Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 07 Lunedì calendario

Il cuore di tenebra dell’ultradestra e le radici mai recise tra estremisti e partito

Una gigantesca differenza tra il terrorismo che sortì dalle file del Partito comunista e quello che aveva radici nel Movimento sociale, ideologie a parte, è questa: i brigatisti usciti dal Pci combatterono ferocemente il loro ex partito e ne furono combattuti, nessuno di loro provò mai a rientrare in casa né avrebbe potuto; dall’altra parte, invece, molti neofascisti golpisti o bombaroli o sovversivi sono entrati, usciti e rientrati dal Msi, qualcuno non si è mai allontanato, e le macchie nel curriculum politico o nel casellario giudiziale non sono mai state un grande impedimento. Per dire: il ministro ombra dell’Interno del Pci, Ugo Pecchioli, fece avere al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa i nomi dei comunisti reggiani passati in clandestinità, e tra di loro c’erano alcuni fondatori delle Brigate rosse. Nel Msi, a fine anni Ottanta, divenne segretario del partito Pino Rauti, fondatore del centro studi Ordine nuovo, la formazione politica che prestò uomini e strutture alle stragi di piazza Fontana a Milano nel 1969 e piazza della Loggia a Brescia nel 1974. Lo stesso Rauti era presente al convegno dell’hotel Parco dei Principi di Roma nel 1965 in cui fu teorizzata la strategia della tensione, cioè l’uso dello stragismo al fine di contenere il comunismo in Italia e favorire una svolta autoritaria. Una strategia che, per i suoi obiettivi, non poteva non pescare anche nel Msi, da sempre sospeso nella vocazione tra partito legge e ordine e partito della reazione, che come la rivoluzione non è un pranzo di gala. Reazione che poteva passare dalle bombe, ma anche dalla sedizione di strada come dal colpo di Stato, e anche in quest’ultimo caso le commistioni abbondano. Uno dei principali collaboratori del tentato golpe Borghese del 1970, l’ammiraglio Gino Birindelli, fu eletto alla Camera per il Msi alle politiche del 1972, come del restotoccò in quella tornata anche al generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, ideatore del piano Solo, tentato golpe del 1964.
Ci sono almeno due generazioni di militanti dell’ultradestra cresciuti fianco a fianco di un buco nero, in tutti i sensi, un cuore di tenebra che molti missini conoscono bene perché era quello del compagno di banco, del camerata di sezione, dell’amico del muretto. Anche il Msi fu combattuto dai più estremisti, ma spesso senza che si recidessero davvero le relazioni politiche e ancor meno quelle personali.
Quando a Milano nell’aprile del 1973 un corteo non autorizzato finì con l’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino, ivertici del partito caddero nel terrore, e a buona ragione. Le bombe a mano che avevano causato la morte del poliziotto le avevano lanciate il missino Maurizio Murelli, poi animatore della rivista fascio-islamista e russofila Orion, e Vittorio Loi, iscritto al movimento giovanile, e a procurare le armi era stato Nico Azzi, iscritto al Msi milanese, picchiatore a piazza San Babila, storico raduno dei camerati più maneschi, poi passato nell’area di Ordine nuovo e attivissimo nel campo della strategia della tensione. Cinque giorni prima della manifestazione omicida Azzi era salito su un treno mascherato da “compagno” per lasciare una bomba che avrebbe così dovuto essere attribuita ai rossi, solo che l’ordigno gli era esploso tra le mani e lo aveva ferito. In piazza, il giorno della morte di Marino c’erano anche il parlamentare del Msi Franco Servello e l’allora responsabile del Fronte della gioventù milanese, Ignazio La Russa. Nel 2007, lo ha ricordato Davide Conti sul Manifesto, al funerale di Azzi si presentò anche il futuro presidente del Senato in mezzo alle braccia tese per il “presente”. Come se Pier LuigiBersani o Piero Fassino fossero andati al funerale di Prospero Gallinari.
A Roma i terroristi dei Nar li conoscevano tutti quelli che avevano vent’anni e una tessera del Msi o del Fronte della gioventù in tasca. Francesca Mambro, condannata per la strage di Bologna, aveva frequentato a lungo la storica sezione del Fuan, il movimento universitario del Msi, a via Siena. Nel settembre del 1977 un gruppo di giovani neofascisti uscì dalla sezione del Msi del quartiere Balduina per respingere un corteo di giovani di idee opposte. A passarsi la pistola che uccise Walter Rossi, militante di Lotta continua, furono Cristiano Fioravanti, fratello maggiore di Valerio, e Alessandro Alibrandi, uno dei più feroci killer dei Nar. Tra i numerosi omicidi compiuti da Alibrandi c’era anche quello di un estremista di destra accusato di aver passato alla polizia le informazioni che avevano portato all’arresto, dopo la strage di Bologna, di Luigi Ciavardini e Nanni De Angelis, fratello del Marcello portavoce di Francesco Rocca che ha appena rilanciato le tesi negazioniste sulle responsabilità dei neofascisti a Bologna. Nanni De Angelis morì in cella in circostanze sospette, ufficialmente suicida. Il sospetto è che fu pestato mentre era in stato di fermo perché considerato, a torto, l’autore dell’omicidio di un altro agente di polizia, Francesco Evangelisti detto Serpico, ucciso sempre nel 1980 davanti al liceo Giulio Cesare da un commando dei Nar di cui faceva invece effettivamente parte Ciavardini. Lo stesso Ciavardini, cognato di De Angelis per averne sposato la sorella, poi condannato per concorso strage di Bologna una decina d’anni dopo Mambro e Fioravanti, era invece l’assassino del giudice Mario Amato, reo di aver istruito delle indagini serie, e poco appoggiate in Procura, sull’eversione neofascista. Amato, freddato alla fermata dell’autobus, era collega del padre di Alibrandi, giudice istruttore a Roma. Sia per l’omicidio Amato che per quello Evangelisti, insieme a Ciavardini c’era Gilberto Cavallini, che su Bologna per ora ha solo una recente condanna all’ergastolo in primo grado, la sentenza d’appello è prevista dopo l’estate. Ciavardini, come Marcello De Angelis, aveva cominciato a fare politica nel Fronte della Gioventù per poi passare a Terza posizione. De Angelis, gravato di una condanna più lieve per associazione sovversiva e banda armata, è poi tornato nel partito, nel frattempo diventato Alleanza nazionale, ed è stato anche due volte parlamentare e direttore del Secolo d’Italia. Una foto posata e sorridente con Ciavardini ha condito di polemiche l’elezione alla presidenza della commissione Antimafia di Chiara Colosimo, classe 1986, ex aderente alla corrente dei Gabbiani, la stessa in cui si è formata Meloni.
Ha fatto dentro e fuori il Msi anche Paolo Signorelli, che ha allevato tre generazioni di estremisti neri dediti all’Idea, cioè al fascismo, mentre non fu mai messo fuori dal partito il napoletanoMassimo Abbatangelo, processato per la strage sul treno di Natale del 1984, 16 morti, replica della strage sul treno Italicus degli anni Settanta. Abbatangelo fu condannato in primo grado all’ergastolo come fornitore dell’esplosivo che causò l’eccidio, quindi assolto in appello per il reato di strage e condannato a 6 anni per detenzione di esplosivo. Detenzione che non gli impedì, per tutto il tempo delle indagini e del processo, di continuare a fare il parlamentare del Msi e a militare in An fin dalla fondazione, un iter che spiegò bene quanto valesse davvero quel vecchio motto pubblico dello storico leader del Msi Giorgio Almirante: “Pena doppia per i terroristi neri”.