopo la pandemia e nel pieno di una crisi climatica che minaccia il benessere e anche la vita stessa dei sapiens. Non sono sicuro che le tue parole sarebbero state dirimenti come in passato, in un mondo e in un’Italia pesantemente affetti da un analfabetismo funzionale spaventoso, per cui non si riesce a far comprendere neppure la differenza fra un articolo scientifico e un’intervista a un quotidiano. Ma certamente avresti potuto convincere chi si affidava a te solo perché non sapeva, magari non chi era ed è in malafede. Non avresti dovuto fare poi un granché: era sufficiente ascoltarti, riguardo a una tematica complessa come quella climatica, per capire che non navighiamo in buone acque e che molto dipende da noi. Il tutto si sarebbe svolto in maniera calma e rassicurante, con gli specialisti che avresti scelto tu e con la fiducia nella scienza che trasmettevi, al punto di attirarti qualche critica di scientismo. E senza alcun contraddittorio: sapevi troppo bene che il dibattito si tiene fra gli scienziati, non davanti a una telecamera e che la scienza acclarata non è democratica, come ripetevi spesso, né necessariamente rassicurante.
Ti saresti sentito a disagio, in questi mesi, perché è diventata più virulenta la schiera di quelli che hanno come unico titolo di studio il battesimo e vogliono però convincerti che la scienza è al servizio di Big Phama o delle lobby verdi (figurati se i poteri forti sono quelli e non quelli dei petrolieri) e dunque le cose non stanno come le descrivono gli specialisti, ma come le racconta il “cugggino” che si è documentato su YouTube. Avevano perfino iniziato a prendersela con te al tempo dei vaccini, usando parole per le quali provo io vergogna per loro. Ma tu avresti sicuramente analizzato il fenomeno, magari condividendo le parole di Umberto Eco relative agli scalmanati da Internet, anche se tu non ce lo avresti fatto mai sapere. Diffcilmente ti infilavi in tematiche troppo divisive, sulle quali evidentemente avevi le tue idee, ma sulle quali non volevi che altri le avessero simili alle tue solo perché le avevi riportate tu: energia nucleare e ruolo della carne nello sviluppo dei sapiens, per esempio, o la guerra o la tecnologia.
Sapevi essere autorevole senza essere autoritario e portavi un rispetto quasi sacrale al metodo scientifico e al ruolo dei maestri, in un tempo in cui ognuno sembra poterne fare a meno e sembra possa costruirsi un suo percorso di conoscenza senza neppure faticare troppo. Per te era molto chiara la differenza fra Wikipedia e Treccani. Sei stato il maestro di tutti quanti noi che abbiamo provato a fare divulgazione proprio a partire da te e dalla curiosità che ci hai trasmesso. Sono anche contento di portare dentro di me qualche ricordo, nelle poche volte che abbiamo parlato di persona, come quella volta che mi raccomandasti di non dimenticare il mio ruolo di ricercatore nella divulgazione, un pregio che l’avrebbe resa più autorevole. Pur non avendo una laurea (se non honoris causa) nelle materie scientifiche, sei stato il più “accademico” di tutti e un autentico innovatore nella comunicazione delle scienze, fino allora relegate a pascolare nei recinti inguardabili della televisione delle notti profonde. L’unico che possiamo avvicinare a David Attenborough, il baronetto della divulgazione scientifica. Hai disegnato un ruolo nuovo e hai riportato la considerazione della scienza nell’ambito della cultura, ricordando che Crick e Watson erano importanti almeno come Manzoni e De Chirico.
Caro Piero, la vera ragione per cui ti scrivo, in realtà, è che ci manchi, non solo perché ci avresti aiutati a tenere la barra dritta in questi mari tempestosi, ma anche perché quel tuo sorriso lieve e quelle parole sempre chiare e tranquille ci facevano sentire protetti, nell’illusione che non saresti mai venuto a mancare, che saresti stato per sempre ancora qui fra noi. Che, a pensarci bene, è proprio quello che è successo. —