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 2023  agosto 09 Mercoledì calendario

I difetti della révolution


È toccato al Sessantotto, alla Rivoluzione russa, alla cucina romagnola. Adesso è venuto il turno della Rivoluzione francese. Non sempre il processo simbolico di San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), che si svolge ogni anno il 10 agosto, porta alla sbarra singoli individui come Giulio Cesare, Giuseppe Mazzini, Palmiro Togliatti. Quest’anno l’associazione Sammauroindustria, diretta da Miro Gori, ha scelto come imputato il complesso di eventi che si svolse in Francia a partire dal 1789. Domani la pubblica accusa, nel giorno dell’anniversario dell’omicidio del padre di Giovanni Pascoli (nato a San Mauro), sarà rappresentata dal politologo Giorgio Galli, la difesa dallo storico Antonino De Francesco. Entrambi hanno anticipato al «Corriere» il succo delle loro argomentazioni.
«La Rivoluzione – sostiene Galli – si presenta nelle vesti dell’azione razionale e invece sfocia nel caos. Dal 1791 al 1799 produce ben quattro Costituzioni diverse nel giro di otto anni. La pretesa illuminista di costruire un ordine delle cose umane perfettamente trasparente, fondato sulla ragione, si rivela così infondata, perché tutti i tentativi compiuti in Francia sfociano in breve tempo nel fallimento. Il mito del progresso viene smentito, non genera frutti copiosi ma soltanto rami secchi l’uno dopo l’altro».
Non la pensa così De Francesco: «Le grandi ambizioni rivoluzionarie suscitano forti resistenze. Ma avere ambizioni in politica è indispensabile, se no ci si ferma ai primi ostacoli. Comunque a proposito della Rivoluzione parlerei di difficoltà, non di fallimenti. In fondo l’assolutismo monarchico viene sostituito con un sistema improntato alla democrazia rappresentativa, che stimola la partecipazione popolare e nella fase del Direttorio, dopo il 1795, raggiunge un suo equilibrio. Nel complesso i risultati della Rivoluzione sono tutt’altro che irrilevanti: la fine dei privilegi nobiliari, l’affermazione della sovranità popolare, il suffragio universale maschile, l’abolizione della schiavitù nelle colonie. È un patrimonio grandioso che i rivoluzionari consegnano al secolo successivo».
Galli però insiste sul fatto che la Rivoluzione contraddice spesso i suoi stessi princìpi: «La libertà viene affermata e subito dopo negata con la persecuzione degli oppositori, che si spinge fino al terrore e alla ghigliottina. L’eguaglianza resta soltanto formale, mentre al vertice del potere si collocano coloro che di volta in volta trainano il sommovimento rivoluzionario. Quanto alla fraternità, basti pensare che la Francia scende in guerra nel 1792 e vi rimane in sostanza, con brevi intervalli, fino alla battaglia di Waterloo che segna la sconfitta definitiva di Napoleone Bonaparte nel 1815. Insomma, più che la costruzione prevale la distruzione. Non a caso tutti coloro che cercano di guidare la Rivoluzione finiscono per essere travolti dai meccanismi che loro stessi hanno messo in moto. E l’esito del 1799, con la dittatura di un generale che poi si proclama addirittura imperatore, ha ben poco di realmente rivoluzionario».
De Francesco replica che Napoleone è comunque figlio della Rivoluzione: «Bonaparte prende il potere dicendo di voler estirpare la corruzione e porre fine alle lotte tra i partiti. Soprattutto nei primi anni del Consolato, si propone come pacificatore e continuatore del processo rivoluzionario in senso costruttivo. Per quanto concerne i principi, innanzitutto va ricordato che la fraternità è un valore che viene solennemente affermato in una Rivoluzione successiva, quella del 1848 contro il regime di re Luigi Filippo, proprio perché i repubblicani dell’Ottocento vogliono distinguersi dai loro predecessori e promuovere un rivolgimento pacifico, senza il terrore. Poi, certo, il principio dell’eguaglianza non viene realizzato in pieno: la schiavitù sarà restaurata da Napoleone, le donne restano relegate in una situazione subalterna. Ma la parte più povera della società francese riceve comunque importanti benefici: basti pensare alla diffusione della piccola proprietà contadina».
Secondo Galli però nell’esperimento avviato nel 1789 prevale comunque un aspetto tragico: «La Rivoluzione promette che, una volta eliminati i nemici che le si oppongono, la vita associata ne uscirà completamente trasformata, si porrà fine a un’esistenza brutale e animalesca per entrare in una convivenza pienamente umana. A questo scopo viene sperimentata per la prima volta una mobilitazione politica di massa, vengono messe alla prova tutte le dottrine costituzionali e le ideologie. È un meraviglioso laboratorio, che a tanti anni di distanza resta affascinante e attraente, oggetto delle interpretazioni e bersaglio delle critiche più varie. Tuttavia questa epopea ci appare anche intrinsecamente fallace, perché non mantiene le sue promesse. E l’inattingibilità strutturale del risultato a cui puntano i rivoluzionari ci interroga fino in fondo. Parla anche di noi, della nostra società apparentemente fondata sulle libertà individuali, in cui il cittadino scopre invece spesso di non contare nulla. Ma forse tutto ciò è inevitabile: per questo credo che la Rivoluzione francese possa essere imputata di abuso della credulità popolare».
Un’accusa che a De Francesco appare ingenerosa: «I rivoluzionari non intendevano certo ingannare il popolo. Alle loro idee credevano realmente e si batterono per realizzarle. Soltanto con il senno del poi li si può tacciare di aver abusato dei loro concittadini. Certamente la Rivoluzione contiene dentro di sé tutto l’armamentario della politica moderna, ma questo a me non pare un difetto, bensì un elemento di ricchezza, da cui tutte le tradizioni successive hanno tratto alimento: il Risorgimento italiano, tanto per fare un esempio vicino a noi, sarebbe stato impensabile senza lo stimolo prodotto dall’irruzione delle armate repubblicane francesi nella nostra penisola. E se i problemi della difficile conciliazione tra liberalismo e democrazia, a mio avviso due filoni ideologici ben distinti, restano tuttora aperti nei sistemi politici in cui viviamo, non possiamo darne la colpa alla Rivoluzione francese, che in fondo quelle questioni ha il merito di averle sollevate».