la Repubblica, 7 agosto 2023
Intervista a Carlo Calenda
ROMA – Giorgia Meloni ha detto sì. «Dai contatti che ho avuto ritengo che ci riceverà prima della pausa estiva per confrontarci sul salario minimo», annuncia Carlo Calenda, il primo fra i leader delle opposizioni ad aver chiesto un’interlocuzione con la presidente del Consiglio.
Quindi non andrà da solo a Palazzo Chigi?
«Io non ho mai dato disponibilità a un incontro a due, si tratta di una proposta fatta da tutte le opposizioni. Il che è un valore da preservare. Poi certo, se i segretari degli altri partiti ritenessero di non venire, io andrei lo stesso. Va riconosciuto che la maggioranza ha ritirato l’emendamento soppressivo del nostro testo e aperto al dialogo».
È sicuro che sia un’apertura vera?
«Perché non dovrei fidarmi? Il problema in questo momento ce l’ha il centrodestra: è chiaro al Paese intero che il salario minimo serve, anche agli elettori dell’attuale maggioranza. Ed è urgente non solo per combattere l’inflazione, ma anche perché le 500mila persone a cui verrà levato il Reddito di cittadinanza devono poter trovare un lavoro che sia pagato in modo dignitoso. Non possono aggiungersi ai 5 milioni già in povertà lavorativa».
Cosa direte alla premier?
«Che la nostra è una proposta moderata che rafforza la contrattazione nazionale e ha un tempo di introduzione lungo, 12 mesi, per dare la possibilità alle varie categorie di recepire i 9 euro l’ora. Sitratta di una soluzione molto valida, altrimenti non l’avrei firmata. E poi staremo ad ascoltarla, se lei ha altre idee immagino ce le dirà. Partendo però da un dato incontestabile: in Italia cominciano a essere troppi i contratti che non garantiscono un salario degno. Lasciare le cose come stanno non è più tollerabile, né può esserlo quello che sostiene la ministra Calderone, per la quale va rafforzata la contrattazione di secondo livello: un principio in sé giusto, ma che nulla c’entra col salario minimo, perché si rivolge a una platea completamente diversa».
FI una proposta alternativa alla vostra l’ha già fatta: non va bene?
«No perché contiene un solo elemento, riporta tutti i contratti di lavoro ai contratti nazionali, cosa che sta già nel nostro testo ma purtroppo non basta. Oggi il 90% dei lavori è coperto da contratti nazionali, ma 3,5 milioni di lavoratori non arrivano a 9 euro l’ora».
Il Mef però ha già fatto sapere che mancano le coperture.
«È un’idiozia, noi abbiamo previsto l’istituzione di un fondo in legge di bilancio per indennizzare i settori che sono più colpiti dall’aumento delle retribuzioni. L’ammontare verrà perciò demandato alla Finanziaria. Se poi si decidesse di non indennizzare le imprese, il tema del salario resta lo stesso: si tratta di stabilire che sotto i 9 euro l’ora non può lavorare nessuno».
Si aspetta che Meloni si convinca?
«Mi aspetto intanto che ci ascolti, ci dia il suo orientamento e a settembre ci presenti qualcosa che sia molto vicino al salario minimo, che però non si chiamerà con questo nome perché in Italia tutto quello che l’opposizione propone alla maggioranza è da cestinare, e viceversa. In questo siamo un sistema politico immaturo».
Renzi tuttavia si è smarcato, per questo avete deciso di rompere?
«Già non era convinto quando lo abbiamo inserito nel programma del Terzo polo, come non ero convinto io della proposta di premierato, del sindaco d’Italia. Ed è normale, quando le strade si dividono, che ognuno torni al pensiero che aveva prima dei compromessi necessari per formare l’alleanza».
Le strade si sono già separate?
«Sì, quando Renzi ha deciso di non dar vita, come avevamo promesso, a un partito unico dei liberaldemocratici, negando la fusione fra Iv e Azione. Quanto successo dopo è la logica conseguenza: le nostre strade sono già separate da tempo».
Non c’è alcuna possibilità di andare insieme alle Europee?
«Oggi è estremamente improbabile».
Intanto i gruppi Azione-Iv sono ancora unici, quando li scioglierete?
«Quei gruppi sono formati sulla base di un simbolo che ha un nome dentro, e non posso essere certo io ad andarmene dal mio nome. Lo devono fare loro, se lo ritengono».
Iv avevano annunciato loscioglimento per sabato, ma non è avvenuto. Hanno cambiato idea?
«Non so che dire, ci sono tutta una serie di annunci caduti nel vuoto. Ma credo che a settembre se ne andranno. Abbiamo cercato di far convivere in Parlamento alcune linee politiche comuni, ma non è andata bene. Prendo atto della volontà di divorzio dichiarata da Renzi e aspetto che si materializzi. Spero solo che avvenga in modo decoroso».
Per non finire nel Misto si farà aiutare da qualche altro partito?
«Mai. La scorsa legislatura l’abbiamo fatta con un deputato e senatore».
Il suo capogruppo al Senato, Enrico Borghi, dopo l’inchiesta sui dossieraggi propone di abolire la Spazzacorrotti. È d’accordo?
«La cambierei profondamente, ma alcune cose non le abolirei, per esempio il divieto per i partiti di ricevere finanziamenti da entità straniere. Necessario, specie in un periodo in cui le interferenze esterne sulle elezioni sono un grave rischio.
Non mi voglio trovare in un Paese in cui i russi, i turchi o gli arabi possano finanziare i partiti politici».
Allude a Renzi?
«Là si tratta di compensi personali. Io lo considero sbagliato, ma in questo momento è perfettamente legale».
Bisogna intervenire anche su questo fronte?
«Sì. Come ho sempre dichiarato anche quando con Renzi andavamo d’amore e d’accordo».