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 2023  agosto 09 Mercoledì calendario

Nuova operazione per Matteo Messina Denaro


Matteo Messina Denaro è stato ricoverato in ospedale e sarà operato. Il quadro clinico si è aggravato. Il boss era rinchiuso in cella a L’Aquila, al 41 bis. Ha detto: «Io non mi pentirò mai».
Palermo Si attiene al copione del capomafia: ammettere solo quando non se ne può fare a meno e negare tutto il resto, anche quando la menzogna sfiora il ridicolo. Garbato ma fermo, pronto alla battuta pur restando rispettoso dell’interlocutore a cui, però, non concede nulla. «Io non mi farò mai pentito»: è l’esordio di un interrogatorio durato ore. Il primo reso da Matteo Messina Denaro al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido che il 16 gennaio scorso l’hanno catturato. E il seguito del lungo «dialogo» con gli inquirenti non tradisce la premessa. L’ex primula rossa di Cosa nostra è attento a non voltare le spalle agli amici che per anni l’hanno protetto: «Non appartiene alla mia mentalità» spiega ai magistrati che lo incalzano chiedendo nomi e luoghi della sua vita da ricercato. E difende Andrea Bonafede, il geometra che per mesi gli ha prestato l’identità – «L’ha fatto per amicizia», dice – e Alfonso Tumbarello, il medico che l’ha curato durante la latitanza: «Non sapeva chi fossi».
Ai pm che gli chiedono se sia uomo d’onore risponde come i vecchi padrini gli hanno insegnato: «Conosco Cosa nostra dai giornali». E, sempre secondo tradizione, evoca i «codici di comportamento» virtuosi che gli impediscono di indicare i complici e nega di aver commesso stragi e omicidi, specie, ci tiene a dirlo, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia per indurre il padre a ritrattare. «Una cosa fatemela dire – sbotta – Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo...ma con l’omicidio del bambino non c’entro». Come smentisce di aver voluto offendere Giovanni Falcone, quando, in una chat audio con una donna conosciuta in ospedale imprecava contro le commemorazioni per la strage di Capaci. «Se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri», spiega.
«Ha mai trafficato in droga?». «No, vivevo bene di mio», risponde e via con la storia del padre, il capomafia di Castelvetrano Francesco Messina Denaro morto latitante, che, a suo dire, di professione faceva il mercante d’arte e rivendeva a mezzo mondo i reperti archeologici trafugati dai tombaroli a Selinunte. Critica il reato di concorso esterno in associazione mafiosa il boss. «È un reato farlocco – sentenzia – Io preferirei, se fosse una mia decisione: tu favorisci... il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni: così si leva il farlocco di torno». Poi definisce la sua vita alla macchia come «molto avventurosa e movimentata» e ammette la corrispondenza con Bernardo Provenzano. «Non l’ho mai conosciuto visivamente, sapevo chi era ci mancherebbe», racconta. «Perché gli scriveva allora?», gli chiedono i pm. «Perché quando si fa un certo tipo di vita ad un certo momento ci dobbiamo incontrare, io ero latitante accusato di mafia, lui latitante accusato di mafia, dove si va?». Di parlare dei covi ancora ignoti, di cui pure, tra le righe, ammette l’esistenza, non ha alcuna intenzione. E glissa sui luoghi in cui ha vissuto. «Sicilia occidentale» si limita a dire.
«Non abbiamo trovato un suo pc», lo provocano i magistrati. E il boss risponde raccontando di aver resistito per molto all’uso della tecnologia perché sapeva che si sarebbe rivelato un tallone d’achille. «Io avevo una tecnica perché mi dovevo difendere: è un mio diritto cercare di restare libero. Voi avevate la tecnologia, io sono solo e come devo difendermi? vivevo da caverna», spiega. Nessun cellulare, nulla, insomma. Fino alla malattia che è il vero spartiacque della sua vita e che lo costringe ad «abbassare le difese». «Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia», spiega. E per descrivere il cambio di passo nella gestione della latitanza seguito alla scoperta del cancro, usa un proverbio ebraico: «Se vuoi nascondere un albero piantalo nella foresta». «Allora – dice – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta …A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco. Giocavo a poker, mangiavo al ristorante», racconta. Una vita da uomo qualunque dunque per restare invisibile.