Il Messaggero, 9 agosto 2023
Intervista a Clemente Mimun
Clemente Mimun compie oggi settant’anni e li festeggia con i due figli Simone e Claudio, dopo una breve vacanza a Capri, ospite da un amico. Neppure Wikipedia riesce a contenere in tre pagine fitte di date la straordinaria carriera di questo giornalista. Direzioni a pioggia, una catasta di premi, anche i riconoscimenti di due presidenti della Repubblica. Si potrebbe dire, esagerando appena un po’, che in televisione, ramo informazione, ha diretto e ridiretto tutto, Tg1, Tg2, Rai Parlamento, Tg5 inventato con Enrico Mentana e dove ancora siede col grado più alto. È apparso poco sui teleschermi, con sofisticato dosaggio della propria notorietà. La misura è il suo segreto, il senso di una longevità ancora ricca. Unica eccezione alla morigeratezza, la passione per la Lazio, un vero grande amore, gioie e dolori compresi.
La sua vicenda professionale, costellata da innovazioni di successo («Abbiamo inventato il Tg rotocalco», ha detto inaugurando il Tg delle 13 su Rai2) è stata anche attraversata da polemiche. Non poche. Anche crude e aspre. È parte del suo temperamento. Decisionista, sicuro di sé, determinato, nettezza esibita nelle scelte anche scomode e discusse, con però il senso della sfida leale, amante della “sua” squadra e instancabile fabbricatore di idee ad alto ascolto, Mimun ha lottato a lungo, rimanendo dentro un mestiere che non fa sconti, contro gli esiti di un ictus cerebrale che, forse, ne hanno addolcito il carattere. «Alla carta velina, preferisce la carta vetrata», ha detto di lui un suo redattore. Ammette: il mio segreto è lavorare, lavorare, lavorare. Il suo orizzonte è quello di continuare a farlo. A chi gli parla di pensione risponde alla romana, affidandosi a un gesto che ha solo un senso.
La tua carriera in quattro cifre?
«52 anni di lavoro, 29 anni di direzioni, 3 anni di ferie non godute, 80 assunzioni».
Che dire? Hai fatto Bingo.
L’esperienza più ricca e quella più controversa?
«Il Tg5 è anche figlio mio, quindi il più amato, il Tg1 dimenticabile».
Qual è la prima regola di un giornalista?
«L’onestà intellettuale».
Dei mostri sacri del mestiere ce n’è uno che ti ispira e ti ha guidato?
«Ho scelto questo mestiere grazie a un fumetto, non per emulare qualche mostro sacro».
Il peggior difetto dei giornalisti?
«Superficialità e supponenza. I più gettonati giocano a chi la fa più lontano invece di pensare ai lettori».
Il pregio più importante?
«Non raccontare balle».
Com’è cambiato negli anni il modo di raccogliere e raccontare le notizie del telegiornale?
«Cambiano vorticosamente le tecnologie, ma restano necessarie completezza e rigore. Biagi teorizzava “informare senza annoiare": giusto!».
Cosa deve essere, soprattutto, il conduttore di un telegiornale?
«Un/a giornalista empatico/a ma anche rigoroso/a, che con garbo orienti il telespettatore tra le diverse notizie. Ma nel tg conta tutta la squadra».
Molto trash nella tv di oggi: tu sei della vecchia scuola, nemico delle volgarità?
«Al Tg5 di volgarità non ce n’è».
Che cos’è più difficile raccontare della complessa realtà italiana e internazionale di oggi?
«Non ci sono notizie più difficili, o più facili. Bisogna sempre cercare le parole e le immagini più adatte e avere grande sensibilità».
Il tuo editore, Silvio Berlusconi, quanto ti ha mai condizionato?
«Berlusconi, che mi manca umanamente moltissimo, è stato un grande editore liberale. Ed escludo che Mediaset con Pier Silvio cambi strada».
Ci hai mai litigato?
«Era impossibile litigarci. E quando si discuteva una questione era attento alle osservazioni altrui».
Che cosa chiedeva in particolare che facessi e che fossi?
«Mi ha chiesto sempre e solo autorevolezza, qualità e ascolti. Missione che il Tg5 compie dal 1992».
Il potere logora chi ce l’ha o chi non ce l’ha?
«Restando a quel che è accaduto a Renzi, Salvini e Di Maio, passati da boom elettorali a forti ridimensionamenti, logora di più chi ce l’ha».
Il potere come si comporta con te?
«C’è reciproco rispetto. Non c’è spazio per fare i fenomeni».
Il tuo amore per la Lazio: ne scrivi sempre, anche su queste colonne, cerchi di essere obiettivo o sei di parte e basta?
«Della Lazio scrivo solo su “Il Messaggero”, il giornale di Roma. Sono obiettivamente fazioso».
Come scandisce la tua giornata per tranche?
«Mi sveglio verso le 5,30. Leggo i giornali sul web, guardo tg internazionali. Alle 8,30 al Tg5. Alle 9,30 riunione di sommario, con break di un’ora e mezzo a pranzo dove generalmente facciamo riunioni. Alle 16 riunione per il tg della sera. Resto fino alle 18,30-19 poi 15 minuti di break e da casa ultima aggiustatina alla scaletta».
Un direttore lavora sette giorni su sette, non va mai in ferie e ha sempre il telefono a portata di orecchio. Sei ormai stanco di questa vita?
«Che tutti i direttori facciano una vita di sacrifici è una leggenda. Molti sono salottieri, alcuni stanno più in tv che in redazione, io sono tg e casa perché mi piace, non faccio alcuno sforzo e sarà così ancora per qualche anno almeno».
L’idea della pensione è un dolce approdo o un incubo: e adesso che cosa faccio?
«Ho il culto del lavoro, il tempo per lucidare le medaglie non è ancora arrivato».
La malattia ti ha messo a dura prova e hai vinto tu: come ci sei riuscito?
«Non ho vinto l’ictus, convivo con una pesante serie di disagi e devo fare a meno di 2 cose che amo: le lunghe passeggiate e le corse in moto. Oltre al fatto che prendo 10 pasticche al giorno e faccio fisioterapia 3 volte a settimana. Altro che vinto».
La tua parola più bella?
«"Grazie"».
E quella che detesti che non vorresti mai sentire?
«Mi fa schifo “dir"».
La notizia che non avresti mai voluto dare?
«Sono troppe: guerre, stragi di migranti e così via. Personalmente, le morti di Berlusconi,
Pannella e Craxi».
Pensi di aver cresciuto qualche allievo con risultati apprezzabili? Con quali regole e valori?
«Ai giovani che sono al Tg5 dico chiaro e tondo che devono andare subito al succo della notizia, scrivere come parlano, evitare formule logorroiche ma i giovani che oggi sognano il giornalismo sono preparatissimi».
In che cosa consiste il metodo Mimun che assicura lunga vita alle tue direzioni, prima alla Rai e poi qui a Canale5?
«Lavorare, lavorare, lavorare. Con curiosità, fantasia, onestà e senza risparmiarsi».
Gli amori, gli amici, i colleghi: una parola per ciascuno.
«Amori no comment. Ho 3-4 amici e sono fortunatissimo. Tra i colleghi Mentana e Mollica su tutti, ne abbiamo fatte di ogni».
A proposito di colleghi, cosa pensi di Cesara Bonamici dal Tg5 al “Grande Fratello”?
«Quando Pier Silvio me ne ha parlato ho pienamente condiviso la sua idea. Sarà un ottimo spariglio televisivo».
Torno sui colleghi. Biagi ripeteva sempre: la colleganza è odio vigilante e la riconoscenza è la promessa della vigilia Ti ritrovi in queste massime?
«Biagi aveva ragione in entrambi i casi. Personalmente non odio né invidio nessuno. Quanto alla riconoscenza non me l’aspetto mai, così non vado incontro a delusioni».
Roma è la tua città, quanto la ami? Parlo della città, non della squadra.
«Immensamente, ma vederla alle prese con spazzatura, topi, cinghiali, buche e verde disastrato è una sofferenza. Si susseguono amministrazioni di ogni colore, ma la Capitale resta in condizioni indecenti. Servono tanti soldi, un commissario straordinario e noi romani dobbiamo saperci meritare la città più bella del mondo».
Che cosa apprezzi di più nel prossimo? E che cosa detesti?
«Adoro la lealtà, detesto i ruffiani».
Quando spegnerai le lampade del tuo studio?
«Mi hai fatto la stessa domanda in tre modi diversi. Accadrà quando il mio editore vorrà ma continuerò a fare il giornalista fino alla fine».
Hai paura della morte?
«No. Quando sarà lo si saprà dopo un mese, saluterò con una mia pagina sui giornali. Wikipedia non avrà l’ultima parola».
Che cosa dovrebbero imparare sopra ogni altro insegnamento i giovani giornalisti?
«Si impara lavorando. Chi vuole fare sul serio il giornalista oggi deve sapere che ha di fronte una vita complicata».
Hai avuto un maestro che ti ha aiutato nel tuo lungo cammino professionale?
«No. Mi ha “condizionato” solo la mia maestra elementare,
Emma Alatri».
C’è qualcuno a cui senti di dover chiedere scusa per qualcosa e per quale torto?
«No e se ne ho commessi sono stati lievi e ormai caduti in prescrizione».
Più rimorsi o più rimpianti o nessuno dei due?
«Abbiamo tutti continui rimorsi e rimpianti. Sono fatti apposta per complicate esistenze già difficili. Non ci penso».
Lo scoop che ti ha tolto il sonno dalla gioia?
«Non ho mai vissuto di scoop. Sono un maratoneta non un velocista. Ho fatto buoni tg con ascolti crescenti, senza sforare i budget e assumendo decine di colleghi disoccupati».
Mica male! Un gesto che non rifaresti ?
«Non me la prenderei per gli attacchi politici che ho subito e non mi tratterrei da qualche calcio in culo a chi li meritava».
In cinque parole: chi è davvero Clemente Mimun?
«Un uomo molto per bene. Proprio a me lo chiedi?».