il Giornale, 11 agosto 2023
Nietzsche e le donne (brutte)
Le donne belle e desiderabili, a chi chiede loro quali siano le doti che un uomo deve possedere perché lo considerino interessante, mettono sempre ai primissimi posti il «deve farmi ridere». Le donne un po’ ci marciano, con questa faccenda del «ridere», come se essere simpatico fosse, ai loro occhi, molto più importante di altri fattori, ma in fondo c’è da capirle, e anche da ringraziarle: lo dicono per incoraggiare i non belli e i non ricchi, a volte persino i brutti e i poveri. Ebbene, una donna che non spiccava per bellezza, né per fascino, è passata alla storia (quella storia minima, elitaria, libresca che interessa soltanto agli studiosi di filosofia) invertendo i poli del rapporto empatico, cioè ricoprendo il ruolo dell’uomo che «fa ridere» la donna, oltretutto una donna incline alla melanconia (quando era di buon umore) e all’ira (quando era nei momenti no, cioè quasi sempre). Quella donna era Friedrich Nietzsche, e quella donna-uomo era l’austriaca Resa (diminutivo di Theresia) von Schirnhofer.
Scrive l’inquieto Nietzsche a Overbeck il 18 agosto 1884, a proposito di Resa: «è una creatura divertente, che mi fa ridere, e che si abitua facilmente a me». Cosa, quest’ultima, tutt’altro che facile, come sappiamo. È vero che pochi giorni dopo il Nostro confessava a Malwida von Meysenbug, la colta salottiera tedesca (ma ormai da molto tempo italianissima per frequentazioni, usi e costumi) che aveva consigliato a Resa di far visita al «professore mezzo cieco» a Nizza: «Peccato che, come dicono a Basilea, sia così sgraziata! Non riesco a sopportare a lungo la bruttezza nelle mie vicinanze (già con la sig.na Salomé avevo l’impressione di dover fare un certo sforzo su me stesso)». Tuttavia, anzi, forse proprio grazie a quella «bruttezza» che tolse di mezzo ogni possibilità di innamoramento, è un fatto che Resa sia da considerare un unicum in positivo, nella vita di Nietzsche.
E poi lei, che nel gennaio del 1889 si sarebbe laureata a Zurigo con una tesi dal titolo «Confronto fra le dottrine di Schelling e di Spinoza», non era soltanto una Bridget Jones ingenuotta e goffa: a 29 anni sapeva usare bene la testa, come dimostrano questi giudizi sul compagno di quei 14 giorni sereni fra Nizza (dal 3 al 12 aprile 1884) e Sils-Maria (a cavallo di Ferragosto): «La sua iperestesia emozionale può essere facilmente rivelata attraverso molti passi del Nietzsche solitario». E soprattutto: «La sua impostazione di pensiero razionalistica era in lotta con la sua sfera sentimentale, che, cresciuta a partire dall’etica cristiana, era a essa ancora vitalmente legata. La sua volontà, tuttavia, affiorando precocemente dal fondo oscuro delle pulsioni, gli predicò l’eroismo contro la sua natura portata all’emotività, anche riguardo alla compassione, e dominò sempre sovranamente il suo mondo conoscitivo...». Insomma, mentre tutti vedevano un solo Nietzsche, lei ne vide, giustamente, due, confliggenti ma dialoganti.
Queste annotazioni di Resa von Schirnhofer sono datate 1937, quando lei, 82enne, avendo assistito scandalizzata allo scempio propagandistico compiuto dalla sorella del filosofo sugli scritti di lui, decise di dire la sua, di offrire un ritratto pulito e limpido dell’uomo trasformato in ideologo ante litteram del nazismo. Lo fece in Vom Menschen Nietzsche, cioè Sull’uomo Nietzsche che Feltrinelli manderà nelle librerie il 29 agosto (pagg. 107, euro 9,50, a cura di Susanna Mati). Alcuni brani di questo memoir li abbiamo letti in Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei, a cura di Claudio Pozzoli (Bur, 1990) e poi in Io solo dinamite, la biografia del filosofo di Sue Prideaux (Utet, 2019). Ma trovarseli di fronte ben apparecchiati e commentati dalla curatrice colma una lacuna nella bibliografia nicciana, ed è una boccata d’aria fresca, anche se vecchia di 86 anni, che ritempra, già a partire dalla copertina, con Fritz ritratto da Curt Stoeving sotto un pergolato, tra vasi di fiori e piantine e una piacevole alternanza di luce e ombra.
Dunque, siamo nella primavera del 1884, ed è un bene, perché il filosofo ha appena terminato Così parlò Zarathustra e, dando a Resa la sua disponibilità a incontrarla, le scrive il 30 marzo: «ora sono libero, forse più libero di quanto sia mai stato, ed estremamente disponibile per qualsiasi otium cum dignitate». Inoltre il corpo a corpo (purtroppo per lui soltanto metaforico) con Lou Salomé era terminato e, dopo essere finito ko, aveva bisogno di rimettersi in piedi. Resa aveva letto di Nietzsche le Considerazioni inattuali e Nascita della tragedia dallo spirito della musica e aveva avuto modo di assaggiare a Bayreuth, in occasione del Parsifal di due anni prima, il «virtuosismo dialettico» e la «cavillosità sofistica» di Lou, restandone «avvinta». Ma mai avrebbe immaginato di diventare per il Nostro un ricostituente dopo la malattia rappresentata dalla conturbante russa...
In Costa Azzurra il quarantenne Nietzsche è sceso alla Pension de Genève, ma non è proprio il caso di restarsene in camera o sulla terrazza a rimuginare: via, prof, andiamo a fare una bella passeggiata sul monte Boron. Il mistral, il cielo terso, lo «stato d’animo ditirambico», persino un bicchierino di «vermouth di Torino»... E poi la corrida soft: un vero spasso, con sei tori che sembrano consumati attori di una commedia, al riparo dalle lame dei toreri... con il sottofondo fuori luogo della Carmen di Bizet, «come una fanfara di guerra in una festa danzante di campagna», che cosa comica! Intanto, si parla di scrittori, e di storia. Lo sa, signorina, che il mio polso è lento quanto quello di Napoleone? Sessanta pulsazioni al minuto! A proposito, avrei una gran voglia di visitare tutta la Corsica, mi accompagnerebbe? Potremmo fingere di essere zio e nipote... Quando si accenna a Wagner spuntano le lacrime. Ma poi spuntano i riferimenti letterari fra i più amati: Stendhal e Taine.
Cambio di scena: Sils-Maria, intorno a Ferragosto. È d’obbligo sostare in raccoglimento di fronte alla «roccia sacra» di Zarathustra, ma quando poi si incontrano delle mucche al pascolo innervosite alla vista dei due umani seccatori, si ride come pazzi, con il prof che le disperde mulinando il suo ombrello. A un certo punto Nietzsche confessa che spesso chiudendo gli occhi vede fantasmagorici fiori che s’avviticchiano, sicché Resa pensa: allora è vero che prende l’hashish. Si sfiora anche il tema della paura della follia, e di averla ereditata dal padre (altro che caduta rovinosa sui gradini, come volle far credere la sorella Elisabeth...).
L’ultimo incontro? Sorvolando sul triste giorno d’autunno del 1897 a Weimar, quando Fritz è ormai una larva custodita in una teca da Elisabeth, avviene il 6 maggio di dieci anni prima, a Zurigo. Giusto il tempo per un elogio alla grandezza di Dostoevskij e per una riflessione sul vantaggio di avere «abitudini brevi», che non sono vessatorie come quelle troppo «lunghe». Da parte sua, Resa von Schirnhofer non ebbe il tempo di diventare per Nietzsche un’«abitudine lunga». Fu una lieta parentesi di gioia in un fluviale romanzo di dolore.