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 2023  agosto 09 Mercoledì calendario

I verbali dell’80 di Marcello De Angelis

ROMA «Noi li chiamavamo i sette pazzi».
Così Marcello De Angelis definiva i Nar di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Lo si evince da un verbale inserito nella sentenza pronunciata il 30 gennaio 2000 dal tribunale dei minorenni di Bologna contro Luigi Ciavardini, uno dei condannati per la strage alla stazione. È un documento che disvela uno spaccato storico e psicologico sull’estremismo di destra a Roma a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, e che torna di attualità proprio mentre De Angelis – divenuto ora il direttore della comunicazione istituzionale del governatore del Lazio, Francesco Rocca – nega con foga la matrice neofascista dell’eccidio del 2 agosto, difendendo Fioravanti e Mambro dalle verità «conculcate persino dalle massime autorità dello Stato».
Roma 1980. Una primavera terribile. Il 28 maggio i Nar uccidono con sette colpi il vicebrigadiere della polizia Francesco Evangelista, 37 anni, detto «Serpico»: stava prestando servizio davanti al Liceo Giulio Cesare, nel quartiere Trieste. Il 23 giugno, in Viale Jonio, quartiere Montesacro, assassinano Mario Amato, 42 anni, l’unico magistrato romano che indaga sull’eversione nera.
Fioravanti, 22 anni, guida i Nar. Marcello De Angelis, 20 anni, milita invece in Terza Posizione. Si contendono il territorio, anche se con fini molto diversi. Racconta De Angelis, a verbale: «Fioravanti, dall’attentato davanti al liceo, aveva lanciato una campagna contro di noi. Eravamo di fatto un freno nei confronti del suo progetto di spontaneismo armato, il che era vero, sostanzialmente, perché noi avevamo quanto meno l’interesse di controllare i militanti, affinché non si elevasse un livello di scontro nei confronti delle istituzioni. Noi eravamo un gruppo politico, e lui ci accusava di congelare queste risorse che potevano essere la base, la truppa di manovra di questo suo progetto di spontaneismo armato». Sorgono quindi dei contrasti. «I Nar nascevano con l’intenzione di fare lotta armata, mentre il nostro intento era quello di fare una politica di piazza, militante. Di conseguenza anche la semplice contiguità tra noi e dei gruppi volutamente clandestini sarebbe stata detrimentale per il nostro progetto, oltre che per la sicurezza dei nostri militanti». Cosa intende dire esattamente?, lo incalza il giudice.
«Ci avrebbe fatto finire come siamo finiti, cioè coinvolti in fatti molto gravi e di conseguenza spazzati via molto prima degli altri, perché noi eravamo un gruppo visibile».
È un gioco molto pericoloso. «Già all’indomani dell’omicidio del Giulio Cesare noi ci ponemmo il problema di arginare, sostanzialmente, queste aggressioni da parte di Fioravanti, ma ci rendemmo conto che non avevamo la capacità militare di farlo». Il 1980 è il più cruento degli anni di piombo. E quel che avviene nel micromondo del neofascismo De Angelis la chiama «guerra».
«Una guerra?», gli domanda il presidente del tribunale.
«Io la definisco una guerra perché alcuni di noi, io in primis, e lo rivendico senza problemi, ritenni che l’unica maniera per arginare questo pericolo fosse l’eliminazione di Fioravanti e di tutto quanto il gruppo di Fioravanti. Il problema è che noi non avevamo la capacità militare di affrontare una contrapposizione di questo genere».
Il 9 settembre i Nar uccidono nella periferia di Tor de’ Cenci Francesco Mangiameli, 30 anni, professore di storia e filosofia a Palermo, ma soprattutto dirigente di Terza Posizione, il gruppo di De Angelis e di Roberto Fiore, oggi a capo di Forza Nuova.
Racconta De Angelis: «Il fatto che Mangiameli potesse essere stato semplicemente il primo di una campagna di eliminazione nei nostri confronti poi si palesò anche nei giorni seguenti. Io stesso sfuggii ad un tentativo di sequestro da parte del gruppo di Fioravanti». È la fine di settembre.
De Angelis diventerà il cognato di Ciavardini. Ed è proprio quest’ultimo a metterlo in guardia. «Lo incontrai pochi giorni dopo i fatti del Giulio Cesare, lui era stato ferito accidentalmente durante lo scontro a fuoco da Fioravanti e abbandonato lungo la strada. Noi ritenemmo che anche questo ferimento potesse essere stato studiato nell’eventualità che Ciavardini appartenente a Terza Posizione fosse arrestato e di conseguenza riversasse su di noi la colpa dell’attentato». De Angelis si rifugia in Inghilterra. E parla così dei Nar di Fioravanti. «Noi li chiamavamo i sette pazzi, quando già eravamo all’estero, facevamo riferimento a loro come i sette pazzi».