Avvenire, 10 agosto 2023
Il disordine nella sintassi, segno di un’epoca orizzontale
Forse una deformazione professionale, forse l’abitudine a leggere velocemente, forse un certo rigore logico mi inducono a riflettere sul modo in cui oggi si affronta la scrittura e con questo termine intendo la costruzione di un periodo dotato di senso, finalizzato a trasmettere un contenuto. In un precedente intervento abbiamo già posto in luce che i segni di interpunzione oggi si sono ridotti a due: il punto e la virgola. Sia chiaro che non intendo atteggiarmi a laudator temporis acti né ad acritico difensore della tradizione. Nel caso della scrittura deve assolutamente prevalere il criterio della chiarezza per aiutare il lettore a comprendere il significato di quanto viene espresso. Il punto segna lo stacco tra due periodi, i quali, per essere periodi, necessitano di un soggetto e di forma verbale di modo finito, espressi o sottintesi.
Ora, invece, è diventato di uso comune introdurlo per separare la principale dalla subordinata, generando confusione, per il fatto che non è sempre agile attribuire il nesso logico alla preposizione precedente o a quella seguente. «Sono tornato a casa. Perché pioveva. Ho preso l’ombrello». «Sono tornato a casa perché pioveva» oppure «Ho preso l’ombrello perché pioveva»?
«Sperando che tutto vada bene». Di quale proposizione risulta dipendente? Chi scrive lo sa, chi legge lo ignora.
Non parliamo poi dei periodi-complementi: «Con tranquillità» o dei periodi-attributi: «Sicuro».
Mi sto domandando i motivi di questo andazzo, ormai generalizzato. Il primo può derivare dalla formazione scolastica che sempre meno dedica attenzione all’esercizio della scrittura, della correzione e della revisione. Non ci si improvvisa né campioni di calcio né dirigenti di grandi industrie né scrittori né poeti, nonostante la superficialità e la banalità possano anche costituire gli ingredienti di un effimero successo. E imparare a scrivere comporta la conoscenza precisa dell’analisi grammaticale, logica e del periodo. Ripeto “conoscenza precisa”, che una volta veniva appresa soprattutto mediante lo studio della lingua latina. Ricordo un professore che mi segnò come errore grave la traduzione di un “nam” con “poiché”, congiunzione subordinativa, invece che con “infatti”.
Un’altra causa affonderebbe le radici all’interno dell’orizzontalità culturale dell’attuale momento storico. Giovanni Solimene e Giorgio Zanchini nell’opera La cultura orizzontale (Laterza, 2020) connotano questo concetto secondo due princìpi: partecipazione di massa alla vita online e condivisione dei contenuti della rete. Il fatto che a ogni cittadino sia concesso un mezzo per esprimere il proprio parere è senza dubbio un risultato importante, ma questa possibilità, se non è filtrata attraverso un processo critico, genera superficialità, “conversazioni da bar”. Internet impedisce a molti utenti di sviluppare l’abitudine alla lettura meditata, banalizza la complessità, induce al nozionismo, fa smarrire la capacità di riflettere. In parole povere rende ignoranti e soprattutto arroganti. Ma preoccupa ancor di più il constatare che questa “sciatteria” viene propagandata da scrittori e da giornalisti della carta stampata e di programmi televisivi. Su problemi di enorme complessità, sui quali generazioni di studiosi si sono arrovellati proponendo ipotesi provvisorie, si riporta il parere del semplice cittadino o dell’influencer, i quali intendono con una battuta indicare la soluzione. «Sutor, ne ultra crepidam! » dicevano i classici. Ma oggi chi più intende far tesoro della saggezza degli antichi?
E l’incapacità di definire i ruoli all’interno di un periodo sintattico diventa chiara testimonianza di una confusione di competenze, come è avvenuto nei dibattiti televisivi durante la pandemia: il parere dello scienziato veniva posto sullo stesso piano di quello del no-vax spaventato dall’ipotesi di sottoporsi al vaccino. Questo andazzo genera nell’opinione pubblica una confusione di ruoli, di compiti, di priorità anche nelle scelte politiche importanti. Quanti hanno assunto – a tutti i livelli e per tutti i partiti – cariche senza alcuna preparazione, sbandierando soluzioni semplicistiche!
Come si vede, tout se tient; l’incapacità di strutturare un periodo secondo criteri logici (un ripasso di analisi del periodo dovrebbe essere obbligatorio per chi ha il patentino di giornalista) altro non è che la rivelazione di una fondamentale caratteristica dell’attuale momento storico. Oggi più che mai si rende necessario coltivare l’abitudine “critica” nell’affrontare le questioni individuali e generali che la società ci sottopone, incominciando a mettere ordine fra le nostre idee nella strutturazione del pensiero scritto finalizzato alla comprensione altrui. Chi non conosce la differenza tra principale e subordinata, rivela di non essere in grado di analizzare in modo “logico” e rigoroso le tematiche che affronta.