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 2023  agosto 07 Lunedì calendario

Non è un paese per calciatori

Senza più patria, senza fiducia, senza prospettive e in un sistema senza più soldi, i calciatori italiani vengono presi a schiaffi proprio dall’Italia. Sarebbero anche bravi, vincenti (gli azzurri sono campioni d’Europa Under 19 e vicecampioni del mondo Under 20), ma non li vogliamo. Perché venderli all’estero conviene di più. Una volta, i nostri ragazzi non avevano spazio in serie A. Tra poco, non avremo più loro.
In questo bizzarro calciomercato di un pallone più in crisi che mai, inghiottito da un deficit complessivo che supera i cinque miliardi di euro, i nostri talenti più o meno giovani stanno andando in Inghilterra, in Austria, negli States, insomma ovunque fuorché dove dovrebbero stare: cioè qui. A metà delle compravendite estive, i sette club più importanti di A hanno acquistato soltanto tre italiani: Scamacca all’Atalanta (di ritorno dall’Inghilterra), Frattesi all’Inter e Sportiello al Milan. Senza offesa per questi baldi giovanotti, non stiamo parlando di Messi o Cristiano Ronaldo. E ancora non se ne sono accorti in Arabia Saudita, perché quelli si stanno mangiando il calcio planetario e figurarsi se prima o poi non arrivano a strappare i fiori appena cresciuti nelle nostre serre. L’Italia del calcio, il calcio “adulto”, da due mondiali non riesce neppure a qualificarsi. Invece quella dei ragazzi sta cambiando, vince, è propositiva, più dinamica. Gli azzurrini, come si chiamavano una volta, sono già molto meglio dei loro padri e dei loro zii. Eppure, nessuno ci crede. Forse faranno la dorata fine di Marco Verratti, talento che passò direttamente dal Pescara al Paris Saint Germain e che probabilmente chiuderà la carriera nuotando nei petrodollari, senza avere conosciuto neppure un minuto di serie A.
Perché tutti hanno un disperato bisogno di soldi. Persino la Juventus ha venduto due dei suoi tre freschissimi campioni d’Europa Under 19: uno è finito a Salisburgo, formidabile scuola di calciatori, l’altro a Los Angeles da Chiellini, con un notevole capogiro generazionale. Pare che al cortocircuito non esista rimedio: il calciatore italiano, creatura che ha fattola storia di questo magnifico sport, semplicemente non ha più mercato in casa propria. Alle società conviene fare cassa, ai giocatori emigrare e guadagnare di più: chi resta col cerino in mano è il cittì Mancini, che infatti i Mondiali li ha visti in tivù e che nel 2021 ha saputo vincere un fantastico Europeo grattando il barile di campioni all’ultimo giro di giostra.
Un mito come Gigi Buffon si è appena ritirato a 45 anni.
Fenomeno lui, ma dove sono i ragazzini che dovrebbero salvare il mondo? Il regista del Milan campione d’Italia 2022 e semifinalista in Champions, ovvero Sandro Tonali, se n’è partito per l’Inghilterra e lì rimarrà. Si tratta di una colonna del nostro tempio, peccato che se lo siano preso gli inglesi come i frontoni del Partenone.
Che destino, però. Oggi, cominciano a giocare a pallone quasi soltanto i bambini che possono frequentare una scuola calcio, dove per meno di 500 euro all’anno non ti fanno nemmeno vedere un quadratino d’erba sintetica. Mamma e papà accettano di pagare, e se va bene il figliolo potrà inseguire nel calcio la sua ipotesi di sogno (ma ci riesce molto meno del famoso uno su mille di Gianni Morandi). Pagare resta l’unico verbo da coniugare all’infinito: perché il nostro ragazzino, cresciuto, sarà pagato per non giocare in Italia ma per andare altrove, non al Real Madrid o al Manchester United, beninteso. Il colossale deficit di sistema non è stato fermato alcuna idea virtuosa, c’è solo la richiesta di sempre più denaro ai network televisivi e agli sponsor, ma siccome il nostro calcio vale sempre meno, quei soldi mica arrivano. Chi può (tra le grandi, finora, solo la Juventus) si costruisce, o prova a costruirsi, uno stadio di proprietà che genera ricavi e valore immobiliare, ma per tutti c’è l’incredibile corpo a corpo con la burocrazia e i vincoli di ogni genere. Un sistema sempre più vecchio tratta i suoi giovani sempre peggio, e li caccia via: questo, alla lettera, significa non avere futuro. Perché lo abbiamo venduto al miglior offerente.