Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 12 Sabato calendario

Il manuale del killer

Il Cannibale del Golden Gate - un assassino seriale al quale danno la caccia investigatori, giornalisti, curiosi e agenti letterari - pubblica una “Guida” di istruzioni (e ricette) tragicomiche per omicidi dedicata ai principianti. Con tanto di prefazione (che qui anticipiamo). Tutto finto, naturalmente. O forse no. Perché il Mostro - nato dall’immaginazione di Stuart MacBride - ha anche un messaggio per i fan: basta discriminazioni, siamo tutti uguali.

Stuart MacBride
Mi ricorderò sempre della prima persona che mi ha chiesto: «Sei davvero tu il Cannibale del Golden Gate?». È stato quattro anni fa, quando l’articolo di Doug Scanlon era appena uscito sul «San Francisco Clarion» (quello in cui alla fine era riuscito ad associare una serie di denunce di scomparsa al borsone pieno di ossa umane maciullate venuto a galla a Fort Point Rock, proprio vicino al ponte) e non si faceva che parlare di questo «nuovo tremendo serial killer che si aggira per le strade della città».
Perché se c’è una cosa che i giornali amano è seminare panico a profusione.

La persona che mi ha posto la domanda in questione era Jane Applebaum, un’insegnante di trentasei anni del Delaware, che era qui in vacanza per festeggiare il divorzio da un segaiolo di nome Mitch. Io le ho risposto «Già», e i suoi occhi si sono accesi, come i fanali della vecchia Buick di mio padre. «Oddio, è troppo interessante! Quindi hai davvero ucciso tutta quella gente?». «No», ho dovuto risponderle.
Lei è parsa quasi delusa.
Be’, a quell’epoca mi avevano appioppato cinque uomini, quattro donne e tre ragazzini. Ma io non ho mai, in tutta la mia vita, messo le mani addosso a un ragazzino. C’è un posto speciale all’inferno per quei bastardi che fanno del male ai ragazzini.
Uomini e donne... sicuro come la morte che qualcuno ho ucciso. Anche più di qualcuno. La tecnica l’ho già affinata tempo fa, a Salt Lake City, mollando i cadaveri a Farmington Bay (e a oggi ancora non li hanno trovati, la puzza che fa quel lago certe volte torna proprio utile). Comunque non è stato lì che ho ucciso la prima volta. Per sapere dov’è successo bisogna tornare indietro a quando sono cresciuto in mezzo a un cazzo di nulla, nell’Idaho (ma ne parleremo meglio nel capitolo 4). Fatto sta che faccio fuori la gente da così tanto tempo che nemmeno me lo ricordo.
In ogni caso, Jane Applebaum (ve la ricordate?) era così maledettamente eccitata all’idea di incontrarmi che tutti e due ci siamo scordati il motivo per cui ero lì, nella sua stanza, alle tre del mattino. Lei mi ha fatto tutte queste domande e io mi sono sentito lusingato, devo ammetterlo, che ci fosse qualcuno tanto interessato a quello che faccio e a come lo faccio.
Il che mi ha spinto a domandarmi, mentre caricavo il suo corpo nel bagagliaio di una Toyota che avevo rubato la notte prima (capitolo 9, Pianifica il tuo omicidio), se magari Jane poteva non essere da sola. Non in senso letterale — che non ci fosse nessuno con lei lo avevo già appurato al Mama Stein’s Bar di Franklin Street (vedi il capitolo 6 per i consigli su come individuare vittime ad alto o basso rischio e su come questa scelta può massimizzare le possibilità di non essere scoperti), ma forse c’erano delle altre persone altrettanto interessate alla mia storia?
E così ho fatto un podcast, «Alla tavola del Cannibale», in cui condividevo trucchi, suggerimenti e ricette (potete sempre recuperare gli episodi precedenti anche se avete appena cominciato a seguirlo, e non dimenticate di iscrivervi per contenuti bonus e offerte speciali!). È cominciata come una cosetta amatoriale, non mi aspettavo di arrivare da nessuna parte, ma non c’è voluto molto prima che raccogliesse un discreto numero di ascoltatori. Diamine, ho persino vinto un paio di premi! Poi, un giorno, all’improvviso, quest’agente letterario di New York si è messo in contatto con me e mi ha chiesto se avevo mai pensato di scrivere un libro sull’argomento.
No, non ci avevo pensato.
Lui però era sicuro che avrei avuto un bel po’ di lettori e che un grosso editore avrebbe sganciato una bella cifra per la mia storia. Ecco perché adesso avete questo libro tra le mani.
Per cui grazie, Jane Applebaum!

A quel punto il gioco si è fatto duro. Non volevo scrivere un patetico memoir sul fatto che, dopo la morte di mio padre, zio Joe mi aveva molestato; o una schifezza pretenziosa e sensazionalistica del tipo «sono troppo intelligente e non mi prenderete mai»; no, volevo scrivere un manuale, qualcosa di pratico che potesse aiutare le persone nel corso del loro viaggio. Condividere un po’ di quello che avevo imparato negli anni.
Mi è ben presto stato chiaro che avrei avuto bisogno di aiuto per dare forma alle mie idee e trasformarle in qualcosa di leggibile e così – mai serbare rancore – ho contattato Doug Scanlon, del «San Francisco Clarion». Dopotutto, mi aveva dato la caccia per anni, conosceva bene le indagini della polizia di San Francisco e aveva diversi agganci all’Fbi che potevano darci informazioni utili su come le forze dell’ordine cercano persone tipo me.
Anche se all’inizio era riluttante a collaborare, alla fine Doug ha deciso di correre il rischio e unirsi al mio progetto, e io voglio cogliere l’occasione per ringraziarlo per il suo aiuto e i suoi consigli.
Non ce l’avrei mai fatta senza di te, Doug!
Me lo diceva sempre: è giusto ascoltare i pareri altrui, ma alla fine è il tuo libro e devi prendere le difese di ciò in cui credi. Mi ripeteva anche: «Non puoi mangiarmi, abbiamo una data di consegna da rispettare!».
Ah, quante risate...
La sua consulenza è stata preziosissima.
Innanzitutto, per esempio, quando per qualche bizzarra ragione, la mia editor si è affezionata all’idea che il libro sarebbe stata una parodia, una commedia dark. Tipo un mockumentary: una messinscena, in sostanza. Sosteneva che il titolo che avevo scelto io per il progetto, Canzoni dall’opera nera (Omicidio a sfondo sessuale, guida pratica all’uso), lo facesse sembrare troppo «serio», mentre «noi abbiamo bisogno di qualcosa di più divertente, in grado di stuzzicare la gente che compra romanzi da leggere in vacanza». Ecco perché voleva chiamarlo Diventare un serial killer, guida per principianti.
Come potete immaginare, questo è stato il primo terreno di scontro tra editor e autore!
Ho seguito il consiglio di Doug e ho detto di no.
Loro hanno insistito.
Io sono rimasto sulla mia posizione.
Loro hanno insistito ancora.
Io ho mandato alla mia editor una busta contenente un teschio umano scuoiato e tre Polaroid del marito che accompagnava a scuola i figli.
E la mia editor ha deciso che potevo intitolare il libro come mi pareva (lo so, sembra terribilmente complicato, ma se avete un bel coltello affilato e seguite passo passo le indicazioni illustrate a pagina 135, non avrete problemi). Anzi, mi hanno offerto una percentuale di royalties molto più alta di quella che avevamo concordato in precedenza!
Il che dimostra che Doug aveva ragione e che bisogna sempre seguire il proprio istinto creativo.

A questo punto, probabilmente, vi starete chiedendo: «Ma se sei davvero il Cannibale del Golden Gate, com’è possibile che pubblichi un libro a nome tuo?». Buona domanda. Sarebbe un modo davvero stupido per farsi beccare, no? Nel giro di un attimo mi ritroverei degli elicotteri che mi volano sulla testa e uno squadrone da assalto alla porta. «Aggiornamento in diretta su Canale 11», direbbero in tv, «la sparatoria tra l’Fbi e il famoso serial killer ha causato la morte di diciannove persone...».
Ma non preoccupatevi, Brad Jameson Carter non è il mio vero nome, anche se l’ho usato negli ultimi dodici anni. E quando le bozze di questo libro cominceranno a circolare, io avrò già cambiato Stato e modificato il mio aspetto, trasformandomi in una persona completamente diversa (per qualche spunto su come nascondere la propria identità alle forze dell’ordine leggete il capitolo 21).
Chiaramente questo significa che non potrò presenziare a tutti quei festival letterari che sono spuntati come funghi nel nostro Paese negli ultimi vent’anni. Di nuovo: sarebbe un modo piuttosto stupido di farsi beccare. E purtroppo, a causa di un incidente sul lavoro, Doug (che avrei volentieri mandato in mia vece) non è in grado di viaggiare, dunque dovrete accontentarvi di questa prefazione come dimostrazione che entrambi apprezziamo il fatto che abbiate comprato e letto Canzoni dall’opera nera più di quanto immaginiate! Se ci fossero in circolazione più amanti dei libri, invece di persone che odiano tutti, il mondo sarebbe un posto migliore.
C’è una fastidiosa tendenza negli Usa al momento: odiare viene considerato una virtù, e non un peccato. Alcuni credono che sia colpa delle radiazioni cinesi del 5G o del fatto che «ci hanno inoculato dei microchip insieme al vaccino antiCovid per trasformarci tutti in zombie» o ancora che le scie governative ci stiano facendo diventare gay per annientare la fibra morale del Paese. Io invece penso semplicemente che ci sia in giro molta più gente stupida di prima. E mentre, in passato, i cretini si vergognavano di essere tali, adesso se ne vantano. Sono felici di tirar giù tutto e tutti al loro livello, di mettere le famiglie le une contro le altre, di demonizzare la comunità Lgbtq+, o gli stranieri, o coloro che vengono qui in cerca di un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Una minoranza-non-più-tanto-silenziosa vuole rendere più difficile l’accesso al voto per la gente di colore, vuole rendere più difficile alle donne decidere del proprio corpo, vuole rendere più difficile ai poveri quasi tutto, mentre ai ricchi non viene nemmeno chiesto di fare la propria parte...
E questo è curioso, perché – e io ve lo posso giurare con la mano sul cuore – dentro siamo tutti identici. Se scuoi un Repubblicano con una lama da quindici centimetri scoprirai che i suoi organi interni sono assolutamente uguali a quelli di un Democratico o di un immigrato messicano. Il suo sangue è rosso come quello di tutti gli altri e si mette a gridare pregando la Madonna, Dio e Gesù Cristo (anche se è ateo).
Quando muore è altrettanto terrorizzato.
Ma se usate dei lacci emostatici legati nei punti giusti (consultate in proposito la guida a pagina 201), potete tenerlo in vita per giorni (o settimane, se fate tutto a puntino), mentre rimuovete e cucinate i suoi arti (le ricette sono al capitolo 13, io consiglio in particolare quella alla paprika di pagina 256). Diamine, è persino disposto ad aiutarvi a mangiarli, se si convince che questo potrà salvargli la vita o magari farlo soffrire anche solo un giorno in più.
Il punto è: siamo tutti uguali, basta un po’ di prospettiva per rendersene conto.

Io avevo tredici anni quando ho scoperto la verità. Era uno dei Natali più freddi degli ultimi cinquant’anni e zio Joe l’aveva fatta di nuovo grossa. Picchiava mia madre talmente forte che tutti sapevamo che avrebbe finito per ucciderla. A un certo punto lei giace in cucina in una pozza di sangue e denti rotti, e lui respira affannosamente, con questo grosso martello in mano. Il mio fratellino, Chip, esce fuori di testa: si precipita nella stanza, ulula e impreca, gli salta addosso. Lo morde, lo graffia. «Hai ucciso mia mamma!».
Aveva solo sei anni.
E il buon zio Joe gli ha spaccato la testa aprendogliela come un melone. E così io sono andato al cassetto della cucina, ho preso la mannaia più grande, quella che usavamo per fare a pezzi le carcasse dei maiali e ho scoperto che aspetto aveva da dentro il cranio di zio Joe.
Era uguale a quello di Chip.
Siamo tutti fatti di carne.
Ho sepolto la mamma e Chip nella fossa biologica e dato Joe in pasto ai maiali. Ho continuato a incassare il suo assegno di invalidità e a vivere lì da solo per quattro anni, finché lo sceriffo non si è accorto che, ogni giorno di festa, spariva un gruppetto di fedeli e ha cominciato a fare domande (andate al capitolo 14 per imparare quando è ora di togliere le tende e sistemarsi da qualche altra parte).
Può sembrare che abbia avuto un’infanzia piuttosto difficile, ma sono venuto su bene.
In ogni caso, spero che Canzoni dall’opera nera vi piaccia. Chissà, magari se va bene potrei scrivere un altro libro. Diventare un autore di bestseller come Stephen King o Dan Brown. Nel frattempo, visto che so che non fa mai male trovare un espediente promozionale se vuoi procacciarti recensioni e copertura sulla stampa, ho nascosto un indovinello in ogni capitolo. Risolveteli tutti, mettete insieme le soluzioni e scoprirete dove si trova una copia molto speciale di questo libro: è in edizione limitatissima, imperdibile, firmata da me e Doug Scanlon e rilegata con la sua pelle.
Buona caccia al tesoro!
(traduzione di Clara Serretta)

Stuart MacBride
Il cadavere sotto la neve
Newton Compton