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 2023  agosto 11 Venerdì calendario

In morte di Antonella Lualdi




Claudio Siniscalchi per il giornaleL’Italia del «miracolo economico» ancora oggi ha un volto affascinante, pur nulla offuscato dal tempo trascorso. Eravamo usciti da una guerra devastante. Le ferite più che materiali erano di natura morale. L’identità nazionale era profondamente lacerata. Divisa. Frammentata. Amalgama di pezzi difficili, talvolta impossibili da riconciliare.
Gli anni che seguirono la seconda metà del 1945 si rivelarono davvero difficili. Poi, gradualmente e non senza scossoni, gli italiani iniziarono a smettere i panni vecchi della paura e della povertà, per indossare quelli della speranza e del benessere diffuso.
La cinematografia si è rivelata, inconsapevolmente, l’«autobiografia della nazione». Lo specchio nel quale si andava riflettendo, di film in film, di genere in genere, senza infingimenti, il desiderio di modernizzazione. Una corsa a perdifiato nel tentativo di costruire un’antropologia non più legata alle ristrettezze ma al divertimento. Al vestito nuovo e non al cappotto rivoltato. Alla tavola imbandita del ristorante e non al modesto desco casalingo. La commedia (cosiddetta italiana), racchiuse, in mille sfumature, il cambio di paradigma.
Nel 1948 il protagonista di un capolavoro di Vittorio De Sica si disperava per il furto della bicicletta. Passato un lustro quel dramma esistenziale non era più credibile. Le due ruote si erano motorizzate. In attesa dell’irrompere delle quattro ruote. Questa mutazione la commedia italiana è stata in grado di catturarla in diretta. Se la commedia degli anni Trenta suscitava negli spettatori un sogno pressoché impossibile da raggiungere (e chi se li poteva permettere i «telefoni bianchi»?), quella degli anni Cinquanta incarnava la realtà a portata di mano. Di questa stagione tanto fortunata, Antonella Lualdi (morta a 92 anni) è stata una protagonista di primo piano. Non apparteneva alla schiera delle «maggiorate». Non era classificabile nelle «povere ma belle». Non rappresentava la «nuova donna» giovane e maliziosa. Per diventare un’icona non ha avuto bisogno di vincere un Oscar come Anna Magnani e Sophia Loren. Non ha avuto bisogno di interpretare memorabili film di «cassetta» come Gina Lollobrigida, o acclamate opere d’«autore» come Monica Vitti.
Eppure, è stata il volto luminoso di un’epoca splendida. Irripetibile. Si resta sorpresi nel constatare il numero delle produzioni alle quali abbia partecipato Antonella Lualdi nel «ventennio d’oro» della cinematografia nazionale. Dal 1949, quando si fa conoscere in Signorinella del veterano Mario Mattoli, al 1969, in Un caso di coscienza di Gianni Grimaldi, al crepuscolo della carriera sul grande schermo. Gli anni Settanta la vedono lentamente scomparire dietro le quinte. Come sta scomparendo il cinema italiano, affaticato da troppi pesi, di varia natura. La solidità produttiva non si misura dalla vetta della genialità; né dal basso della stravaganza contestataria. Si misura nel mezzo. Dalla qualità del prodotto di consumo.
Il successo del cinema italiano del dopoguerra troppo spesso è spiegato con la presenza di grandi registi: Fellini, Visconti, Antonioni, De Sica. E, soprattutto, di grandi attori: Sordi, Gassman, Mastroianni, Manfredi, Tognazzi. Sono loro, in larga parte, che richiamano e convogliano il pubblico. Nelle loro «maschere» il passato finisce per diventare «monumento». È vero sino ad un certo punto. E le protagoniste, di prima seconda terza e quarta fila? Antonella Lualdi è considerata comunemente un’icona di complemento. Adatta alla seconda fila. Ma è uno stereotipo, che non rende giustizia al suo talento. E non solo. Innanzitutto, come non si è mai stancato di ribadire un genio del cinema di seconda fila, il regista Riccardo Freda, era una donna bellissima. La più bella di tutte.
Una presenza sin troppo ingombrante. Sul set dominava. Ma sapeva anche essere un’attrice versatile. Lo dimostra in due film in costume (poco significativi ieri, molto significativi oggi). È il richiamo femminile de I mongoli (1961) di André De Toth, accanto ad un debordante Jack Palance. E lo è di Arrivano i Titani (1962) di Duccio Tessari, un peplum di cartapesta, accanto alla rivelazione Giuliano Gemma. Antonella Lualdi, perfettamente calata nella parte, è credibile sia nel ruolo della protagonista cattiva, sia nel ruolo della protagonista buona. Ogni tanto qualche canale tematico programma queste pellicole di serie B. Ebbene sono tutto fuorché di categoria inferiore. Registi, sceneggiatori, attori e produttori hanno talento da vendere. In grado di trasformare miracolosamente la povertà dei mezzi in risorse geniali.
Per questa ragione Antonella Lualdi deve considerarsi un’attrice di primo piano del nostro cinema, alla quale si deve un ringraziamento che forse in vita non gli è stato tributato. Ma non sempre un artista  ogni genere di artista  riesce ad essere compreso per il proprio autentico valore, nel proprio tempo. Capita spesso che si venga celebrati per meriti eccessivi, così come si è sottovalutati per demeriti inesistenti. Il tempo, fortunatamente, sana ogni ferita. Possiamo così concludere affermando che ad Antonella Lualdi spetta di diritto la prima fila della scena. Il tributo magari arriva tardi. E, comunque, meglio tardi che mai.