Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 07 Lunedì calendario

A Rimini con il fantasma di Fellini

A volte nella nostra vita irrompono fantasmi. Succede a quasi tutti d’incontrarne uno. Una sagoma nella foschia o un profilo in controluce o chissà cos’altro. Stefania Parmeggiani, giornalista di Repubblica, s’è imbattuta nel fantasma di Federico Fellini. Stefania è originaria di Rimini e nel 2019 le viene affidato un reportage sulla sua città natale in occasione di un numero del supplemento Robinson votato al centenario del regista riminese, nato il 20 gennaio 1920. Passeggiando su un molo, Stefania intravede nella nebbia che sale dal mare lo spettro di Federico con l’immancabile sciarpa rossa al collo. È un sortilegio che la spinge a compiere un itinerario in forma di libro alla riscoperta di un luogo in cui ogni passo sarà filtrato dallo sguardo immaginifico di Fellini. Parmeggiani intende muoversi nei secoli e nei posti ricostruendo un’illusione: quella di un territorio condizionato, nella nostra percezione, dall’ottica di un artista internazionale che restò sempre legato alle proprie radici da un rapporto forte e contraddittorio, pieno di rigetti e al contempo fondato su un’identificazione viscerale. NeI Vitelloni e inAmarcord, e non soltanto, Federico ha esplorato gli spazi e le persone della sua piccola provincia considerandoli come un sogno o un film, termini forse equivalenti nel suo sentire. E avendo proposto con successo immenso a un pubblico planetario una visione onirica e intima di Rimini, ha reinventato la città.
Parmeggiani insegue tale processo di reinvenzione inFellini, Rimini e il sogno, uscito per l’editore Zolfo. Sceglie di farsi condurredal fantasma sbocciato sul molo a riosservare ogni paesaggio riminese, ogni reperto, ogni leggenda e ogni monumento, e dal suo diario di viaggio scaturisce un resoconto fiabesco e documentatissimo. Sta nell’amalgama equilibrato dei due registri di scrittura, quello attinente alla cronaca e quello intriso di fantasie felliniane, una delle massime virtù di questa prosa esperta e raffinata. Per un verso il testo offre una mappa di Rimini composta da notizie, aneddoti, testimonianze e ritratti di riminesi ai quali Federico s’ispirò per creare i suoi personaggi, dall’opulenta Gradisca alla suoretta nana di Amarcord. Per un altro l’avventura di Stefania si sintonizza con la vena poetica del cineasta, espressa in descrizioni e scorci emozionanti. Vedi il capitolo sul mito del Grand Hotel, coi suoi fregi liberty e gli stucchi d’oro che brillano al di là del consumisticorumore balneare. Tra le celebrità che hanno attraversato le sue stanze figurano sovrani (la Regina di Sassonia), tenori (Caruso), futuristi (Marinetti) e donne-amanti come Claretta Petacci, che vi soggiornava in trepida attesa del Duce. Al Grand Hotel, nella suite che gli era stata riservata a vita, Fellini fu colpito da un grave ictus, e fu il primo step di un calvario durato fino alla sua morte, nel ’93.
Dalla topografia setacciata da Stefania sbucano gli spiriti di estinti illustri come Francesca da Rimini, il cui abbraccio fatale col cognato Paolo venne immortalato nell’Inferno dantesco. Alla medesima eroina s’applicò D’Annunzio firmando una tragedia che sarebbe stata recitata da Eleonora Duse, la quale amoreggiò col Vate in un albergo riminese. Nel flusso narrativo i resti dell’antica città romana s’intrecciano con le vicende della signoria dei Malatesta ecoi medaglioni dei caratteri strani che popolano una terra di briganti ed eretici, socialisti ed anarchici, camicie nere e comunisti. Quando si approda alla Rimini del secondo Novecento affiorano storie nuove, dal turismo di massa che invade la riviera fino alla palude d’anime cantata da Pier Vittorio Tondelli: fra le discoteche e i vizi degli anni Ottanta, c’è gente che si uccide con le pasticche e «ama, trionfa o crepa».
Parmeggiani identifica le dimore in cui abitò la famiglia Fellini e ci introduce nel Cinema Fulgor, che negli anni Venti, con un polpettone su Maciste, stregò il bimbo Federico. Poi ammira la statua della Vittoria, le cui rotondità eccitarono il Fellini adolescente. Percorre il Borgo San Giuliano, zona di pescatori nata nell’anno mille e sede di bordelli durante la vitellonesca gioventù dell’autore diAmarcord. Avanza sul diabolico Ponte di Tiberio, contempla l’architettura del Tempio Malatestiano e visita Castel Sismondo, al cui interno è stato allestito un museo dedicato a Fellini. A un tratto le s’incarnano davanti i ricordi felliniani delle contadine romagnole anni Cinquanta che piazzavano i loro sederi enormi sulle biciclette, e certe vie della città possono evocare la memoria delle parate fasciste riminesi inserite da Federico nel film Roma come frammenti della propria infanzia. Questo ed altro scorre nell’escursione fantastica e reale del racconto, dove Rimini è un miscuglio di ingredienti «pauroso, tenero e confuso», secondo alcuni degli aggettivi con cui la descrisse Fellini, capace di esaltarne come nessun altro «il grande respiro e il vuoto aperto del mare, là dove la nostalgia si fa più limpida».