Avvenire, 11 agosto 2023
Il ’900 yankee di Vittorini e Cecchi
Osvaldo Soriano si trovava esule a Parigi. Un giorno lesse sul giornale che Erskine Caldwell era là e avrebbe tenuto un incontro pubblico.
Quando aveva lasciato Buenos Aires nel 1976, senza sapere quando sarebbe tornato o se sarebbe tornato, portò con sé una sola valigia e dodici libri di Caldwell. Si accorse che la conferenza era in inglese malgrado la presenza di un traduttore, e capì ben poco, ma alla fine si avvicinò allo scrittore mentre il resto dei partecipanti, una ventina in tutto, lasciava la sala e chiese al traduttore di riportare allo scrittore questa sola frase: «Ho lasciato il mio Paese con una valigia e dodici suoi libri». Per sola risposta ebbe l’abbraccio di Cadwell, allora ottantenne. Soriano stesso prima di raccontare l’aneddoto si chiedeva se non l’avesse letto con entusiasmo esagerato, chi sa, aggiungendo che si trattava di «uno dei colossi degli anni Trenta». E Vittorini dirà, a vent’anni di distanza dalla prima edizione della sua Americana: «Non ritradurrei certamente Caldwell e forse nemmeno Saroyan. Ma se la congiuntura storica fosse per l’Italia e la sua letteratura ancora quella di venticinque anni fa credo che ritradurrei tutti quanti». Certo nel leggere i due racconti di Caldwell inclusi nell’antologia – Solleone, Il mondo ai dadi, messi in italiano dallo stesso Vittorini – verrebbe da credere che uno scrittore così, o almeno due racconti di quella forza, “la congiuntura storica” se la creano loro da soli. La fama di Americana si deve a molte circostanze: prima antologia di quel genere – e mole, esaustività e qualità della scelta – per l’Italia; il nome dell’ideatore e curatore; il livello delle traduzioni (oltre il curatore, Montale e Pavese, Moravia, Piovene e Linati tra gli altri); la grande o enorme distanza dalla letteratura italiana di quegli anni. Infine la circostanza più evidente e più effimera, la più citata e che incise in fondo ben poco sul risultato: il fatto che la censura fece ritirare la prima uscita, del ‘40, impose al curatore di rinunciare alle note introduttive alle diverse sezioni e “caldeggiò” l’introduzione generale di Emilio Cecchi. Anche così: tutto l’essenziale, vale a dire l’insieme dei testi raccolti, restava intatto. Si può supporre poi che il dattiloscritto, complici le sue dimensioni (millecinquecento pagine), non fu letto dai censori con l’attenzione che richiedeva, altrimenti non avrebbero lasciato passare, come minimo, il racconto di James Cain, Il baritono. E anche i due di Caldwell hanno rischiato molto. Il ricorso a Cecchi, in ogni caso, non risultò essere nè un ripiego né una semplice condizione per il nullaosta, in qualità di autore “non sgradito al regime”.
Cecchi era un critico di prim’ordine e proprio di letterature anglosassoni, benché forse più vicino, per gusto, a quella inglese.
E aveva appena pubblicato, nello stesso anno dell’Americana censurata, America amara. Era lo scrittore e il critico, per dire così, più “informato sui fatti”. Americana è recentemente riapparsa nelle librerie (Bompiani, pagine 1.296. euro 30,00) recuperando l’illustrazione di copertina della prima edizione 1942: Corner Grocery Store di Ward Lockwood. La scorsa edizione recava il nome di Vittorini come se ne fosse l’autore, più che il curatore. Era un’imprecisione, una svista o un azzardo che diceva a suo modo la verità. Americana fu, fra tanto altro, il diario delle febbrili letture americane di Vittorini, degli ultimi dieci anni o più. Quando l’antologia fu pubblicata aveva 34 anni; Conversazione in Sicilia era uscita l’anno prima. E in presa diretta e risentite, come le note di un diario, erano le note premesse alle diverse sezioni (nove in tutto, da “Le origini” a “La nuova leggenda”). Come aveva immaginato Pavese e come scrisse all’autore, ritagliate e messe una dietro l’altra compongono la brevissima storia della letteratura americana tra i due secoli. Una lettura critica vitale, stringente e nervosa com’era appunto il curatore, i cui giudizi risultano trancianti, in fin dei conti, quanto quelli di Emilio Cecchi. La differenza è che le “censure” di Vittorini comprensibilmente attaccano più che altro gli esclusi, per inquadrare meglio gli inclusi. Ma non in ogni caso: con Theodore Dreyser per esempio, presente con Matrimonio per uno, se la prendono tutti e due. In realtà i due profili critici – scorciato e umorale anche quello dello scrittore toscano risultano complementari più che contrastanti.