il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2023
Quel che resta di Forza Italia
Per misurare lo stato della politica e dell’informazione, che in Italia si peggiorano a vicenda, basta leggere le cronache su quel che resta di Forza Italia dopo la dipartita di B.. La primogenita Marina lancia moniti al governo, come se facesse capoluogo, e i giornali si preoccupano dei rapporti fra la premier Meloni, leader del partito più votato dai cittadini, e la presidente Fininvest e Mondadori, consigliera di Mediaset, mai eletta neppure amministratore di condominio. Il secondogenito Pier Silvio, del quale pure si ignorano le idee ma non le cariche – ad e vicepresidente esecutivo Mediaset, presidente Rti – viene dato dai sondaggisti come il leader ideale di FI in quanto più popolare di Tajani (bella forza) perché, levando il Pier, si chiama come il padre che “tira” anche da morto, anzi ci sono buone speranze che qualche elettore rincoglionito continui a votarlo credendolo vivo. Del resto, si osserva, la famiglia B. continua a essere di fatto la proprietaria di FI, che finanzia garantendone i debiti con mega-fidejussioni. Tant’è che, alle suppletive per il seggio senatoriale di Monza liberato da B., il centrodestra candida Adriano Galliani, già socio di B., ultimamente nominato presidente delle società immobiliari Fininvest, presidente di Mediaset Premium, consigliere d’amministrazione di Fininvest, ad e vicepresidente vicario del Monza. Il tutto – garantisce Tajani – previa intesa con la famiglia B.: come se uno spicchio di Senato fosse stato privatizzato e facesse parte dell’eredità, per usucapione.
Nel discutere di questo bel quadretto, nessuno fa notare che non sarebbe neppure immaginabile in un’altra democrazia occidentale, perché lo vieterebbe anche la più scadente delle leggi contro i conflitti d’interesse. Ecco perché la cara salma è stata santificata sia da amici e alleati, sia da quasi tutti i sedicenti oppositori: perché il suo monumentale conflitto d’interessi, una volta sdoganato, legittima tutti quelli degli altri. Che, per quanto si sforzino, non riusciranno mai a eguagliarlo. Anziché chiudere la voragine aperta da B. nella rete della legalità e della decenza, si preferisce lasciarla spalancata, a beneficio di chiunque voglia intrufolarvisi dopo di lui: compari e presunti avversari. Il conflitto d’interesse fa comodo a tutti. Libero e Giornale scoprono quello altrui perché Stampa, Repubblica e Domani attaccano il presidente del Lazio, Francesco Rocca, per le marchette al gruppo Angelucci nella sanità privata, molto cara anche a Elkann (editore di Stampubblica) e De Benedetti (editore di Domani). Ma si scordano di segnalare il proprio, visto che Libero e Giornale appartengono agli Angelucci. Di lassù o di laggiù, B. si farà delle grasse risate: vinceva da vivo, vince pure da morto.